Ripensare gli zoo

A Fasano ce ne erano troppe, a Roma invece mancavano da sei anni. Motivo per cui due giovani giraffe sono state prelevate dallo Zoo safari che si trova in provincia di Brindisi e spedite al Bioparco della capitale. Contravvenendo così allo statuto dello stesso Bioparco in cui si legge che, a meno che non si tratti di specie domestiche, gli animali vivi possono essere ospitati solo se minacciati di estinzione, sequestrati a privati e a circhi o feriti. “Lo Statuto del Bioparco viene quasi sempre rispettato”, ha risposto Monica Cirinnà, consigliere comunale delegato ai diritti degli animali, “tanto che il 60 per cento degli animali che arrivano allo zoo cittadino proviene dai sequestri effettuati dall’organo della guardia forestale dello Stato, sulla base della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites). Nel caso delle giraffe, però, per il quale esprimo la mia contrarietà, c’è stata una violazione allo Statuto”. D’altronde, la situazione è destinata a rimanere immutata “fino a quando sarà redatto il nuovo contratto di servizio tra il Comune di Roma e gli altri soci della Bioparco Spa (la Costa Edutainment e la Cecchi Gori Holding), i quali, in virtù della legge 142 sulle società a capitale pubblico, detengono il potere decisionale e sostengono le spese per mantenere gli animali”, prosegue Cirinnà.Polemiche a parte, con il ritorno delle giraffe al Bioparco ci s’interroga ancora una volta sulla vita degli animali in cattività. Non c’è dubbio che vivano più a lungo che in natura, ma anche che vengono colpiti più frequentemente da malattie, sia fisiche che psicologiche. “Si calcola”, dice Giuli Cordara dell’Animal and Nature Conservation Found (Ancf), “che almeno 80 milioni di animali tenuti in cattività presentano quelli che vengono definiti ‘disturbi comportamentali’. In pratica ripetono fino all’esasperazione rituali sconosciuti in natura, come per esempio il continuo camminare avanti e indietro lungo il perimetro delle gabbie”. In passato, alcuni etologi ipotizzavano che gli animali in questo modo volessero recuperare la libertà perduta ma i recenti studi di una équipe, coordinata da Joe Garner dell’Università della California, hanno dimostrato che gli animali affetti da questi disturbi soffrono in realtà di una forma di malattia mentale simile alla schizofrenia umana. Combattono tra di loro, diventano autolesionisti, e si ammalano più facilmente. Lo stress, infatti, dovuto anche alla presenza dei visitatori e alla vicinanza di animali che in natura sono loro predatori, ne indebolisce il sistema immunitario, rendendoli soggetti a virus, parassiti e malanni di vario tipo. Molte giraffe, per esempio, soffrono di problemi di artrite (come pure molti elefanti) e di eccessiva crescita delle unghie se il terreno non è abbastanza abrasivo, mentre una buona percentuale di gorilla in cattività muore di malattie cardiovascolari, soffre di infertilità e di disturbi alimentari. E’ probabile che ciò sia la conseguenza dell’impossibilità di accedere, come farebbero nel loro habitat, alle fonti di cibo, di acqua, e a quelle sostanze bioattive con le quali si automedicano (argilla, piante medicinali e così via). “Buona parte della ricerca zoologica”, ha affermato Gustavo Gandini della Facoltà di medicina veterinaria dell’università di Milano, “è orientata verso il miglioramento dell’alimentazione dal punto di vista della qualità degli alimenti, ma anche della forma, dei tempi e dei modi di somministrazione del cibo. Occorre mimare gli aspetti comportamentali della nutrizione, anche allo scopo di lenire la noia dell’animale”. Ma le difficoltà non mancano, prima fra tutte “l’estrema varietà delle specie e l’impegno limitato di pochi zoo di alta qualità”.Essenziale al benessere degli animali è anche la luce del Sole, tanto che alcuni primati, a causa di della carenza di vitamina D, soffrono di deformazioni ossee. In cattività, poi, è impossibile o quantomeno difficile muoversi adeguatamente (si pensi alle tigri abituate a percorrere ogni notte 50 chilometri o agli elefanti che viaggiano per centinaia di chilometri). Non sorprende che gli animali selvaggi abbiano un cuore più forte e resistente dei loro simili confinati in gabbie e recinti.Una situazione artificiale e innaturale per gli animali anche quando, secondo Cordara, il fine è la conservazione: “La detenzione degli animali in cattività ai fini conservazionistici, è un progetto difficile in quanto non esiste più la pressione evolutiva alla quale sono soggetti in natura e cambia la distribuzione della varietà genetica all’interno della “popolazione”. Ciò significa che anche se si riesce a far riprodurre gli animali, essi saranno geneticamente sempre più simili e la diminuzione della variabilità genetica è il pericolo maggiore per una specie a rischio. Non sarà più in grado, infatti, di rispondere a eventuali variazioni ambientali, a nuove malattie, e così via”. Lo scopo ultimo dei programmi in cattività dovrebbe essere quello, secondo la dirigente dell’Ancf, di garantire la sopravvivenza allo stato selvatico delle specie debilitate: “E al posto degli zoo come vengono intesi e gestiti oggi, ci dovrebbero essere strutture sui modelli dei bioparchi che svolgano realmente compiti di educazione, ricerca scientifica e conservazione”.

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