Reti fuorilegge

Per delfini e capodogli il Mediterraneo non è ancora un mare sicuro. E i frequenti episodi di cattura accidentale dovuti all’impiego di reti da pesca derivanti non lasciano dubbi. “Eppure non dovremmo essere qui a parlarne”, ha detto Walter Caporale, presidente degli Animalisti Italiani, presentando oggi a Roma, un ricco dossier sui danni provocati da un tipo di pesca che, nonostante i divieti, è ancora praticato nel nostro paese. Il regolamento 1239/98 dell’Unione Europea prevedeva infatti il bando totale delle reti pelagiche derivanti (le cosiddette spadare) già a partire dal 2002. Si tratta di reti non selettive, lunghe anche più di due chilometri, posizionate vicino alla superficie dell’acqua, che causano ogni anno la morte di cetacei, tartarughe ed uccelli marini. Per quanto riguarda le acque italiane le specie più a rischio sono la stenella e il capodoglio. Lo ha sottolineato Giancarlo Lauriano, ricercatore dell’Icram, che ha riportato i dati di un rapporto sugli spiaggiamenti dei cetacei in Italia dal 1986 al 2002. Nel caso dei capodogli più della metà degli episodi registrati è dovuto alla cattura accidentale. Non a caso l’International Whaling Commission nel 1990 considerò il bycatch (cattura accidentale) una seria minaccia per la sopravvivenza di alcune popolazioni di cetacei, tra cui, per l’appunto, quelle del Mediterraneo. Avvertenze inascoltate. “In Italia infatti – ha detto l’avvocato Valentina Stefutti, esperta di diritto dell’ambiente – non solo si continua a pescare illegalmente con reti derivanti (26.700 chilometri di rete sequestrati dallo scorso luglio ad oggi, secondo i dati del Comando Generale delle Capitanerie di Porto), ma si cerca anche di aggirare la normativa europea con decreti ad hoc, come quello del 27 marzo 2003, che concedono deroghe assai ambigue”.(g.d.o)

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