Respinta l’offensiva nipponica

Si sono conclusi oggi a Shimonoseki, in Giappone, i lavori della 54esima Commissione Baleniera Internazionale (Iwc), l’organismo che regolamenta la caccia ai grandi cetacei. Un appuntamento temuto dagli ambientalisti e atteso con ansia dai nipponici, principali cacciatori e consumatori della carne di balena. Ma i rappresentanti del Paese del Sol Levante ne sono usciti con le ossa rotte: la loro richiesta di procedere con il voto segreto non è passata, non hanno ottenuto l’aumento della quota di balene cacciabili, né sono riusciti a far rientrare l’Islanda nella Iwc, che avrebbe permesso al Giappone di conquistare la maggioranza semplice in seno alla Commissione. E di poter chiedere, quindi, la sospensione della moratoria e la riapertura della caccia a fini commerciali. Le votazioni a scrutinio segreto poi gli avrebbero consentito di nascondere quella politica di acquisto dei voti finora portata avanti alla luce del sole. L’Agenzia Giapponese della Pesca avrebbe infatti investito lo scorso anno 47 milioni di dollari (51 milioni di euro) per sostenere il settore ittico di molti Paesi in via di sviluppo. Come il Marocco, un Paese firmatario di accordi per la tutela delle balene che il Giappone tenta di portare dalla sua parte. “Quegli aiuti, in realtà, erano finalizzati a ottenere voti nella Commissione. E poi il Giappone avrebbe voluto pescare, oltre alla quota già concessagli, 50 esemplari di balenottere”, dice Domitilla Senni direttore di Greenpeace Italia e sua rappresentante alla riunione di Shimonoseki. Una richiesta, questa, che secondo i giapponesi sarebbe giustificata dal fatto, piuttosto inverosimile, che in alcune zone gli animali sono troppo numerosi, minacciando addirittura la sopravvivenza di altre specie marine. “Peccato”, continua Senni, “che il rapporto scientifico della Commissione annoveri le balenottere tra le specie a rischio di estinzione”.Le balene, dunque, hanno vinto in territorio nemico. L’industria baleniera giapponese, infatti, è la più agguerrita tanto che quando entrò in vigore la moratoria, lo Stato nipponico, costretto ad accettarla dalle pressioni degli Stati Uniti, ricorse alla scappatoia della caccia a fini “scientifici”. Da allora, i giapponesi si autoassegnano quote annuali crescenti, e dal 1994 hanno aperto addirittura una nuova area di caccia nel Pacifico settentrionale. Tutto questo contro il parere del comitato scientifico della Iwc, che nel 1997 ha dichiarato ininfluenti i risultati di questo tipo di ricerca scientifica. E debole appare anche la motivazione della tradizione culinaria, che appare piuttosto un pretesto per non riconvertire un’industria ben lucrosa. Se nel passato, infatti, la carne di balena era un elemento fondamentale della dieta della popolazione, oggi è praticamente una leccornia, un lusso che pochi possono permettersi. E che oltretutto procura alle balene una morte straziante: catturate con arpioni elettrici e issate a bordo delle navi muoiono scuoiate vive o dissanguate. Il Giappone, tuttavia, si è preso una sua rivincita. Ha votato, infatti, contro l’assegnazione di quote di caccia a popoli tradizionalmente dediti a questa attività, come gli Inuit e Chukotka. “Ha negato loro per la prima volta questo diritto per poterlo barattare con le 50 balenottere richieste”, spiega Senna. “E’ stata una mossa strumentale e cinica”, commenta l’ambientalista, “gli Inuit praticano una caccia di sussistenza, mentre i giapponesi lo fanno solo per profitto e non a caso questa richiesta viene rifiutata loro da 14 anni”. Si è risolta purtroppo in un nulla di fatto anche la proposta di istituire due Santuari dei Cetacei nel Pacifico e nell’Atlantico meridionali. Anche se molti Paesi, tra cui Samoa e la Papua Nuova Guinea, stanno provvedendo autonomamente a istituire aree dove i cetacei possano nuotare tranquilli, come già hanno fatto la Polinesia francese e le isole Cook. Un esempio di turismo eco-compatibile, quello del whale-watching (l’osservazione delle balene) praticato da agenzie autorizzate in 87 Paesi con un business di circa un milione di dollari l’anno. Ma se il Giappone è il nemico numero uno delle balene, non è certo l’unico. La Norvegia, che pure ha condiviso le stime della Commissione sul rischio di estinzione dei cetacei, non lascia ben sperare. “La sua storia ci insegna che continuerà a cacciare le balene piegando le regole della pesca alle esigenze commerciali”, afferma Senni. Tra i cacciatori di balene, figurano anche Cina, Russia e Corea, già alleati del Giappone, nonché numerosi piccoli stati-isola e persino la Mongolia, che hanno votato contro il diritto di caccia degli aborigeni.Anche il fronte conservazionista però si è rinforzato, con lo schieramento dello Stato di St. Vincent, l’unico tra i cinque Paesi caraibici, ad opporsi alle richieste del Giappone. E un contributo importante è giunto quest’anno, oltre che dall’Italia, dalla Repubblica di San Marino, entrata per la prima volta nella Commissione.

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