Pronti? Si parte

Salpata martedì 24 ottobre 2006 dal porto di San Diego, in California, la nave Atlantis, di proprietà della Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi), si è subito diretta verso la dorsale dell’est-pacifico (East Pacific Ridge – Epr). La topografia e la dislocazione dei siti idrotermali che sono la nostra destinazione finale – un’area centrata attorno ai 104 di longitudine e 9.30 di latitudine nord e approssimativamente lunga 100 chilometri e larga 10 – sono ben noti. Inoltre, molte delle specie lì presenti sono già state studiate. Infine, a bordo della nave si trova un sommergibile, il Dsv Alvin, che permetterà ai ricercatori di immergersi nei fondali marini, a profondità di circa 2,5 chilometri.

Il gruppo imbarcato sull’Atlantis comprende biologi, genetisti, ed ecologi marini. Più altri ricercatori per la parte fisica, chimica e dinamica. Sperimentali e teorici. Arrivati a destinazione, sono previste una ventina di immersioni dell’Alvin, il sommergibile che nel 1977 scoprì le prime forme di vita a grandi profondità. In questo modo biologi, chimici e genetisti potranno prelevare dei campioni e mettere delle trappole per la cultura delle larve; mentre i fisici rilasceranno un tracciante, l’esafluoride SF6, e una Ladcp (Lowered Acoustic Doppler Current Profiler) rispettivamente per le misure di diffusione e avvezione. Inoltre, un sofisticato sistema di telecamere permetterà di girare dei video. Infine, un ultimo strumento verrà calato dall’imbarcazione: la Ctd rosette, che permette di misurare la conduttività, la temperatura e la profondità dell’acqua contenuta nelle diverse bottiglie. Sulla gabbia metallica che racchiuderà queste bottiglie, sarà installato un altro Ladcp, di cui mi occuperò personalmente, per i profili verticali della velocità orizzontale. Che servirà a stabilire come varia la corrente orizzontale al variare della profondità.

Il giorno prima dell’arrivo sul luogo delle nostre rilevazioni, la truppa è nel pieno dei preparativi. Gli strumenti vengono freneticamente montati e i responsabili della spedizione – Andreas Thurnherr da Lamont, James Ledweel e Lauren Mullineaux dall’Whoi – preparano un piano dettagliato per coordinare i vari gruppi tra turni diurni e notturni. Più di 300 nuove specie sono state finora scoperte nei siti idrotermali e la possibilità di allungare la lista non entusiasma solo la comunità scientifica. Ma anche le industrie farmaceutiche, impazienti di trovare nuovi miracolosi ingredienti per le loro medicine. A rovinare un po’ l’atmosfera è un’inconfessata paura che aleggia nei sei laboratori improvvisati a bordo: quella di non trovare nulla. All’inizio dell’anno, non lontano dalla nostra destinazione, si è verificata un’eruzione vulcanica sottomarina. Che potrebbe aver spazzato via le varie popolazioni. In tal caso, ci vorranno probabilmente un paio di anni prima che i biologi marini possano trovare di nuovo qualcosa di interessante.

Le giornate a bordo dell’Atlantis sono scandite dai turni di lavoro e dai pasti. Sebbene tutti siano contenti di vivere quest’esperienza, non si può negare che la vita sia piuttosto monotona. Ci sono pochi eventi che contribuiscono a distrarci. C’è chi si dedica alla lettura di un libro, magari preso in prestito dalla libreria di bordo molto ben fornita; altri si chiudono in sala proiezioni, dotata di circa 7000 Dvd. C’è anche chi va a passare qualche ora nella piccola palestra di cui è dotata la nave.

Ma l’attrazione principale della nave è sicuramente Alvin, il sommergibile a cui si deve la prova dell’esistenza degli siti idrotermali. La sua storia inizia esattamente 50 anni fa quando Allyn Vine, il ricercatore del Whoi da cui il sottomarino prende il nome, cominciò a progettare un veicolo che permettesse di esplorare le profondità dell’oceano. Dal prototipo iniziale, che poteva immergersi solo fino a 30 metri, a quello attuale, i moduli di cui Alvin è composto sono stati radicalmente modificati. Il modello attuale impiega circa due-tre ore per scendere alla profondità massima possibile, 4500 metri, e altrettante per risalire. Le rimanenti quattro ore concesse dall’autonomia delle batterie sono spese dai tre passeggeri – un pilota e due osservatori – per esplorare i fondali marini e compiere diversi tipi di esperimenti.

Il monitoraggio di queste zone remote e buie, illuminate da lampade esterne, è reso possibile da quattro fotocamere montate sull’Alvin. Che permettono di girare filmati e di scattare fotografie. Due buffe braccia esterne comandate idraulicamente raccolgono campioni che vengono deposti nei cestini agganciati sulla parte anteriore del sommergibile dove si trovano anche alcuni strumenti, per esempio i termometri. Proprio all’interno di quei contenitori, di ritorno dai fondali dalle Galapagos, i ricercatori trovarono, più di due decadi fa, strane creature la cui l’esistenza era fino allora sconosciuta. Come l’Alvinella pompejana, scoperta nel 1980, che fu così battezzata in onore del sommergibile. I biologi, infatti, mai avrebbero pensato che a 2500 metri di profondità, dove la pressione è tale da schiacciare un essere umano, potesse esserci vita.

Come a ricordare quel senso di incredulità che accompagnava i primi esploratori di queste profondità oceaniche, è tradizione quella di mettere delle tazze di plastica da caffè, dipinte a mano, in una borsa a rete che viene ancorata all’esterno di Alvin. E di osservare al loro ritorno sulla superficie marina l’effetto della pressione: le tazze sono talmente schiacciate da diventare una sorta di miniatura.

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