Siamo pronti per un’altra nube vulcanica?

Chi (come me) ha un volo aereo prenotato per il weekend avrà avuto una fitta allo stomaco nel vedere al telegiornale le immagini di un vulcano in piena attività accompagnate dalla sigla: un altro vulcano islandese, il Grimsvötn, minaccia lo spazio aereo europeo.

È passato poco più di un anno da quando l’impronunciabile Eyjafjallajökull ha sputato enormi quantità di cenere a diversi chilometri di altezza compromettendo per giorni lo spazio aereo di tutta europa e creando enormi disagi: 800 persone evacuate, migliaia di viaggiatori rimasti a terra, un danno complessivo di quasi 2 miliardi di euro. Alla luce di quanto accaduto l’anno scorso è normale che, mentre in Islanda la nube sta depositando uno spesso strato di cenere scura sulle macchine e sui tetti delle case, nel resto d’Europa i pendolari del cielo incrocino le dita con violenza.

Per ora l’eruzione di Grimsvötn ha inciso solamente sugli spazi aerei di Islanda e parte della Groenlandia, portando alla chiusura dell’aeroporto di Reykjavik, mentre, stando alle previsioni dell’agenzia Eurocontrol ( qui il liveblogging ufficiale su Twitter), gli spazi aerei non dovrebbero subire limitazioni di qui alle prossime 48 ore. Si prevede che entro martedì le ceneri possano raggiungere il nord della Scozia per poi arrivare in Francia e nella zona ovest della Spagna entro giovedì. Le condizioni metereologiche di vento e pressione, inoltre, sarebbero più favorevoli rispetto a un anno fa.

Fare previsioni più precise di così, ricordano da Eurocontrol, è ora impossibile. Tuttavia, gli esperti si dicono fiduciosi che le conseguenze di questa nuova eruzione non saranno paragonabili a quelle causate da Eyjafjallajökull. Innanzitutto, per le caratteristiche del vulcano e della cenere che esso sta eiettando a 12 chilometri di altezza. “ Le particelle questa volta non sono così sottili”, spiega Gunnar Gudmundsson dell’Ufficio Metereologico Islandese: “ perciò non credo avremo gli stessi effetti dell’anno scorso”. Particelle più pesanti tendono a depositarsi in minor tempo e sarebbero meno soggette a diffondersi a lunghe distanze.

C’è anche la ragionevole speranza che l’intensità delle eruzioni diminuisca più rapidamente. Basta considerare che mentre Eyjafjallajökull prima del marzo dell’anno scorso aveva covato l’eruzione per 187 anni, Grimsvötn ha già registrato 9 eruzioni dal 1922 ad oggi. L’ultima era avvenuta nel 2004 e le ceneri si erano diffuse fino ai cieli dell’europa centrale senza causare significative cancellazioni di voli di linea.

Inoltre, rispetto a un anno fa, la situazione normativa è significativamente cambiata. Nell’aprile del 2010, infatti, non esistevano specifiche ufficiali sulla soglia di pericolosità della concentrazione di ceneri nell’aria.

Le aziende produttrici di motori aerei non erano mai state obbligate a definire simili parametri, perciò ogni concentrazione di particelle nell’aria superiore allo zero era da considerarsi pericolosa e di conseguenza comportava l’istituzione di una no-fly zone. Come è stato abbondantemente dimostrato dopo che Eyjafjallajökull è tornato a dormire, simili precauzioni si sono in molti casi rivelate esagerate.

Così, il 21 aprile del 2010 la Civil Aviation Authority britannica ha fissato un limite di concentrazione di ceneri nell’aria di 0,002 grammi per metro cubo, al di sopra del quale dovrebbe scattare la no fly zone. Soglia che il 18 maggio dello stesso anno è stata ulteriormente alzata al livello di 0,004 grammi/metro cubo e affiancata dall’istituzione di un nuovo tipo di Fly Zone, chiamata Time Limited Zone (Tlz). Secondo questi parametri, ai velivoli che dimostrino di saper tollerare simili concentrazioni sarà permesso transitare in zone aeree caratterizzate da concentrazioni comprese tra gli 0,002 e gli 0,004 g/metro cubo, ma solo per un limitato periodo di tempo.

Nel frattempo, gli effetti del vulcano Grimsvötn hanno raggiunto la borsa dove i titoli delle principali compagnie aeree hanno aperto in netto ribasso (Ryanair, ad esempio, ha registrato un -6,40%). Oltre che disagi logistici, infatti, eruzioni di questo tipo hanno forti ricadute economiche che nell’ultimo anno hanno spinto diversi laboratori di ricerca a concentrarsi su soluzioni che possano arginare situazioni drammatiche come quella dell’aprile 2010.

A questo proposito, solo un mese fa, un gruppo di ricercatori della Ohio State University ha annunciato di essere al lavoro su un nuovo tipo di rivestimento ceramico che aiuterebbe a minimizzare i problemi derivanti da alte concentrazioni di cenere vulcanica nei motori. Solitamente, infatti, i motori d’aereo sono ricoperti da uno strato di rivestimento ceramico poroso che protegge le componenti metalliche da temperature che possono raggiungere i 1.400 gradi centigradi. Quando l’areo è in volo e la cenere entra in contatto con questo rivestimento e il calore fa sì che particelle di silice si fondano e penetrino in profondità nei pori del rivestimento, andando a generare ingenti danni una volta che il motore si raffredda. I ricercatori hanno testato un nuovo rivestimento composto da zirconio e alluminio che ha dimostrato di ridurre notevolmente la penetrazione di silice in profondità, permettendo così al rivestimento di rimanere intatto anche in occasioni di significative concentrazioni di ceneri vulcaniche.

Non si tratta ovviamente di una soluzione definitiva (con alte concentrazioni di cenere il motore si danneggerebbe comunque), ma le compagnie aeree sperano che possa aiutare a diminuire il numero di aerei costretti a rimanere a terra in situazioni come quella di questi giorni.
Riferimenti: wired.it

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