Una marcia in più

La sostenibilità dello sviluppo ha finalmente assunto un ruolo centrale nell’attuale dibattito politico. Non si può pensare però di affrontare il problema solo in termini di « adattamenti » come troppo spesso, invece, accade. Sono convinto che l’attuale civiltà basata sul consumo e sul possesso dei beni materiali, che caratterizza circa 1/5 della popolazione mondiale, non possa essere estesa agli altri 4,5 miliardi di abitanti del mondo, sia per le esigue risorse materiali che per la capacità di assorbire gli effluenti dei processi (mi riferisco al problema dell’effetto serra e dell’inquinamento dei corpi idrici). Indubbiamente, una valutazione delle questioni ambientali attualmente aperte non può non comprendere anche quegli aspetti che la figura del decisore pubblico si trova di fronte, e anche la grande carica emotiva che le potenzialità di cambiamento mettono in gioco.

Mi pare di individuare due grandi filoni di approfondimento che derivano dai protocolli di Kyoto: a) la sostenibilità ambientale; b) la valutazione del rischio ai fini della gestione. Sulla sostenibilità ambientale i lavori presentati in questo dossier, che logicamente precedono questo mio intervento, hanno dato conto di una incidenza sul clima degli scarichi nell’atmosfera: questa è ormai una realtà al di fuori di ogni dubbio. Le variazioni climatiche devono essere prese come dato d’ingresso nelle strategie di lungo periodo relative alla riduzione dell’immissione in atmosfera di gas serra stabilita con il Protocollo di Kyoto. E questo nelle due direzioni: l’uso di risorse rinnovabili e l’ottimizzazione dell’impiego di combustibili fossili. Consideriamo l’impiego di risorse rinnovabili che non implichino immissione di ulteriore carbonio fossile in atmosfera. Mi riferisco in particolare alle biomasse agricole, forestali e risultanti da rifiuti. Tali materiali organici possono dare un contributo stimabile intorno al 15 per cento del nostro fabbisogno energetico, quindi, non si tratta certamente di un sistema risolutivo, ma indubbiamente di una misura non trascurabile.

Tra l’altro le tecniche di pirolisi ad alta temperatura in atmosfera di ossigeno permettono di gassificare le biomasse e di vetrificare la componente minerale. Quest’ultima si può utilizzare quale inerte, mentre il gas contiene, oltre ad anidride carbonica, monossido di carbonio e importanti quantità di idrogeno. Il suo costo è già minore rispetto al reforming del metano e quindi ciò costituisce una premessa importante per l’inizio di un sistema energetico basato anche sull’idrogeno come vettore. L’altro aspetto implicito nell’applicazione dei protocolli di Kyoto è la ottimizzazione dell’impiego dei combustibili fossili mediante cogenerazione diffusa. Si potrebbe iniziare chiedendo alle nostre aziende di servizi a rete di cominciare a vendere calore e non gas metano, favorendo così lo sfruttamento appieno dei salti di temperatura producendo energia elettrica e utilizzando il calore di scarto ai fini del riscaldamento e del raffreddamento.

L’avanzamento delle tecniche motoristiche e del controllo remoto nell’ambito delle reti di informazione e comunicazione rendono possibile un abbassamento considerevole della dimensione degli impianti. Ci vorranno sempre impianti di taglia grossa per la produzione di energia elettrica, ma per questi sarà sempre difficile e costoso l’impiego del calore di scarto. Anche il secondo principio della termodinamica ha un profondo valore politico oltre che concettuale. Infatti, per quanto riguarda i trasporti penso che la generazione di elettricità da idrogeno nelle celle a combustibile potrà schiudere lo sviluppo di una automobile con minori potenze installate, con recupero di energia meccanica, e privilegiando la velocità media rispetto alle prestazioni di punta.

Il secondo filone prende in considerazione le scelte connesse con la valutazione e la gestione del rischio e anche questo coinvolge aspetti ambientali, in particolare per quanto riguarda gli aspetti sanitari a carico della popolazione umana. In generale, proprio per la complessità e la vulnerabilità dell’essere umano, si può affermare che, se è protetto, lo è anche tutto l’ecosistema. Si possono elencare tanti tipi di rischio: per esempio, dal punto di vista ambientale, il più grave è forse l’inquinamento atmosferico urbano. Abbiamo il rischio di incidenti stradali e il rischio da inquinamento elettromagnetico. In generale, a ogni fattore di rischio è associata una relazione dose/effetto: a ogni dose (per esempio: alla quantità di inquinanti introdotti nell’organismo, che è a sua volta dipendente dalla concentrazione e dalle caratteristiche dell’inquinante) corrisponde un effetto sanitario, cioè un danno atteso. Solo sulla base della relazione dose/effetto per tutti gli inquinanti è possibile un confronto uniforme tra i rischi ed è possibile evidenziare dove le risorse, limitanti per definizione, possano essere investite per avere il massimo vantaggio sanitario. Vi sono casi in cui queste relazioni quantitative non esistono ancora, come per esempio per gli effetti dell’inquinamento elettromagnetico.

In questi casi, si fa ricorso al principio di precauzione: ma se applicassimo il principio di precauzione al problema dell’inquinamento urbano dovremmo chiudere le città… Naturalmente, se si costruiscono impianti nuovi è in generale possibile tenere conto di tale principio perché le modifiche possono non essere costose. Tuttavia, la trasformazione di impianti esistenti potrebbe implicare risorse che, investite altrove, potrebbero essere molto più produttive dal punto di vista sanitario generale. In sostanza, sento il bisogno di incorporare nelle scelte politiche il massimo di conoscenza per cercare di limitare scelte dettate dalla emotività, che raramente si rivela una buona consigliera. La ricerca serve anche a questo scopo. Questa civiltà non è solo necessitante di una vera e propria « razionalizzazione » delle risorse, questa civiltà ha bisogno di operare una transizione verso uno sviluppo e un progresso basati sulla conoscenza e sulla capacità di relazione fra persone e comunità. Una tale civiltà sarebbe caratterizzata dalla tecnologia dell’informazione e della comunicazione e avrebbe come risultato un uso più ridotto di risorse materiali ed energetiche.

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