Perché studiare come queste scimmie resistono all’Aids

cercocebo
(Credit: Courtesy Yerkes National Primate Research Center, Emory University)
cercocebo
(Credit: Courtesy Yerkes National Primate Research Center, Emory University)

Nella storia della lotta all’hiv si ricorda il caso del paziente di Berlino, una persona con hiv guarita dall’infezione in seguito a un trapianto di staminali per trattare la sua leucemia. Una guarigione eccezionale, imputabile alla resistenza delle cellule del donatore all’infezione da hiv. Un caso che, sotto alcuni aspetti sottolinea, come nella lotta all’hiv, studiare i bersagli del virus, i suoi ospiti, è fondamentale tanto quanto la caratterizzazione del virus. E un nuovo tassello nello studio dei bersagli del virus dell’Aids arriva oggi da una ricerca pubblicata su Nature.

Lo studio in questione però non riguarda l’hiv e la resistenza al virus, ma il simian immunodeficiency virus (Siv), un virus simile all’hiv, un suo parente, che infetta diversi primati, causando Aids. Con alcune eccezioni: nel cercocebo moro(Cercocebus atys), una scimmia del vecchio mondo, l’infezione da Siv non sviluppa Aids. Il virus c’è ma non causa immunodeficienza. Lo stesso non accade però nei macachi, in cui l’infezione da Siv evolve in una malattia simile all’Aids. In che modo questa scimmia riesce a convivere con il Siv, anche con elevati livelli del virus?

Per capirlo, un team di ricercatori guidati da Guido Silvestridello Yerkes Research Center della Emory University di Atlanta ha deciso di analizzare il genoma del cercocebo moro e ha quindi confrontato i risultati con il dna di altre specie suscettibili all’Aids, come sono gli esseri umani e i macachi (modello di malattia per l’uomo).

Scopo: identificare delle tracce, dei possibili geni con potenziale di influenzare le diverse suscettibilità all’Aids. Qualcosa però, come racconta Silvestri a Wired.it, era già noto: “I meccanismi generali per cui i cercocebi non sviluppano l’Aids sono stati descritti dal nostro gruppo, e consistono in ridotta attivazione immunitaria e infezione di sottopopolazioni di linfociti CD4+(bersaglio del virus, nda) a vita più breve, quindi meno indispensabili per la funzione del sistema immunitario”. Malgrado alcuni aspetti dell’infezione da Siv siano noti dunque, i meccanismi con cui questi animali riescono ad evitare l’Aids rimangono poco chiari, scrivono i ricercatori. Per questo l’idea è stata quella di allargare lo sguardo analizzando i geni.

E lo studio del genoma del cercocebo ha portato alla luce oggi nuovi aspetti. Nel dettaglio ha mostrato che esistono diversi geni implicati nel sistema immunitario che presentano differenze marcate nei cercocebi, rispetto a specie suscettibili di Aids. “I due geni principali che differiscono in modo drammatico tra cercocebi da una parte e uomini e macachi dall’altra sono il TLR4 e l’ICAM-2”, spiega Silvestri, “Il TLR4 è un gene che regola la risposta immunitaria a prodotti batterici, e l’ICAM-2 regola invece il traffico delle cellule immunitarie tra il sangue ed i tessuti”, riprende Silvestri. L’assenza di TLR4 funzionante comporterebbe una ridotta attività proinfiammatoria nell’ospite naturale.

“Il prossimo passo”, riprende il ricercatore, “sarà quello di cercare di modificare in vivo la funzione di questi geni nei macachi, le scimmie che se infettate con Siv sviluppano l’Aids, così come gli esseri umani infettati con hiv, e vedere se questo approccio li possa rendere resistenti all’Aids”.

La possibilità che caratteristiche di resistenza simili a quelle osservate nei cercocebi siano presenti in alcuni individui nella popolazione umana esiste, ed è uno degli aspetti su cui si concentra l’attenzione dei ricercatori: “In passato sia noi che altri gruppi avevamo identificato dei piccoli gruppi di persone infettate con hiv che hanno delle caratteristiche immunologhe simili ai cercocebi, ma sono rarissimi”, spiega il ricercatore. Persone cioè che, pur con elevati livelli del virus, non progrediscono nella malattia. “I risultati di questo studio ci danno la possibilità di indagare più a fondo questa ipotesi”, ci spiega Silvestri.

“I cercocebi mori e altri ospiti naturali sono stati per gli scienziati per anni come una sorta di roadmap per la caccia a terapia contro Aids, ma finora eravamo in grado solo di guardare un pezzettino di mappa alla volta”, aggiunge Steve Bosinger, tra gli autori del paper, “Adesso, esaminando il genoma di intere specie, crediamo di poter accelerare scoperte che possono fare la differenza nella lotta contro hiv e Aids”.

Via: Wired.it

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