Tonni sull’orlo dell’estinzione

“Nel giro di 35 anni, nell’Atlantico occidentale, abbiamo spinto il tonno dalla pinna azzurra sulla soglia dell’estinzione. Ora, se vogliamo evitare il peggio, dobbiamo iniziare a comportarci responsabilmente”. Barbara Blocks, biologa marina dell’Università di Stanford, non usa mezzi termini nel denunciare lo scenario allarmante che emerge dallo studio da lei condotto e apparso questa settimana sulla rivista Nature. La prelibata specie di tonno è a rischio di estinzione. Per la sua tutela urgono misure di caccia più severe e restrittive che la ricercatrice non indugia a richiedere all’autorità competente, sollecitando immediati provvedimenti da parte dell’International Commission for the Conservation af Atlantic Tunas (Iccat), organo regolatore della pesca dal 1969. Tutto ciò, mentre sullo stesso numero di Nature imperversa un dibattito sullo stato dei tonni dell’oceano Pacifico: alcuni ricercatori, riferendosi a uno studio pubblicato nel 2003, contestano le stime sul declino della popolazione dagli anni Cinquanta a oggi, sostenendo che sono scorrette ed esagerate. Ma, nel botta e risposta, gli autori della ricerca controargomentano alle accuse ricevute, e le respingono al mittente. Al contrario, non entrando nel merito della polemica dei tonni del Pacifico, i dati ottenuti dalla Blocks sulla specie atlantica “pinna azzurra” non lasciano adito a dubbi. Lo studio, uno dei più vasti e accurati su questo pesce, ha messo in evidenza, tramite l’utilizzo di rilevatori elettronici, i flussi migratori dell’animale, sconfessando uno degli assunti fondamentali su cui l’Iccat si basa per fissare le quote annuali di pescato. Fino a ora, infatti, si è creduto che la popolazione dei tonni dell’Atlantico occidentale e quella dell’Atlantico orientale non si mischiassero fra loro. Per questa ragione è previsto un limite di caccia fino 3 mila tonnellate nella zona ovest dell’oceano e fino a 32 mila nella zona est. Conclusioni deleterie che discendono da una premessa sbagliata, secondo la ricercatrice. E quindi da rivedere. Grazie ai marcatori elettronici posizionati su centinaia di tonni, infatti, la studiosa statunitense e il suo staff ne hanno monitorato per nove anni i tragitti percorsi sotto il mare, seguendoli per migliaia di chilometri fino a più di 900 metri di profondità. Ebbene, fatta eccezione per i fondali che la popolazione occidentale e quella orientale scelgono per riprodursi (il Golfo del Messico gli uni, e il Mar Mediterraneo gli altri), le traiettorie della due specie non si mantengono affatto separare geograficamente, bensì si intrecciano in un complesso quadro spaziale e temporale. Pertanto, i tonni adulti della popolazione occidentale, quella più a rischio di estinzione, sono pescati anche nelle acque oceaniche orientali e conteggiati erroneamente nella quota stabilita per la specie orientale. “Suggeriamo che l’Iccat stabilisca una nuova zona dell’Atlantico centrale, con quote di pesca estremamente basse” afferma Barbara Block. “Altrimenti non riusciremo a proteggere la popolazione occidentale dei tonni”.Secondo l’Iccat, dal 1970 a oggi, gli esemplari di tonno dell’Atlantico ovest sono diminuiti dell’80 per cento. Colpa del boom della pesca industriale e della crescente domanda del mercato. In Giappone, dove la carne tenera e saporita del tonno pinna azzurra è molto richiesta per la preparazione di sushi e sashimi, i ristoratori possono arrivare a pagare fino a 100 mila dollari per un esemplare gigante da 700 chili.Messo di fronte alla prova scientifica della necessità di misure nuove per la salvaguardia di una specie in serio pericolo, l’Iccat ha convocato una riunione per il mese prossimo. “Ci sentiamo in parte responsabili di questo macello” ha dichiarato dal Giappone il presidente Masanori Miyahara. “Gli acquirenti giapponesi corrono per il mondo facendo incetta di pesce, soprattutto di tonni dalla pinna azzurra. Ci stiamo dando da fare per mettere freno alla loro smania”. C’è da credergli?

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here