Sversare le acque reflue di Fukushima nell’oceano: si può fare?

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(immagine: Pete Linforth via Pixabay)

Il Giappone ha annunciato di aver deciso di sversare nell’oceano 1,25 milioni di tonnellate di acqua di mare pompata all’interno della centrale nucleare di Fukushima Daiichi per raffreddare i reattori danneggiati dopo i devastanti terremoto e tsunami del 2011. La decisione, presa lo scorso aprile, ha suscitato reazioni preoccupate sia interne sia esterne, con Corea del Sud e Cina che hanno espresso il proprio disaccordo sulla soluzione proposta. Tuttavia gli esperti ritengono che il programma di smaltimento, se rispettato e compreso dall’opinione pubblica, avrà un impatto minimo sull’ambiente e sulle attività umane.

Mille splendidi serbatoi

La calamità naturale che ha colpito le coste orientali del Giappone nel marzo 2011 ha irrimediabilmente compromesso i sistemi di raffreddamento di alcuni reattori nucleari della centrale di Fukushima: per scongiurare il peggio, da 10 anni acqua di mare viene pompata all’interno per raffreddare i reattori. Quest’acqua ne esce contaminata e finora è stata raccolta in mille serbatoi collocati intorno alla centrale: una soluzione che non può essere portata avanti ancora a lungo.


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Per questo esperti mondiali di nucleare sono stati consultati per ideare una strategia di smaltimento delle acque reflue radioattive, e l’International Atomic Energy Agency (Iaea) conferma il suo impegno nell’affiancare il governo giapponese nella gestione del piano in tutte le sue fasi.

La strategia di smaltimento delle acque di Fukushima

Come ricordato anche dal direttore generale dell’Iaea Rafael Mariano Grossi, lo smaltimento delle acque reflue delle centrali nucleari in mare è un’operazione che rientra nella normalità di gestione di un impianto: esistono protocolli per la decontaminazione che rendono il livello di radioattività delle acque sicuro per l’ambiente.

Quello che verrà fatto a Fukushima non è concettualmente molto diverso, sostengono gli esperti, sebbene le condizioni che si sono create nei reattori giapponesi siano senza ombra di dubbio eccezionali: la quantità d’acqua da smaltire è particolarmente ingente ed essendo entrata a contatto col reattore fuso ha una concentrazione elevata di sostanze radioattive.

Le autorità giapponesi e i tecnici nucleari, comunque, sostengono di essere in grado di rimuovere la maggior parte dei radionuclidi, cesio e stronzio inclusi. Il trizio, invece, rimarrà nell’acqua, ma il suo impatto sarà limitato, senza contare che questo isotopo radioattivo dell’idrogeno è presente anche in natura.

Lo smaltimento, inoltre, avverrà in anni per garantire che i livelli di radiazioni rientrino nei limiti consentiti per l’acqua potabile. La diluizione delle acque reflue in quelle dell’oceano, infine, renderà i livelli di radiazione ininfluenti.

Tutto alla luce del sole

Al di là dei requisiti tecnici e del successo delle operazioni di smaltimento, grande attenzione dovrà essere riservata alla comunicazione del processo e dell’interpretazione dei risultati scientifici. La trasparenza sui monitoraggi ambientali e il mantenimento della fiducia dell’opinione pubblica devono essere al primo posto, altrimenti i danni di credibilità potrebbero rivelarsi il problema più grande per il Giappone sia a livello interno (con il crollo dell’economia legata all’industria della pesca e dei frutti di mare, per esempio) che nei confronti del resto del mondo.

Riferimenti: Nature; Iaea