Coronavirus: se il polline aumenta il rischio di infezioni

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(Foto: Neli Cerquetella on Unsplash

La primavera è ormai alle porte e per molti questa stagione è sinonimo di allergie. Ma il polline, trasportato dall’aria, potrebbe aumentare anche il rischio di infezioni da coronavirus. A raccontarlo è un team di ricerca internazionale coordinato dall’Università tecnica di Monaco, che ha per la prima volta indagato sulla relazione tra le concentrazioni di polline nell’aria e i tassi di nuove infezioni da Sars-Cov-2, dimostrando come il polline indebolisca la risposta immunitaria, rendendoci più vulnerabili alle infezioni delle vie aeree di virus respiratori, compreso appunto il coronavirus. Il loro studio è stato appena pubblicato su Pnas.

Analizzando e confrontando i dati relativi alle condizioni meteorologiche, le concentrazioni di polline riportate da 130 stazioni in 31 Paesi in tutto il mondo e i contagi di coronavirus, ovvero sia le variazioni dei tassi di infezione da un giorno all’altro che il numero totale di tamponi positivi, i ricercatori sono giunti alla conclusione che il polline è un fattore ambientale che può influenzare i tassi di infezione del Sars-Cov-2. Nei loro calcoli, infatti, il team è riuscito a dimostrare che può rappresentare, in media, il 44% della variabilità dei tassi di nuove infezioni, spesso insieme ad altri fattori ambientali, come l’umidità e la temperatura.


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In particolare, i ricercatori hanno osservato che le nuove infezioni tendevano ad aumentare 4 giorni dopo un elevato numero di pollini. Durante i periodi di assenza di restrizioni agli spostamenti, il tasso è cresciuto in media del 4% per ogni aumento di 100 grani di polline per metro cubo d’aria, mentre il lockdown ha invece dimezzato questo aumento. In alcune città tedesche, per esempio, sono state registrate concentrazioni fino a 500 granuli di polline per metro cubo al giorno, che hanno aumentato i tassi di nuove infezioni di oltre il 20%. “Quando si studia la diffusione del coronavirus, è necessario tenere conto di fattori ambientali come il polline”, sottolinea Athanasios Damialis, co-autore dello studio. “Una maggiore consapevolezza di questi effetti è un passo importante per prevenire e mitigare l’impatto della Covid-19”.

L’esposizione al polline, tuttavia, non è solo un problema di chi è allergico. Come spiegano i ricercatori, è una reazione che dipende principalmente dal fatto che indebolisce il nostro sistema immunitario, rendendoci più vulnerabili a tutta una serie di virus respiratori, compreso il virus dell’influenza e il coronavirus. Infatti, quando un virus entra nell’organismo, le cellule infette solitamente inviano proteine, note come interferoni, che segnalano alle cellule vicine di intensificare le difese antivirali per attivare una risposta infiammatoria appropriata a eliminare il virus. Ma se le concentrazioni di polline sono elevate e i granuli vengono inalati con le particelle virali, è possibile che vengano attivati meno interferoni. Va da sé, quindi, che, nei giorni con un’elevata concentrazione, si possa registrare un aumento del numero di infezioni respiratorie.

Questo discorso, precisano gli autori dello studio, vale anche per la Covid-19. “Non è possibile evitare l’esposizione al polline trasportato dall’aria”, commenta l’autrice Stefanie Gilles. “Le persone a più alto rischio dovrebbero, quindi, essere informate che elevati livelli di concentrazione di polline nell’aria portano ad una maggiore suscettibilità alle infezioni virali del tratto respiratorio”. Per proteggersi, consigliano gli esperti, sarebbe una buona abitudine monitorare le previsioni sui pollini per prendere in considerazione l’idea, nei giorni con molto polline, di rimanere a casa. E, infine, indossare una mascherina dotata di filtro, per tenere lontani e fuori dalle vie aeree sia il virus che il polline.

Via: Wired.it

Credits immagine: Neli Cerquetella on Unsplash