Preistoria della musica: ecco i flauti del Neolitico

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Sono i più antichi strumenti musicali della storia dell’umanità: sei flauti di tipo verticale, a cinque, sei, sette e otto fori, risalenti a novemila anni fa (tre dei quali ancora perfettamente funzionanti) sono stati ritrovati da un team di ricercatori cinesi e statunitensi nel sito archeologico di Jiahu, villaggio preistorico dell’era neolitica nella valle del fiume giallo, nel cuore della provincia di Henan. I ricercatori hanno annunciato lo straordinario ritrovamento sull’ultimo numero di Nature.

I primi resti dell’insediamento neolitico, in realtà, erano stati riportati alla luce nel 1962. A quasi quaranta anni da quell’eccezionale ritrovamento, però, solo una piccola parte del sito – appena il cinque per cento dell’area complessiva – è stata esplorata, mentre più di cinquantamila metri quadri di superficie rimangono ancora sepolti sotto una spessa coltre di fango e detriti. Grazie alla clamorosa scoperta, tuttavia, presto i lavori di scavo potrebbero subire una brusca accelerazione.

Tre flauti perfettamente funzionanti

“Si tratta sicuramente di una scoperta straordinaria per l’antropologia e per la musica”, dichiara Juzhong Zhang, paleontologo dell’Università delle Scienze e delle Tecniche della Cina e autore dell’articolo, “anche perché gli strumenti, tutti databili tra il 7000 e il 5700 a. C., sono in buone condizioni, tanto che è stato possibile provare la loro funzionalità e ascoltarne il suono”. Dopo essere stati in silenzio per novemila anni, infatti, tre dei sei flauti ritrovati a Jiahu sono ancora in grado di produrre musica. Merito, forse, del materiale particolarmente resistente di cui sono fatti – le ossa alari della gru ‘rosso coronata’ (Grus japonensis Millen) – e di coincidenze fortuite che ne hanno favorito la conservazione.

Le melodie del neolitico

Dopo un’attenta fase di restauro degli strumenti, l’équipe, coordinata da Huang Xiangpeng della Music School of the Art Institute of China, ha proceduto all’analisi del suono, concentrandosi sui tre flauti che risultavano in condizioni migliori. In particolare, gli scienziati hanno analizzato le frequenze del suono prodotto dal reperto M282:20 (il secondo flauto dal basso nella figura), con uno speciale stroboscopio, lo “stroboconn”.

Gli studi condotti sugli altri due strumenti, invece, hanno riguardato l’analisi delle frequenze sonore emesse in due differenti esecuzioni: la prima con l’imboccatura del flauto posta a 45° verso l’alto rispetto alla bocca del musicista, la seconda a 45° verso il basso. L’analisi tonale ha rivelato che i sette fori dei flauti corrispondono ad una scala molto simile a quella occidentale a otto note, quella – per intenderci – che comincia con “do, re, mi”, mentre il piccolo foro vicino al “la” veniva usato per ottenere un suono intermedio fra il “sol diesis” e il “la”. Una prova, secondo i ricercatori, del fatto che i musicisti dell’era neolitica erano in grado di riprodurre suoni più articolati delle singole note, e di comporre, dunque, delle vere e proprie melodie complesse.

Una finestra sulla preistoria

La scoperta, dicono i suoi autori, servirà ad approfondire gli studi sul ruolo della musica nelle civiltà preistoriche, andando a completare il quadro affascinante e complesso già in parte tracciato da altre ricerche sull’argomento. E le ipotesi avanzate fin qui dai paleontologi combaciano perfettamente con quanto già dimostrato in precedenza a proposito dello stretto legame fra musica e riferimenti cosmologici nel contesto culturale dell’antica tradizione cinese. E’ noto, infatti, che il ricorso all’esperienza musicale, durante i rituali, assumeva il significato di momento aggregante, nel quale la comunità ritrovava la propria identità sociale in piena armonia con l’universo naturale.

Gli strumenti ritrovati a Jiahu rendono adesso molto più definiti i contorni di questo quadro, fornendo agli esperti indicazioni qualitative sul tipo di musica prodotta dalle popolazioni neolitiche. “Se riusciremo a ricostruire i modelli di altri due flauti”, afferma Zhang “potremo confrontare le loro scale tonali con quella esatonale di Qing Shan e quella eptatonale di Xia Shi, di seimila anni più giovani”.

Fonte: Nature

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