Tumore alla prostata: così la terapia genica funziona meglio

Risultati promettenti per la terapia genica in combinazione con la radioterapia nella cura del tumore alla prostata, in termini sia di efficacia sia di sicurezza. Lo afferma una ricerca del Methodist Hospital di Houston pubblicato su Journal of Radiation Oncology (Jro) sulla base di uno studio condotto su pazienti affetti da carcinoma prostatico. Combinata con la terapia radiante, la tecnica che modifica geneticamente le cellule tumorali in modo che il sistema immunitario le attacchi porterebbe risultati migliori rispetto alle terapie standard e senza effetti collaterali.

Lo studio ha coinvolto 66 pazienti affetti da carcinoma prostatico, divisi in due gruppi: casi meno gravi, trattati con la radioterapia, e pazienti in stadio più avanzato, trattati con una combinazione di radioterapia e terapia ormonale. Nel corso dello studio entrambi i gruppi hanno ricevuto la terapia genica , due volte i pazienti meno gravi e tre volte quelli più gravi.

A distanza di cinque anni, riportano gli autori dello studio, i risultati sono apparsi molto promettenti: il tasso di sopravvivenza del primo gruppo ha raggiunto il 97% mentre il gruppo con uno stadio più avanzato della neoplasia il 94%. Un miglioramento dell’efficacia del 5-20% rispetto ai tassi di sopravvivenza raggiunti dalle procedure standard.

“Abbiamo usato un adenovirus simile a quello del raffreddore per introdurre il gene del virus dell’herpes direttamente nelle cellule tumorali, dove ha attivato la produzione dell’enzima timidina chinasi, Tk”, ha spiegato E. Brian Butler del Dipartimento di Radioterapia Oncologica di Houston.  “A questo punto, abbiamo somministrato ai pazienti un farmaco anti-herpes comunemente usato, il valacyclovir, che oltre ad attaccare il Dna dell’herpes ha aggredito le cellule tumorali contenenti l’enzima Tk, promuovendone l’autodistruzione”. Ma non finisce qui: in seguito all’azione distruttiva del farmaco, anche il sistema immunitario rileva la presenza delle cellule malate, avviando una azione di attacco ancora più forte.

“Siamo molto soddisfatti dei nostri risultati, considerando che i pazienti del nostro studio erano ritenuti incurabili da altri medici”, ha commentato Bin Teh del Dipartimento di Radioterapia Oncologica di Houston.

Riferimenti: Journal of Radiation Oncology

DOI 10.1007/s13566-015-0239-y

Credits immagine: Houston Methodist

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