Planano, si allargano, si ricongiungono, picchiano, sciamano a folle velocità. Eppure non si scontrano mai. Come fanno gli uccelli che volano a stormi (e, mutatis mutandis, i pesci che nuotano in banco) a sapere istantaneamente quale direzione prenderà il gruppo ed evitare quindi di scontrarsi gli uni con gli altri? La spiegazione del fenomeno, dice un gruppo di scienziati della New York University in un articolo appena pubblicato su PNAS, viene dalla fisica, e in particolare dall’aerodinamica: gli animali sono infatti in grado di “avvertire” il flusso di aria o di acqua generato dai loro simili in movimento – la loro scia, in altre parole – e di spostarsi di conseguenza. Una scoperta, spiegano gli autori del lavoro, che potrebbe trovare applicazioni anche in campo energetico, migliorando i dispositivi che sfruttano il moto di aria e acqua per generare elettricità.
Cosa c’entrano gli stormi con la fisica?
“I flussi di aria e di acqua generati durante il volo o il nuoto”, spiega Joel Newbolt, dottorando al dipartimento di fisica della New York University e primo autore dello studio, “possono prevenire le collisioni e le separazioni, persino tra individui con diversa frequenza di battito alare e diversa velocità. Il fenomeno che abbiamo scoperto permette agli individui più lenti di rimanere vicini a quelli più veloci, sfruttandone la scia aerodinamica”. Non è la prima volta che i fisici si interessano delle dinamiche che regolano il movimento degli stormi: impossibile non citare, tra gli altri, i lavori del fisico italiano Giorgio Parisi, che ha studiato a lungo gli uccelli dei cieli di Roma per caratterizzarne i comportamenti collettivi.
Robottini in volo (o a nuoto)
Per comprendere i meccanismi aerodinamici coinvolti nel fenomeno, i ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti allo Applied Math Lab del Courant Institute. Gli scienziati, in particolare, hanno messo a punto uno stormo robotico, composto di superfici che simulavano le ali e le pinne, in grado di muoversi in alto e in basso e di “nuotare” in avanti (simulando rispettivamente il moto alare e quello delle pinne, per l’appunto); il movimento verso l’alto e verso il basso era regolato da un motore, mentre la nuotata era libera e dipendeva unicamente dalla pressione esercitata dal fluido che conteneva le superfici (acqua, nel caso dell’esperimento).
Uccelli surfisti
Nel corso dell’esperimento, i ricercatori hanno variato la frequenza alare delle singole superfici, per rappresentare uccelli (o pesci) più o meno veloci: i risultati hanno mostrato, per l’appunto, che una coppia di superfici con frequenze alari differenti, che nuoterebbero o volerebbero a velocità diverse se fossero da soli, si muovono in realtà insieme, senza separarsi né scontrarsi, in virtù delle interazioni aerodinamiche tra la scia dell’individuo che conduce e quello che segue. Più precisamente, è come se il secondo individuo “surfasse” sull’onda aerodinamica lasciata dal primo, accodandoglisi quel tanto che basta: a una certa distanza, l’effetto aerodinamico lo “risucchia”, consentendogli di non distanziarsi troppo; a distanze brevi, l’interazione diventa repulsiva, il che scongiura il pericolo di collisioni.
Riferimenti: Pnas
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