Dall’inizio dell’anno a oggi sono già 12 le tartarughe “Caretta caretta” recuperate tra l’Argentario e il canale dell’Elba. Dopo un periodo di osservazione intensiva di alcuni mesi durante il quale sono stati assistiti e quindi etichettati, cinque esemplari sono stati restituiti al loro ambiente naturale. È successo l’8 marzo scorso sulla spiaggia di Collelungo nel Parco della Maremma. A occuparsi del recupero e della cura di questi animali i soci del Club subacqueo grossetano che gestiscono l’acquario di Grosseto, con l’aiuto anche dei pescatori locali.Il 60 per cento delle tartarughe che rimangono impigliate nelle reti dei pescherecci per più di 3-4 ore, non potendo respirare, riportano gravi danni al sistema respiratorio e in casi estremi muoiono. Altre ingeriscono ami molto grossi, utilizzati nella pesca con palamiti, che provocano emorragie interne. Altre ancora rimangono ferite in seguito allo scontro con le eliche delle barche. “In ogni caso”, spiega Chiara Caruso, veterinaria che si occupa della cura delle tartarughe, “facciamo sempre alcune radiografie per vedere che tipo di problemi presentano questi animali, poi passiamo alla somministrazione di antibiotici, vitamine e di cortisone per stimolarne l’appetito”.Il tratto di mare toscano è da tempo meta delle tartarughe Caretta caretta: tra il 2000 e il 2001 ne sono stati recuperati 25 esemplari, e altri 34 nell’anno successivo. Secondo alcune segnalazioni, purtroppo mai confermate, già negli anni Cinquanta furono ritrovati dei nidi sulla spiaggia di Collelungo, particolarmente adatta alla riproduzione delle tartarughe. “Le sue caratteristiche di temperatura ed estrema tranquillità favoriscono la deposizione delle uova da parte di questi animali”, spiega Giampiero Sammuri, presidente del Parco della Maremma e della Federparchi. Secondo gli ultimi studi effettuati sul comportamento di questi animali, sembrerebbe che le femmine adulte mantengano il ricordo del luogo dove sono state liberate così come normalmente ricordano il luogo di nascita. “Se così fosse”, afferma Sammuri, “è possibile che nell’arco di alcuni anni le tartarughe possano tornare in questa spiaggia per deporre le uova”.“Questi rettili provengono con ogni probabilità dalle regioni sud orientali del Mediterraneo come la Turchia e la Grecia”, spiega Riccardo Sirna, responsabile dell’acquario di Grosseto, “anche se un’altra ipotesi potrebbe essere che le tartarughe provengano dall’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra, ma per esserne sicuri dovremmo disporre di apparecchi satellitari da applicare agli esemplari per seguire i loro spostamenti”. Ci si riuscirà in un prossimo futuro grazie al centro per il recupero, lo studio e la riproduzione delle tartarughe marine a cui stanno lavorando l’ente Parco e Legambiente. Il progetto rientra nell’ambito del programma europeo “Life” che provvederà a finanziare le spese per la costruzione di laboratori funzionali, forniti di tutte le apparecchiature necessarie come raggi X, endoscopio, Gps per monitorare gli spostamenti delle tartarughe, nonché di vasche temperate con ricambio d’acqua marina. In Italia esistono già alcuni centri specializzati per le tartarughe in Sicilia, Sardegna, Liguria mentre mancano nella zona compresa tra Napoli e Livorno. “Siamo stati in Grecia a visitare un centro tartarughe simile a quello che vorremmo realizzare”, spiega Sammuri, “e abbiamo appreso quali sono le strade possibili da percorrere per favorire la nidificazione. Il metodo migliore è proprio quello di liberare continuamente gli esemplari nel solito luogo, anziché creare dei nidi artificiali. È indispensabile quindi che il centro disponga di tutte le attrezzature necessarie per il pronto soccorso dei soggetti feriti e che si trovi in prossimità della spiaggia”.