Solo legno doc

In Africa il 50 per cento del legno prodotto è di origine incerta, in Indonesia il 70 per cento del legno esportato ha origini illegali, nell’Amazzonia brasiliana il traffico illecito di legname interessa l’80 per cento della produzione. In questi paesi il taglio degli alberi è spesso legato alle attività della criminalità organizzata o a quella di fazioni armate, che, pur adottando delle procedure illegali per l’abbattimento delle piante, riescono poi a vendere il legname all’estero attraverso documenti falsificati. Così sul mercato occidentale arrivano tonnellate di legname ricavato dal taglio di zone protette e i consumatori ignari avallano loro malgrado la deturpazione di riserve preziose di biodiversità. Ma ora le cose potrebbero cambiare: il Consiglio d’Europa ha approvato, il 13 ottobre scorso, il piano contro il commercio del legno illegale. Una prima vittoria delle associazioni ambientaliste – Greenpeace, Fern (la campagna dell’Unione Europea per le foreste), Wwf e Friends of the Earth – che da tempo chiedevano una legislazione europea in materia. Tocca ora alla Commissione, dando seguito così agli impegni presi nelle riunioni del G8, elaborare una legislazione che impedisca la perpetuazione di questo crimine.Il commercio illegale di legno ha almeno due ripercussioni importanti: da una parte lo sfruttamento irresponsabile delle foreste, dall’altro la distorsione del mercato. L’immissione di legno a basso costo, infatti, rende impossibile per le aziende adeguarsi a meccanismi sostenibili di raccolta del legno. Una legge potrebbe invece arginare la corruzione e permetterebbe l’implementazione di una serie di procedure per il riconoscimento del legno. E questo varrebbe sia per quello acquistato ancora allo stato grezzo, che per i prodotti già finiti. Per il momento “quando compriamo un oggetto di legno, sappiamo il tipo di legname usato e la sua provenienza, ma siamo totalmente all’oscuro della sua storia”, afferma Sergio Baffoni di Greenpeace Italia. “Esistono legni certificati Fsc (Consiglio per la Gestione Forestale Sostenibile, un’organizzazione no profit che ha elaborato una serie di principi e criteri per la gestione sostenibile delle foreste, ndr.), che regolano sia il prelievo, che i piani di rimboschimento”, dice Massimiliano Rocco del Wwf Italia. Un sistema che permetta di monitorare la vita di ogni pezzo di legno – dal taglio fino alla sua distribuzione – sarebbe, inoltre, un vantaggio per il consumatore, che saprebbe cosa acquista, per le imprese, che garantirebbero qualità, per le stesse istituzioni che darebbero prova di non consentire la ricettazione del legno. Delle leggi ben definite servirebbero inoltre a rendere più trasparente l’industria del legno, risollevando il materiale da prodotto a basso costo adatto per prodotti usa e gesta, a materiale nobile. Fino ad ora, l’unico accordo internazionale per prevenire il commercio illegale del legno è quello dell’aprile del 2002 tra Gran Bretagna e Indonesia. “Un passo importante”, commenta Baffoni, “al quale è seguito un accordo analogo tra Gran Bretagna e Cina”. Il successo dell’iniziativa inglese sta a significare, secondo il portavoce di Greenpeace, che una legislazione europea, sia a livello comunitario che delle singole nazioni, servirebbe a dare l’esempio anche a paesi come la Cina o quelli del Sud Est asiatico che si stanno affacciando con grande forza sul mercato del legno. In questo modo, inoltre, l’Unione Europea riconoscerebbe l’importanza di una buona gestione forestale. Oltre che all’Europa, le associazioni ambientaliste chiedono una maggiore attenzione al problema del legno illegale anche all’Italia, primo esportatore mondiale di prodotti in legno e grande importatore di legnami dal Camerun. “Finora l’Italia ha dimostrato poca attenzione a riguardo”, afferma Baffoni. Un primo passo necessario è bloccare le importazioni di legname provenienti da imprese coinvolte in attività illegali (taglio illegale, traffico di armi, corruzione, lavoro forzato) e trasferire progressivamente tutti gli acquisti in legno verso prodotti provenienti da foreste certificate sia dal punto di vista ecologico che sociale. “Bisogna lavorare su due fronti”, afferma Rocco, “per modificare le leggi negli Stati esportatori e da noi per stroncare l’arrivo di legno di provenienza dubbia”.

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