Bruno Pontecorvo, un genio senza allori

bruno pontecorvo

“Dopo essermi laureato all’Università di Roma ebbi l’incarico di assistente al dipartimento di fisica. Il soggetto dei miei studi fu scelto da Fermi e Segrè. Si trattava di un lavoro di spettroscopia classica. Nel 1934 praticamente nessuno all’Istituto di fisica si occupava ormai di spettroscopia; tutti si erano impegnati nelle febbrili ricerche che riguardavano la radioattività indotta da neutroni, e i seminari dell’istituto erano dominati da relazioni “nucleari”. L’insieme di queste circostanze facevano sì che il mio cuore fosse molto più vicino agli studi sui neutroni portati avanti da Fermi e dai suoi collaboratori piuttosto che al mio lavoro spettroscopico, che completai per l’estate del 1934. Per questo fui molto felice quando, al mio ritorno a Roma dalle vacanze, mi fu chiesto di dare una mano con gli esperimenti sui neutroni” (1).

Il nome di Bruno Pontecorvo, compare nel famoso articolo “Influenza delle sostanze idrogenate sulla radioattività prodotta da neutroni I”, accanto a quelli di Fermi, Amaldi, Pontecorvo, Rasetti e Segrè. E in un secondo articolo con lo stesso titolo firmato dai soli Fermi, Pontecorvo e Rasetti. Dopo la scoperta dei neutroni lenti Pontecorvo partecipa alle attività del gruppo di “via Panisperna” fino alla primavera del 1936, quando con una borsa di studio del Ministero dell’Educazione Nazionale si sposta a Parigi. “Qui ho incontrato Joliot-Curie che a ragione posso chiamare, dopo Fermi, il mio secondo maestro”, ricorderà anni dopo (2).

Pontecorvo genio versatile

A Parigi il ventitrenne Pontecorvo fa ricerche sugli isomeri nucleari, nuclei atomici con lo stesso numero atomico Z e lo stesso numero di massa A, ma differenti dal punto di vista del decadimento radioattivo. Lavorando per un anno quasi da solo, Pontecorvo dimostra già quelle qualità di creatività sia come fisico teorico sia come fisico sperimentale che lo contraddistingueranno nel corso della sua vita scientifica. Prevede l’esistenza di isomeri nucleari stabili dal punto di vista della radioattività beta e nel 1938 riesce a individuarne il primo esempio nel cadmio eccitato da neutroni veloci. Inoltre riesce a individuare nel rodio e in altri casi nuclei radioattivi di tipo nuovo, che decadono emettendo una linea monocromatica di elettroni invece del tipico spettro continuo beta. Questi risultati furono ottenuti indipendentemente, anche se un po’ più tardi, da Segrè e Seaborg.

Insieme con A. Lazard riesce a produrre isomeri beta-stabili mediante irradiamento di nuclei stabili con uno spettro continuo di raggi X di alta energia. Questo effetto piacque molto a Joliot, che gli dette il nome di “fosforescenza nucleare”. Pontecorvo mandò il lavoro a Fermi “che, pur non essendo assolutamente un tipo da sperticarsi in lodi, rispose congratulandosi con me “per l’ottimo risultato della ricerca”. La cosa mi fece un piacere enorme e duraturo, in quanto ero convinto che Fermi (che a Roma soleva chiamarmi “il gran campione”) avesse un certo rispetto per me, ma soltanto come esperto di tennis” (3). Effettivamente Pontecorvo adorava il tennis e giocava benissimo; l’unica critica che abbia mai mosso al suo maestro riguardava proprio quelle che lui considerava – nonostante il giudizio della moglie Laura – le scarse capacità di Fermi in questo gioco, largamente praticato dai componenti del gruppo di “via Panisperna”.

La fuga negli Usa e il lavoro al reattore di Chalk River

Per le sue ricerche sull’isomeria viene assegnato a Pontecorvo il premio Curie-Carnegie. Era partito per un soggiorno di un anno, invece rimane a Parigi quattro anni, durante i quali mette su famiglia, sposando una ragazza svedese, Marianne Nordblom, finché nel 1940, dopo la disfatta della Francia, riesce a fuggire nel Sud in bicicletta. Raggiunge avventurosamente gli Stati Uniti nell’agosto del 1940 e attraverso Segrè viene ingaggiato dalla Well Surveys di Tulsa, in Oklahoma, dove si impegna per due anni alla realizzazione di un metodo geofisico di sondaggio dei pozzi di petrolio, il cosiddetto carotaggio neutronico. Questo metodo, semplice e ingegnoso, inventato e messo in opera da Pontecorvo, è cronologicamente la prima importante applicazione pratica del neutrone, utilizzata ancora oggi nei campi petroliferi (4). “Di soldi, tuttavia, ne feci pochissimi”, racconta lui stesso, “perché proprio quando le offerte vantaggiose da società private cominciavano a fioccare, decisi di accettare un posto di ricercatore nel progetto atomico anglo-franco-canadese nel quale lavoravano molti noti scienziati miei conoscenti […].

Evidentemente non sono fatto per guadagnare soldi con brevetti, invenzioni e cose simili” (5). La ricerca lo attraeva irresistibilmente. Si trattava di progettare, costruire e mettere in esercizio il reattore nucleare NRX a uranio ordinario e acqua pesante, un impianto che all’epoca aveva la maggiore intensità, con un massimo flusso di neutroni termici pari a 6.1013cm-2s-1. Nel periodo 1943-1945 scrive circa 25 memorie relative alla messa in opera del reattore. Nel dicembre del 1945 Pontecorvo si trasferisce con la famiglia in una località a pochi chilometri a nord di Chalk River e a 150 chilometri da Ottawa. Oltre a diventare subito una star della stagione tennistica, Pontecorvo ha un ruolo direttivo nel progetto e il 22 luglio 1947 è tra i quattro fisici presenti, insieme agli operatori, nella sala di controllo quando il reattore entra in funzione. Nel frattempo non si lascia sfuggire l’occasione di disporre di un reattore così potente.

Neutroni & neutrini

Fino a quel momento i neutroni sono stati il suo pane quotidiano. Proprio l’anno della sua laurea, nel corso del Convegno Solvay del 1933, Pauli si era deciso a parlare pubblicamente della particella neutra la cui esistenza aveva ipotizzato già da qualche tempo per spiegare l’esistenza di vari paradossi nel processo del decadimento beta. Un nucleo radioattivo con carica Z e numero di massa A si trasforma in un nucleo con la stesso numero di massa e carica Z+1secondo la reazione che corrisponde al processo “elementare” (6).

L’idea del neutrino, così battezzato proprio all’interno del gruppo di “via Panisperna”, era piaciuta a Fermi che l’aveva discussa con Pauli fin dall’epoca del Chalk River. Alla nuova ipotetica particella viene dato un ruolo nel lavoro pubblicato da Fermi tra la fine del 1933 e l’inizio del 1934, “Tentativo di una teoria dei raggi b”, un colpo da maestro. Il neutrino, insomma, era di casa a via Panisperna. Pontecorvo a sua volta è il primo a proporre, nel maggio 1945, un metodo per rivelare l’esistenza dei neutrini allo stato libero: la teoria di Fermi funzionava così bene che nessuno sarebbe stato disposto a fare a meno di quella ipotesi nell’ambito del processo di decadimento beta, tuttavia un’idea del genere poteva apparire abbastanza poco realistica per l’epoca. Nel 1934 Bethe e Peierls avevano pubblicato un lavoro su Nature in cui dimostravano che la capacità di interazione dei neutrini con la materia è talmente bassa che nell’attraversare la Terra soltanto uno su 1010 interagirebbe.

Un neutrino con pochi MeV di energia riesce così a percorrere uno spessore di più di 1000 anni luce di idrogeno liquido, una prospettiva talmente scoraggiante che Bethe e Peierls concludevano il loro articolo dicendo che “non esiste in pratica alcun modo per osservare il neutrino”. Ma Pontecorvo considera il reattore NRX il suo asso nella manica. L’anno successivo, il 4 settembre 1946 fa una relazione a Montreal durante il Congresso di fisica nucleare e ripropone la sua idea: “Il reattore canadese NRX, del cui progetto stavo facendo parte, non era ancora entrato in funzione, eppure mi appariva del tutto evidente che sotto lo schermo compatto, dove la componente molle dei raggi cosmici risultava considerevolmente affievolita, si poteva disporre di un flusso di circa 1012 neutrini per centimetro quadrato per secondo”.

Come ricorderà lo stesso Pontecorvo anni dopo, in quel momento “i neutrini venivano considerati particelle impossibili da rivelare. Molti rispettabili fisici erano dell’opinione che il fatto stesso di rivelare neutrini allo stato libero fosse una assurdità (non soltanto a causa delle difficoltà del momento), una assurdità paragonabile a quella di chiedersi se la pressione in un contenitore sia o no inferiore, per esempio, a 10-50 atmosfere. A quell’epoca ricordavo bene le argomentazioni di Bethe e Peierls e mi resi conto che l’apparire di potenti reattori nucleari rendeva l’individuazione di neutrini allo stato libero una occupazione del tutto ragionevole” (7).

La caccia al neutrino

Nel maggio del 1945, quando Pontecorvo comincia a ragionare sulla possibilità di individuare i neutrini, sono passati soltanto tre anni dall’entrata in funzione del primo reattore nucleare, a opera di Fermi, mentre la prima bomba nucleare sarebbe stata fatta esplodere nel deserto del Nuovo Messico il successivo 16 giugno. Si sapeva che un intenso flusso di neutrini avrebbe dovuto accompagnare una tale esplosione, ma a quell’epoca perfino Reines, che insieme a Cowan dieci anni dopo avrebbe con successo portato a termine l’impresa di dimostrare inequivocabilmente l’esistenza del neutrino, dedicò alla faccenda soltanto un pensiero di sfuggita, più che altro interessato agli aspetti più inusuali che caratterizzavano un evento tanto eccezionale.

Soltanto nel 1951 Reines cominciò a pensare concretamente al progetto di un esperimento per rivelare neutrini e dopo un breve periodo in cui lui e Cowan considerarono la possibilità di utilizzare come fonte una esplosione nucleare, passarono alla seconda fase del progetto decidendo di collocare il rivelatore nelle vicinanze del potente reattore nucleare di Savannah River. Una delle chiavi decisive del successo con Cowan, per il quale Reines ebbe poi il Nobel nel ‘95, fu la possibilità di utilizzare i nuovi scintillatori organici allo stato liquido. Nel 1945-1946 tali scintillatori non erano ancora stati inventati, ma a Pontecorvo venne in mente che il problema potesse essere risolto con metodi radiochimici sfruttando il cosiddetto decadimento beta inverso, durante il quale un neutrone bombardato con neutrini (o con elettroni e raggi gamma) si trasforma in protone o vice versa.

Il metodo Pontecorvo

Durante questo processo viene prodotto un nucleo di carica Z±1 che in genere è radioattivo con un periodo di decadimento ben noto. “Conseguentemente, la radioattività del nucleo così prodotto può essere considerata una prova del processo b inverso [corsivo nell’originale]”, sottolinea Pontecorvo nel lavoro “Inverse b process”, pubblicato nel 1946. La bontà del metodo consiste nel fatto che gli atomi radioattivi prodotti hanno proprietà chimiche diverse da quelli irradiati, di conseguenza è possibile concentrare gli atomi radioattivi di periodo noto utilizzando un volume irradiato molto grande, a partire da una dimensione di almeno un metro cubo. Questa proposta nasce dalla chiara consapevolezza che soltanto processi come il decadimento beta inverso possano fornire una prova diretta dell’esistenza del neutrino.

Da tempo si facevano esperimenti basati sulla legge di conservazione dell’energia, dell’impulso e del momento angolare, sia attraverso l’esame dello spettro degli elettroni emessi, sia con esperimenti di rinculo dei nuclei, che andavano alla ricerca della “massa mancante”. Pontecorvo sottolinea con chiarezza che questi metodi di per se stessi corrispondevano ad assumere come già scontata l’esistenza del neutrino, e nel caso migliore avrebbero quindi potuto fornire una prova indiretta della sua esistenza. “La prova diretta dell’esistenza del neutrino deve, di conseguenza, basarsi su esperimenti la cui interpretazione non faccia ricorso alle leggi di conservazione dell’energia, cioè su esperimenti in cui venga osservato qualche processo caratteristico prodotto da neutrini allo stato libero (un processo prodotto da neutrini dopo essere stati emessi in una disintegrazione b)”.

Pontecorvo propone quindi il seguente metodo: se una grande quantità quantità di 37Cl viene irradiata con neutrini, deve prodursi un nucleo radioattivo di 37Cl secondo la reazione: ****. L’argon 37 decade attraverso un processo detto di cattura elettronica, secondo cui un elettrone K viene catturato dal nucleo trasformandolo in un nucleo di carica Z-1 con un periodo di decadimento di 34 giorni. All’epoca Pontecorvo aveva scritto “neutrino”, perché non era ancora affatto chiara la distinzione tra neutrini e antineutrini e indicava tra le possibili sorgenti i reattori nucleari (attraverso il decadimento dei prodotti di fissione) il Sole (attraverso le reazioni di fusione e di decadimento) anche se in questo secondo caso osservava che il flusso non appare sufficientemente intenso. Per un po’ Pontecorvo lavorò con alcuni collaboratori allo sviluppo di rivelatori per neutrini, ma questa idea a Chalk River fu abbandonata nel 1949, quando Pontecorvo si spostò in Inghilterra.

La straordinaria impresa di Reines e Cowan, apparentemente, oscurò il senso e la novità della proposta di Pontecorvo. Ma alla lunga il metodo radiochimico da lui suggerito rivelò tutta la sua fertilità proprio nel 1956, quando fu ripreso da Raymond Davis. Il suo esperimento, in cui utilizzava il reattore di Brookhaven, fu considerato la prima evidenza che neutrini e antineutrini non sono la stessa particella. Sul momento sembrò anche che fosse stata chiarita la questione sollevata nel 1937 da Majorana, secondo cui il neutrino è identico alla sua antiparticella. In realtà tale interrogativo non è affatto definitivamente risolto e attualmente esistono esperimenti che hanno proprio lo scopo di indagare sulla natura del neutrino in questo senso.

Di nuovo sfruttando il metodo radiochimico Davis avviò anche un esperimento per rivelare i neutrini emessi dal Sole, ma ci vollero molti anni e la sua enorme perseveranza per riuscire definitivamente a rivelare i neutrini solari. Tuttavia, il flusso di neutrini provenienti dal Sole risultò essere circa un terzo di quello aspettato secondo il modello solare. Nel 1967 nasce quello che fin verso il volgere del secolo sarebbe stato chiamato il “puzzle dei neutrini solari”, al chiarimento del quale Pontecorvo avrebbe più tardi contribuito con una sorprendente proposta.

Per comprendere il senso dell’idea di Pontecorvo è necessario ricostruire le vicende successive al 1946, anno della pubblicazione del lavoro “Inverse b process”, in cui Pontecorvo con molta chiarezza aveva indicato quale dovesse essere l’impostazione concettuale di qualsiasi esperimento avente come scopo la rivelazione di neutrini. Per inciso, va sottolineato che la coraggiosa idea di Pontecorvo generò una certa perplessità in Enrico Fermi, che durante il loro incontro al convegno di Como-Basilea nel 1949, mostrò molto più interesse alla tecnologia dei contatori proporzionali che Pontecorvo stava sviluppando all’epoca con buoni risultati.

Luce dall’esperimento di Conversi, Pancini e Piccioni

A questo proposito lo stesso Pontecorvo osservava che “Don Chisciotte non era l’eroe di Fermi”, ma attribuiva a Segrè la citazione. Probabilmente l’enorme venerazione per il suo antico maestro, più volte da lui manifestata esplicitamente nei suoi ricordi, gli rendeva difficile attribuire a se stesso un pensiero del genere. All’inizio del 1947 Pontecorvo, come tutti i fisici dell’epoca, rimase molto colpito dalla pubblicazione dei risultati dello storico esperimento effettuato da Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni (8), e dalla spiegazione fornita subito dopo da Fermi e Teller: “Appena lessi l’articolo […] rimasi affascinato dalla particella che ora chiamiamo muone. Era proprio una particella affascinante, ‘ordinata’ da Yukawa, scoperta da Anderson e che Conversi e altri dimostrarono comportarsi male a tal punto da non avere niente a che fare con la particella di Yukawa!” Con queste parole Pontecorvo sintetizza la vicenda relativa alla particella instabile individuata nei raggi cosmici da Carl Anderson e Seth Neddermeyer nel 1937 e battezzata “mesotrone” a causa della sua massa che era stata valutata pari a 100-200 volte quella dell’elettrone e una una vita media, subito misurata da Bruno Rossi, di circa 2 microsecondi.

L’esperimento degli italiani chiariva che il decadimento e l’assorbimento dei mesotroni avveniva con delle modalità molto diverse da quelle che ci si aspettava in base all’ipotesi che queste potessero essere le particelle responsabili delle interazioni nucleari. Fermi si rende subito conto dell’importanza dei risultati dell’esperimento di Conversi, Pancini e Piccioni, pubblicato il 1 febbraio 1947 e nel giro di pochi giorni, insieme a Edward Teller e Victor Weisskopf, completa un’analisi dettagliata del fenomeno giungendo alla conclusione che i mesotroni dei raggi cosmici non possono essere identificati con la particella di Yukawa, in quanto hanno un’interazione con i nuclei molto più debole. Pontecorvo reagisce immediatamente: “Mi trovai trascinato in un vento antidogmatico e cominciai a pormi una quantità di domande del tipo: perché lo spin del muone dovrebbe essere intero? Chi dice che il muone deve decadere in un elettrone e un neutrino e non in un elettrone e due neutrini, o in un elettrone e un fotone? La particella carica emessa nel decadimento del muone è un elettrone? Nel decadimento del muone vengono emesse altre particelle oltre agli elettroni e ai neutrini? In quale forma viene rilasciata l’energia di cattura del muone da parte del nucleo?” (9).

L’articolo di Fermi e Teller “The capture of negative mesotrons in matter” viene inviato alla rivista Physical Review il 28 maggio 1947. Tra il 2 e il 4 giugno il lavoro degli italiani è al centro di animate discussioni nel corso della prima Shelter Island Conference, durante la quale Robert Marshak propone una soluzione concreta per quel mistero. In natura esistono due tipi di mesoni, di massa differente: il mesone pesante viene prodotto nell’alta atmosfera ed è responsabile delle forze nucleari, mentre il mesone leggero non è che il prodotto di decadimento del mesone pesante. È quest’ultimo mesone quello che normalmente viene osservato a livello del mare e che interagisce debolmente con la materia.

Marshak decide di pubblicare una breve nota in proposito, ma subito dopo la conferenza un impegno come presidente della Federation of Atomic Scientists lo distoglie momentaneamente da questo proposito. Il 24 maggio la rivista Nature pubblica un articolo con due immagini che mostrano un mesone che si arresta e poi decade in un mesone più leggero. L’enigma era stato definitivamente risolto a Bristol da Cesare Lattes, Giuseppe Occhialini e Cecil Frank Powell. Utilizzando la tecnica delle emulsioni fotografiche esposte ai raggi cosmici ad alta quota, scoprono che il mesotrone osservato a livello del mare non è altro che il cosiddetto mesone m (o muone), prodotto del decadimento di una nuova particella, il mesone p (o pione) che è appunto il mesone postulato da Yukawa. Ma, come avrebbe ricordato Marshak (10), quel numero di Nature giungerà negli Stati Uniti diverse settimane dopo perché le riviste all’epoca non venivano spedite per via aerea.

Marshak, quindi, scrive l’articolo con Bethe che viene spedito in luglio a Physical Review. Inconsapevole sia della teoria dei due mesoni, sia delle osservazioni del gruppo di Bristol, Pontecorvo reagisce molto presto e correttamente, come si scoprì in seguito, all’esperimento Pancini-Piccioni-Conversi e alla sua interpretazione fornita dal lavoro di Fermi e Teller. Il 21 giugno invia alla rivista Physical Review “Nuclear capture of mesons and mesons decay”, pubblicato poi nel numero di agosto. Nell’osservare che le probabilità di cattura nucleare di un elettrone e di un muone (~106 s-1) sono praticamente identiche (se si tiene conto delle differenze nei volumi delle rispettive orbite e delle energie di disintegrazione dei due processi) Pontecorvo intuisce che esiste una profonda analogia tra il muone e l’elettrone (“vogliamo discutere la possibilità di una fondamentale analogia tra processi b e processi di emissione o assorbimento di mesoni carichi”).

La simmetria muone-elettrone messa in evidenza da Pontecorvo, fu quindi una ipotesi fatta senza la consapevolezza che il muone è il prodotto di decadimento del più pesante mesone di Yukawa: “che fossero entrambi “processi deboli” era qualcosa di assolutamente chiaro per me”. Questo suggerimento costituiva il primo indizio dell’esistenza di una universalità delle interazioni deboli che negli anni a venire avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella comprensione di altri misteriosi comportamenti nei processi di decadimento di particelle dei raggi cosmici.

Pontecorvo conclude il lavoro affermando la necessità di un esperimento che, tanto per cominciare, possa fornire una risposta alla domanda: “L’elettrone emesso dal mesone con una vita media di circa 2,2 microsecondi è accompagnato da un fotone di circa 50 MeV?”. In questo modo sarebbe stato possibile stabilire se il muone decade in un “elettrone+una particella neutra (o particelle neutre) o in un elettrone+fotone”. Insieme a Ted Hincks, Pontecorvo costruì un apparato a base di contatori e di una elettronica sofisticata che consentirono lo studio dell’assorbimento dei prodotti di decadimento dei mesoni in base ai quali fu possibile affermare che nessun fotone viene emesso nel decadimento di mesoni a livello del mare e che nel decadimento del muone vengono emesse tre particelle secondo il processo m®e+n+n’(il primo e secondo risultato vennero ottenuti indipendentemente anche da altri ricercatori) (11).

Inoltre venne invece chiarito da Hincks e Pontecorvo che la particella carica emessa era effettivamente un elettrone. Questo risultato “richiese tutto il nostro sforzo e la nostra abilità, eppure è probabilmente quello meno significativo dal punto di vista delle conoscenze attuali”, sottolinea lo stesso Pontecorvo, “la particella carica del decadimento del muone che altro poteva essere se non un elettrone? A questo proposito bisognerebbe tenere presente il severo e ben consolidato antidogmatismo dell’epoca” (12). I risultati completi di questa indagine, pubblicati nel 1950, si aggiungevano a un complesso di prove sperimentali “a supporto del processo “elettrone+due neutrini” che richiede uno spin /2 per il mesone m”.

Tali evidenze vennero infatti interpretate assumendo che due particelle neutre venivano emesse insieme all’elettrone nel corso del processo di decadimento. Si supponeva che dovessero essere neutrini, visto che gli esperimenti mostravano chiaramente che non si trattava di fotoni. Il primo passo in questa direzione fu infatti quello di escludere l’ipotesi di neutrino e antineutrino, in quel caso, tra le altre possibilità, i due avrebbero potuto annichilarsi convertendosi in un fotone. I fotoni erano stati cercati e non erano stati trovati, infatti, nella cattura di un muone la maggior parte dell’energia emessa risultava invisibile perché veniva trasportata via dai neutrini, una congettura che oltre a essere compatibile con i risultati era in accordo con l’ipotesi di partenza formulata da Pontecorvo riguardo l’analogia tra il processo di cattura del muone e il processo di decadimento beta.

Pontecorvo era stato il primo a ipotizzare che i mesoni negativi individuati a livello del mare non erano altro che elettroni pesanti che interagivano debolmente con il protone: “Mi era chiaro che il muone è una sorta di elettrone pesante e che la simmetria elettrone-muone ha luogo sotto il segno di interazione chiamata debole, grazie alle piccole dimensioni della corrispondente costante G – la costante di Fermi del decadimento β” (13). Nel corso del 1949, attraverso i suoi esperimenti e quelli di altri, venne chiarito che il processo di decadimento di queste particelle (μ→e+ υ + υ¢) era effettivamente simile al processo n ®p+en. L’idea di una universalità della coppia me venne chiaramente espressa poco dopo da Giampiero Puppi nel suo articolo “Sui mesoni dei raggi cosmici” e viene esplicitata da quel momento in poi con la ben nota rappresentazione grafica chiamata “triangolo di Puppi” in cui il decadimento del m, la cattura del m e il comune decadimento b fanno parte dei tre lati del triangolo a significare che sono processi accomunati dalla stessa costante di accoppiamento (14). Nell’attirare l’attenzione su una possibile uguaglianza tra le costanti di accoppiamento di elettroni e muoni ai nucleoni assumeva che esiste una universalità dell’interazione debole che include le coppie e n e mn. In effetti con la sua proposta Pontecorvo aveva di fatto costruito due dei lati del triangolo di Puppi.

Le due particelle neutre emesse nel decadimento venivano all’epoca denominate in modi diversi: neutrini, neutrino e neutretto, nn‘ecc. Si pensava che dovessero essere neutrini perché gli esperimenti mostravano che non c’erano fotoni, ma nessuna assunzione speciale veniva fatta riguardo la loro natura. Tuttavia Pontecorvo ricorda che “la questione che riguardava differenti tipi di neutrini era già in qualche modo presente per tutti coloro che all’epoca lavoravano sui muoni” (15).

Pontercorvo scienziato nell’Unione sovietica

Alla fine del 1950, a 37 anni, Pontecorvo decide di trasferirsi in URSS, una decisione che ebbe come conseguenza l’impossibilità di fare viaggi all’estero fino al 1978, quando riuscì a tornare in Italia in occasione dei festeggiamente per i settant’anni di Edoardo Amaldi.

Fino alla fine della sua vita lavorò a Dubna, presso l’Istituto per le ricerche nucleari. A quell’epoca trovò già funzionante il più grande sincrociclotrone del mondo, con il quale era possibile accelerare protoni fino a una energia di 460 MeV. Con il suo gruppo di giovani, inizialmente inesperti, Pontecorvo effettuò una serie di esperimenti studiando quantitativamente, per la prima volta, la produzione di pioni neutri in urti fra neutroni e protoni e fra neutroni e diversi nuclei atomici. Nel periodo 1953-1955 questi esperimenti confermarono quanto era stato scoperto da Fermi a Chicago sul sistema pione-nucleone riguardo l’ipotesi dell’invarianza dello spin isotopico nel caso dell’interazione forte. “Pontecorvo portò nel laboratorio l’alta cultura di un eminente fisico sperimentale proveniente dal gruppo di Fermi, l’atmosfera esigente di estrema obiettività nei risultati scientifici e di richiesta quasi pressante nella discussione di tali risultati” (16).

Le particelle strane

In quegli anni Pontecorvo dedicò molte delle sue riflessioni al problema delle cosiddette particelle strane. Le prime particelle strane furono chiamate particelle V perché le loro tracce apparivano come due rami di una V con il vertice nel punto di decadimento. Erano state individuate da G.D. Rochester e C.C. Butler a Manchester nel 1947, anno della scoperta del mesone p e del chiarimento della natura del mesone m.

Le emulsioni nucleari e le camere a nebbia esposte ai raggi cosmici rivelarono che la traccia a forma di V nascondeva un intero universo di nuove particelle, del tutto impreviste: quattro nuovi mesoni con massa prossima a 1000 volte quella dell’elettrone, che furono indicati con K, due dei quali neutri (K0 e `K0) e due carichi (K e K+), e sette barioni, che vennero chiamati iperoni e contrassegnati con le lettere L0, S+, S0, S, X, X0, tutti con massa più grande di quella del protone.

Queste nuove particelle presentavano la sorprendente proprietà di essere prodotte con frequenza elevata e di decadere invece con vite medie lunghe, questo fu il motivo per il quale furono qualificate strane fin dalle prime osservazioni. La loro singolarità nasceva in effetti dalla proprietà di essere prodotte nelle interazioni dei raggi cosmici con i nuclei attraverso interazioni forti, i cui tempi sono dell’ordine di 10-23s, mentre le vite medie misurate sperimentalmente risultavano di 10-10÷10-8, convalidando l’ipotesi che i processi di decadimento fossero dovuti a un’interazione debole, dello stesso tipo di quella responsabile del decadimento b dei nuclei. Per risolvere il dilemma “produzione forte-decadimento debole”, fu avanzata da Abraham Pais nel 1952 l’ipotesi della produzione associata, che attribuiva alle particelle strane un nuovo numero quantico chiamato in seguito stranezza(S) (17).

Le particelle strane vengono infatti prodotte soltanto in coppie nelle collisioni nucleone-nucleone e pione-nucleone, come accade, per esempio, nel processo osservato all’epoca p+p ® L + K0. In effetti l’evidenza mostrava che il processo di produzione della singola particella strana, come nel caso n+p®Lp risultava proibito. Assumendo che nucleone e pione hanno S=0, mentre K0 ha S=1 e Lha S=-1, allora soltanto il primo processo, in cui viene prodotta una coppia di particelle strane, è permesso perché conserva il numero quantico iniziale S=0. Che il decadimento (debole) degli iperoni e kaoni non fosse dovuto all’interazione (forte) che li genera contemporaneamente, appariva un’idea quasi naturale per Pontecorvo: “Fin dal 1947 non avevo fatto che aspettare nuovi processi deboli; così ero molto felice di tutto ciò. Sentivo che la nozione di interazione debole acquistava di nuovo un carattere più ampio, ma in processi nuovi. Così, all’epoca, l’interazione debole mi apparve come una interazione universale che entrava in azione nei gruppi di quattro fermioni”.

Nel periodo 1951-1954 tutti i lavori apparvero in forma di rapporti interni, alcuni dei quali furono pubblicati in seguito, nel 1955. “Nel 1951”, racconta Pontecorvo, “notai l’apparente contraddizione tra l’alta probabilità di produzione di certe particelle (che oggi, appunto, si chiamano strane) e la loro lunga vita media e, nel 1953, indipendentemente da A. Pais, predissi la legge di produzione associata dei mesoni K insieme con gli iperoni”. Questi lavori di Pontecorvo non vengono generalmente citati a questo proposito.

Per verificare questa ipotesi il gruppo di Pontecorvo effettuò un esperimento alla ricerca di singoli iperoni L prodotti da protoni in collisioni con nuclei. L’analisi dei risultati negativi di questo esperimento indussero Pontecorvo a concludere che lo spin isotopico del kaone è 1/2, ovvero che dovevano esistere due kaoni neutri K0 e`K0. Il lavoro del 1955, “The possibility of the formation of L0 particles by protons with energies up to 700 MeV”, si concludeva con l’affermazione che “Il piccolo valore per la sezione d’urto per la formazione di una particella L0 nell’interazione di protoni con una energia di 670 MeV con nuclei complessi è in accordo con l’ipotesi della trasformazione fondamentale di un nucleone secondo lo schema (N)(L0) (mesone pesante)”. La validità dell’ipotesi di Pais e Pontecorvo fu confermata da esperimenti con il cosmotrone di Brookhaven, dove la simultanea produzione di particelle L0 e mesoni K0 oppure di particelle S¯ e mesoni K fu riscontrata nel corso di interazioni tra pioni negativi e protoni. Tutto questo portò alla formulazione della conservazione della stranezza nelle interazioni forti. Nel 1957, analizzando insieme con L. Okun, le oscillazioni del tipo K`K0 Pontecorvo dimostrò che nei processi deboli di primo ordine la stranezza può cambiare al più di una unità (|DS|£1).

Le particelle strane sono instabili e nel loro decadimento la stranezza non si conserva e in effetti vale sempre la relazione |DS|=1. Proprio in quel periodo Davis stava lavorando al suo esperimento sugli antineutrini provenienti da un reattore nucleare, che avrebbe fornito una evidenza a favore della differenza neutrino-antineutrino. Alcune false voci sui risultati di questo esperimento forniscono a Pontecorvo lo spunto per formulare una idea che poteva apparire piuttosto fantasiosa: come in un fascio di kaoni alcune di queste particelle si trasformano in antikaoni, così alcuni antineutrini nel viaggiare dal reattore al rivelatore potrebbero trasformarsi in neutrini. “Per molto tempo l’idea guida di Pontecorvo fu quella di una simmetria (analogia) dell’interazione fra adroni (quarks) e leptoni”, racconta Bilenky (18).

In effetti i fenomeni di oscillazione non sono altro che l’espressione del principio di sovrapposizione, un fenomeno che è alla base della profonda differenza tra sistemi fisici descrivibili con la meccanica classica e sistemi quantistici. Il modello standard dell’interazione elettrodebole attualmente conferma l’esistenza di questa simmetria, che Pontecorvo riteneva dovesse applicarsi al mondo dei leptoni come un fenomeno del tutto analogo a quello delle oscillazioni dei kaoni neutri. Nel 1957, nel corso di un seminario, Pontecorvo parlò esplicitamente della sua nuova idea applicata ai neutrini: “i neutrini nel vuoto si possono trasformare in antineutrini e viceversa. Questo significa che neutrino e antineutrino sono misture di particelle, vale a dire combinazioni simmetriche e antisimmetriche di due particelle di Majorana, n1 e n2, completamente neutre” (19).

L’ipotesi dei due neutrini

L’idea di un neutrino veramente neutro, che si identifichi con la sua antiparticella, proposta nel 1937 da Majorana, era sempre stata presente nella sua mente. L’idea, di notevole audacia per quei tempi, apparve a molti come una pura fantasia di un fisico eminente, incline all’immaginazione. All’epoca era noto soltanto un tipo di neutrino, anche se molti si interrogavano a proposito della possibilità che il neutrino emesso nel corso del decadimento beta potesse essere diverso da quello implicato nel decadimento del pione in muone. Due insigni teorici interrogati da Reines nel 1956 circa l’identità dei due neutrini gli risposero chiaro e tondo che non c’era alcuna ragione per considerarli diversi. La proposta di Cowan e Reines di provare a fare una verifica sperimentale con un acceleratore fu accolta con un consiglio del tipo: “Voi due vi siete divertiti abbastanza. Perché non ve ne tornate al lavoro?” (20).

Questo esperimento fu effettivamente proposto da Bruno Pontecorvo all’inizio del 1959. Nel fare il programma per un acceleratore da 800 MeV che non fu mai costruito, si convinse che “esperimenti aventi lo scopo di verificare l’identità tra nee nm  (oppure `ne e`nm) sebbene molto difficili, devono essere presi in seria considerazione quando si progettano nuovi potenti acceleratori. In particolare, il problema della schermatura di radiazione in tali esperimenti deve essere considerato in uno stadio preliminare del progetto dell’acceleratore” (21). Sono le parole conclusive del famoso lavoro “Electron and Muon Neutrinos”, comparso nel 1959, il primo che discutesse approfonditamente il problema dell’identità tra i due tipi di neutrini (o antineutrini). “La questione se ne nmsiano particelle differenti è aperta […]. Non ci sono ragioni per affermare che nee nm debbano essere particelle identiche”. Non ci sono ragioni per affermare che ne e nm debbano essere particelle identiche”, affermava con decisione Pontecorvo, come premessa a una lunga lista di 21 reazioni prodotte da neutrini o antineutrini, dove metteva bene in chiaro quali tra queste sarebbero state proibite se nm ¹ ne.

Anni dopo, Pontecorvo avrebbe puntualizzato che “per coloro che lavoravano sui muoni ai vecchi tempi, la questione che riguardava la differenza tra neutrini era sempre stata presente. È vero che più tardi molti teorici la dimenticarono del tutto, e parecchi di loro “inventarono” di nuovo i due neutrini (come per esempio M. Markov), ma per gente come Bernardini, Steinberger, Hincks e me […] la questione dei due neutrini non era mai stata dimenticata. Naturalmente la faccenda si precisò nella mia mente, nel senso che vennero fuori dei possibili partner ne si accompagna sempre all’elettrone e nm al muone […] A quel tempo l’idea dell’esperimento non era ovvia, sebbene questa affermazione possa apparire strana oggi: bisogna cercare elettroni e muoni prodotti nella materia da neutrini muonici; se nm ¹  nene si dovrebbe trovare che ne<<nm, dove ne nm sono il numero di elettroni e muoni rispettivamente prodotti”(22).

Pontecorvo parlò esplicitamente di questa proposta nel corso della IX Conferenza annuale Rochester sulla fisica delle alte energie, tenuta a Kiev tra il 15 e il 25 luglio 1959, pochi giorni dopo che il suo articolo “Neutrino muonico ed elettronico” fosse accettato dalla rivista Soviet Physics JETP. Nel lavoro venivano fornite le ragioni per cui l’ipotesi di due tipi distinti di neutrini risultava particolarmente attraente. Fin dalle prime ricerche sui muoni si era indagato sulla possibilità che il decadimento avvenisse nella forma m ® e+g, come potrebbe accadere se il neutrino emesso nel decadimento del pione (nm) e il neutrino emesso nel processo beta ordinario (ne) fossero uguali. Il primo a porsi esplicitamente questa domanda era stato Pontecorvo all’epoca dell’articolo “Nuclear capture of mesons and the meson decay”, comparso nel 1947. A questo interrogativo il fisico aveva cercato di dare una risposta già con i suoi esperimenti effettuati alla fine degli anni Quaranta: nessuna evidenza a favore del canale di decadimento m ® e+g era stata trovata.

Proprio nel corso dell’incontro di Kiev vennero resi noti dati che collocavano almeno a 10-6 il limite superiore del valore relativo al rapporto tra le probabilità di produzione delle reazioni m ® e+g e m ® e+n+`n. Il tutto non faceva che avvalorare decisamente l’ipotesi favorita già da tempo da Pontecorvo. Nel corso della discussione seguita alla discussione plenaria sulle interazioni deboli Pontecorvo sollevò il problema dei due neutrini e propose l’esperimento cruciale da lui delineato nel lavoro appena scritto (23). Nel paragrafo “nm e ne e ne sono particelle identiche?” contenuto nel lavoro appena presentato, Pontecorvo affermò con chiarezza che “l’esistenza di due tipi differenti di neutrino, […] è attraente dal punto di vista della simmetria e della classificazione delle particelle e potrebbe anche aiutarci a comprendere quale sia la differenza tra la natura del muone e quella dell’elettrone” (24).

La questione fondamentale che riguardava il neutrino restava dunque ancora aperta, perché non esisteva alcuna prova diretta a favore di una differenza tra neutrino elettronico e neutrino muonico. All’inizio del 1960 M. Schwartz, indipendentemente da Pontecorvo, aveva proposto l’esperimento nel corso del quale la ricerca di una reazione per la quale la teoria favorisce fortemente la produzione di neutrini muonici fornì l’evidenza cercata. Il primo esperimento in cui vennero utilizzati neutrini provenienti da acceleratori, venne realizzata a Brookhaven nel 1962 da L. Lederman, M. Schwartz, J. Steinberger e altri (per aver dimostrato l’esistenza del neutrino muonico Lederman e gli altri ebbero il premio Nobel nel 1988).

Melvin Schwartz

Nel corso del congresso di Kiev, Pontecorvo aveva anche presentato il lavoro “On the intermediate boson in weak interactions”, scritto con R.M. Ryndin, che iniziava citando un articolo di Feynman e Gell-Mann uscito sulla Physical Review dell’anno precedente. Gli autori avevano calcolato la probabilità del decadimento m® e + g in una teoria non rinormalizzabile in cui il cosiddetto IVB, un bosone vettoriale intermedio (carico), era stato postulato come il mediatore delle interazioni deboli.

L’articolo di Pontecorvo e Ryndin proseguiva dicendo: “La piccola probabilità del processo m® e + g è difficilmente riconciliabile con l’assunzione di un bosone intermedio se in natura esiste soltanto un tipo di coppia neutrino-antineutrino” e a questo proposito citava il lavoro di G. Feinberg (immediatamente successivo a quello di Feynman e Gell-Mann) in cui il rapporto tra le probabilità di produzione delle reazioni m ®e+ g e m ® e + n+`n veniva valutato 10-4, in caso di esistenza del bosone intermedio B. Su queste basi Pontecorvo affermava subito dopo che “se il neutrino “elettronico” (ne)e quello “muonico” (nm) sono particelle differenti, non esiste al-cun argomento contrario a questa ipotesi. Per di più si può affermare che l’esistenza del bosone B costituirebbe in pratica la prova che il neutrino muonico e quello elettronico non sono la stessa particella” (25). Il tono di questa frase indica che Pontecorvo aveva aderito pienamente all’idea dell’esistenza di un bosone intermedio e che le sue antiche idee sull’esistenza di una fondamentale simmetria adroni-leptoni erano profetiche rispetto a un contesto che di lì a poco, forte della scoperta di nm, si sarebbe concretizzato nel recupero del principio di simmetria barione-leptone da parte di D. Bjorken e S. Glashow nel 1964 e poi, nel 1970, nella sua evoluzione nella simmetria quark-leptone, utilizzata da Glashow, Iliopoulos e Maiani per prevedere l’esistenza del quark charm.

Il cosiddetto meccanismo GIM (dalle iniziali dei loro nomi) oltre a prevedere l’esistenza di particelle dotate di un nuovo numero quantico, il charm, si rivelò subito efficace per spiegare l’assenza di variazione della stranezza nel corso dei decadimenti dei mesoni K neutri (26). La spiegazione dei risultati di Brookhaven e di altri esperimenti aveva reso necessaria l’introduzione di due numeri quantici conservati nel corso di questi processi: il numero leptonico elettronico Le e il numero leptonico muonico Lm. La conservazione del numero totale leptonico o muonico rende infatti conto dell’assenza di una serie di processi del tipo m® e+g.

L’ultima audacia: la massa del neurtino

A causa della mancanza nell’Unione Sovietica di acceleratori adeguati, Pontecorvo aveva perso un appuntamento cruciale della sua carriera scientifica. Tuttavia, dal punto di vista recente che attribuisce una massa, seppure molto piccola, ai neutrini, questi numeri quantici risultano in realtà violati. Questo inaspettato margine consentì a Pontecorvo di prodursi ancora una volta in una proposta la cui audacia rappresentò certamente il culmine della sua creatività scientifica e di anni dedicati alla riflessione sulla natura delle interazioni deboli.

Già nel suo lavoro con Hanna del 1949 “The b-spectrum of 3H” Pontecorvo aveva osservato che non potevano escludere del tutto un valore finito per la massa del neutrino, il cui limite superiore era risultato corrispondere a circa 500 eV/c2. All’inizio degli anni Cinquanta il limite era sceso intorno a un valore 2000 volte più piccolo della massa dell’elettrone. Fermi e Perrin proposero il primo metodo per misurare la massa del neutrino basandosi sull’analisi della forma della parte ad alta energia dello spettro del decadimento beta. Questa parte è dovuta all’emissione di un neutrino di piccola energia e quindi gli effetti della sua massa sono più pronunciati in questa zona.

La scoperta della violazione della parità, ipotizzata da Lee e Yang nel 1956 e dimostrata sperimentalmente dal gruppo guidato da madame Wu, riportò alla ribalta l’interesse nell’ipotesi di una massa finita per il neutrino (27). Il limite superiore era sceso a circa 100 eV/c2 a quell’epoca, ma la cosiddetta teoria a due componenti del neutrino formulata subito dopo da Landau, Lee e Yang e Salam era basata sull’ipotesi che la massa del neutrino fosse uguale a zero. Dopo il successo di questa teoria per molti anni si diffuse la generale convinzione che tutti i neutrini sono particelle a massa nulla. Anche la teoria di unificazione elettrodebole di Glashow, Weinberg e Salam era basata su questa ipotesi (28). Nel 1957-58 Pontecorvo considerò la possibilità di una massa piccola ma diversa da zero per il neutrino.

L’unica particella nota che non abbia massa è il fotone. C’è una ragione di simmetria per questo, l’invarianza di gauge dell’elettrodinamica quantistica. Pontecorvo fece notare che non esiste un principio analogo per il neutrino. Egli mostrò che, se gli stati dei neutrini prodotti nei decadimenti deboli sono una sovrapposizione degli stati di neutrini con masse piccole, ma finite, i neutrini all’interno di un fascio oscillano nel vuoto in modo del tutto analogo alle ben note oscillazioni dei K0. Mostrò anche che la ricerca delle oscillazioni dei neutrini è un modo molto sensibile per mettere in evidenza piccolissime differenze dei quadrati delle masse dei neutrini.

Nel 1962, all’epoca dell’esperimento di Brookhaven, Maki, Nakagawa e Sakata proposero un modello assai complicato nel quale mostrarono come potesse diventare possibile la transizione da neutrino muonico a neutrino elettronico. Nel 1969 Pontecorvo pubblica con V. Gribov “Neutrino Astronomy and lepton charge” in cui gli autori, partendo dal recente esperimento di Davis in cui il flusso di neutrini dal Sole si era rivelato inferiore alla previsione teorica, propongono che la non conservazione della carica leptonica possa spiegare tale effetto come dovuto a oscillazioni del tipo nenm simili alle oscillazioni K0K0. Vennero discusse le oscillazioni fra due tipi di neutrino e diversi tipi di esperimenti alla ricerca di tali oscillazioni vennero proposti. Ma all’epoca la maggior parte dei fisici ancora riteneva che i neutrini fossero particelle prive di massa.

Pontecorvo riprende il discorso nel 1976 in vari articoli pubblicati con S.M. Bilenky, i titoli dei quali esplicitano ormai quella che da anni era stata la sua idea fissa: “Quark-lepton analogy and neutrino oscillations”, “The lepton-quark analogy and muonic charge”, “Oscillations in neutrino beams: status and possibilities of observation” e “Again on neutrino oscillations”. Quest’ultimo si concludeva con la seguente affermazione: “In conclusione lasciateci sottolineare che i temi principali relativi ai fenomeni di oscillazione sono: masse finite dei neutrini, mixing dei neutrini, violazione della carica leptonica, numero dei tipi di neutrini. Così le domande a cui è necessario dare una risposta con esperimenti basati sull’ideologia delle oscillazioni dei neutrini riguardano direttamente la natura stessa dei neutrini” (29).

L’anno dopo, nel 1977, Bilenky e Pontecorvo pubblicano “Lepton mixing and the ‘solar neutrino puzzle’”, dove discutono l’esperimento di Davis: “Un certo numero di spiegazioni piuttosto esotiche hanno tentato di rendere conto del risultato dell’esperimento […] Sembra piuttosto attraente e molto più naturale la spiegazione in termini di mixing di leptoni” (30).

All’epoca una serie di altri esperimenti, accanto a quello di Davis, stavano entrando in funzione per osservare il flusso dei neutrini solari e nel corso degli anni Ottanta e Novanta si accumulò una evidenza sperimentale sempre crescente a favore di un flusso ridotto di neutrini dal Sole. Nel frattempo, a partire dalla fine degli anni Settanta, le opinioni a livello teorico stavano cambiando drasticamente con la comparsa di modelli oltre il Modello Standard, i cosiddetti modelli di Grande Unificazione. Questi modelli si basano su gruppi di simmetria che danno uno status comune ai campi dei neutrini, dei quark e dei leptoni, oltre a contenere un meccanismo che genera le masse dei neutrini accanto a quelle dei quark e dei leptoni. Attualmente [2005] è stato definitivamente chiarito sperimentalmente che il fenomeno delle oscillazioni dei neutrini è una realtà. Le masse dei neutrini e il mixing sono quindi considerati fenomeni che possono fornire informazioni su una nuova fisica, oltre il Modello Standard. Purtroppo Pontecorvo non ha potuto assistere all’affermazione delle sue straordinarie intuizioni avvenuta nel corso dei recenti sviluppi. Le sue idee hanno spianato la via verso la fisica del XXI secolo, verso la grande unificazione delle varie interazioni.

Ringrazio il prof. Luciano Maiani per la lettura e il commento a questo manoscritto.

NOTE

(1) PONTECORVO B., “The discovery of slow neutrons: some recollections”, in BILENKY S.M., BLOKHINTSEVA T.D., POKROVSKAYA I.G. e SAPOZHNIKOV M.G. (a cura di), B. Pontecorvo. Selected Scientific Works, Società Italiana di Fisica, Editrice Compositori, Bologna 1997, p. 388; d’ora in poi indicato con SSW.

(2) Citato in MAFAI M., Il lungo freddo. Storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse l’Urss, Mondadori, Milano 1992, pp. 76-77.

(3) PONTECORVO B., SSW, p. 425.

(4) Lo strumento per il carotaggio neutronico consiste in una forte sorgente di neutroni (radio+berillio) e di una camera di ionizzazione, fatta in modo da essere adeguatamente schermata dai raggi provenienti direttamente dalla sorgente. Come conseguenza dell’interazione dei raggi primari provenienti dalla sorgente con le formazioni che la circondano, l’indicazione fornita dalla camera a ionizzazione varia col variare delle proprietà degli strati.

(5) PONTECORVO B., SSW, p. 426.

(6) Se si tiene conto della conservazione dello spin e della carica il processo indicato assegna carica elettrica zero e spin=/2 alla nuova particella.

(7) PONTECORVO B., SSW, p. 402.

(8) CONVERSI M., PANCINI E., PICCIONI O., “On the Disintegration of Negative Mesons”, Physical Review, 71, 1947, pp. 209-210.

(9) PONTECORVO B., “The infancy and youth of neutrino physics: some recollections”, SSW,” cp. 232.

(10) MARSHAK R.M., “Particle physics in rapid transition: 1947-1952”, in BROWN L.M. and HODDESON L. (a cura di.), The birth of particle physics, Cambridge University Press, Cambridge 1983, p. 382.

(11) Il primo risultato fu ottenuto dalla coppia R. Sard e E. Althaus e da Oreste Piccioni nel 1948; il secondo da J. Steinberger e dal gruppo R. Leighton, C. Anderson e A. Seriff nel 1949.

(12) PONTECORVO B., SSW, p. 405.

(13) PONTECORVO B., “Recollections on the establishment of the weak-interaction notion”, in BROWN L., DRESDEN M., HODDESON L. (a cura di), Pion to quarks, Cambridge University Press, Cambridge 1989, p. 369.

(14) “Voglio confermare che quando fu proposta l’interazione universale alla Fermi, esisteva la convinzione, almeno nella mia mente, che la controparte neutra del muone (il m0) e la controparte neutra dell’elettrone (il n) fossero due particelle differenti. Una delle ragioni era che all’epoca la massa del neutretto (m0) si riteneva che dovesse essere diversa da zero. Una seconda ragione era legata all’idea che, come un neutrone si trasforma in un protone con l’emissione di una coppia (n, e), analogamente un mesone si trasforma in un neutretto (m0) di nuovo con l’emissione di una coppia (n, e)”. PUPPI G., “Comments after the Reines talk” in Colloque international, op. cit., p. 255.

(15) PONTECORVO B., “The infancy…”, cit., p. 403.

(16) BILENKY S.M., SSW, p. XV.

(17) Nelle interazioni forti che stanno alla base dei processi di produzione, S si conserva (DS=0), mentre le intrazioni deboli sono compatibili con una variazione di S (DS¹0). Quindi la produzione di particelle strane può avvenire solo come produzione associata, per esempio di una particella con S=1 e una con S=-1; invece le singole particelle strane che decadendo tramite una interazione forte violerebbero la conservazione di S, possono decadere in particelle ordinarie, S=0, via interazione debole.

(18) BILENKY S.M., SSW, p. XVI.

(19) PONTECORVO B., SSW, p. 153.

(20) REINES F., “Neutrinos to 1960…”, cit. p. 253.

(21) PONTECORVO B., SSW, p. 173. L’idea era di produrre ne, nm e `nm dal decadimento p-m-e, e poi utilizzare un rivelatore del tipo Reines-Cowan, che essendo insensibile a nm e ne non avrebbe fornito alcun evento osservabile se`n ¹`nm. Infatti la reazione`nm.+ p ® e+ + n sarebbe stata proibita e la corrispondente reazione nm.+ p ® m+ + n non avrebbe potuto aver luogo dal decadimento p+-m+ per motivi energetici.

(22) PONTECORVO B., SSW, p. 406.

(23) Per una discussione approfondita su questo argomento e per un ampio resoconto dell’opera scientifica di Pontecorvo vedi FIDECARO G., “Bruno Pontecorvo: from Roma to Dubna”, in SSW, pp. 472-486. (24) PONTECORVO B., SSW, p. 170.

(25) PONTECORVO B., SSW, p. 184.

(26) I dati sperimentali mostravano che i decadimenti di particelle strane sono soppressi rispetto a quelli di particelle non strane. Per tenere conto di questa soppressione nel 1963 N. Cabibbo introdusse un parametro addizionale nella teoria, detto angolo di Cabibbo. Come la stranezza, il charm è una proprietà analoga che caratterizza gli adroni. Secondo la moderna teoria delle particelle elementari basata sulla nozione di quark (Gell-Mann e Zweig, 1964) gli adroni sono particelle composte da quark e/o antiquark di diversi tipi, o sapori. Le particelle con charm sono adroni nella cui composizione interviene appunto un quark di nuovo tipo, il quark charm; così le particelle strane sono adroni nella cui conposizione interviene il quark strano. L’esistenza delle particelle con charm e molte delle loro proprietà fisiche sono state previste teoricamente da S.L. Glashow, J. Iliopoulos e L. Maiani per spiegare alcune caratteristiche peculiari del decadimento dei mesoni K neutri ancora prima dell’osservazione sperimentale del charm, annunciata dal New York Times il 1 gennaio del 1976.

(27) Le coordinate, le componenti della velocità, sono vettori e cambiano segno sotto l’operazione di inversione; le rotazioni invece sono pseudovettori e non cambiano segno sotto inversione. L’inversione si chiama anche “parità”.

(28) La teoria, che unifica le interazioni deboli e elettromagnetiche nell’interazione elettrodebole, il Modello Standard, ha previsto con successo l’esistenza di famiglie di nuovi adroni (charm, bottom e top), nuove interazioni (correnti neutre), l’esistenza dei bosoni W e Z0, e le loro masse). Tutte le previsioni del Modello Standard sono in perfetto accordo con i dati sperimentali esistenti, inclusi quelli molto precisi e ad alta energia ottenuti in esperimenti al CERN (Ginevra) e a SLAC (Stanford).

(29) PONTECORVO B., SSW, p. 326. (30) PONTECORVO B., SSW, p. 353.

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