Videogiochi e bambini: nessun danno al cervello

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(credit: Victoria_Watercolor da Pixabay)

Nessun danno al cervello dei bambini. Neanche se stanno davanti allo schermo per ore, o se scelgono di giocare a videogiochi di determinati generi. È questa la conclusione, a dir poco magnifica per i piccoli amanti dei videogiochi, a cui è giunto un team di ricerca internazionale che, in uno studio pubblicato sulle pagine del Journal of Media Psychology, ha mostrato come i videogame non danneggino le abilità cognitive dei più piccoli. “Le nostre analisi non hanno rilevato tali collegamenti, indipendentemente da quanto tempo i bambini hanno giocato e da quali tipi di giochi hanno scelto”, ha commentato Jie Zhang, esperto della University of Houston College of Education, tra gli autori dello studio.

Il dibattito

Ricordiamo che i videogiochi e i loro effetti sul cervello, soprattutto su quello in via di sviluppo, sono al centro di un accesissimo dibattito scientifico ormai da tempo. Se, infatti, da una parte l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) classifica la dipendenza da videogiochi come un vero e proprio disturbo mentale, e molti studi hanno evidenziato potenziali associazioni tra i videogiochi e un aumento della depressione e della violenza, dall’altra alcune ricerche suggeriscono come questi possano, sotto alcuni aspetti, portare benefici ai più piccoli. Ad esempio, come vi abbiamo raccontato tempo fa, uno studio pubblicato su Jama Network Open dimostrava che i bambini che giocano per tre o più ore al giorno sembrerebbero avere alcune abilità cognitive migliorate, come il controllo del comportamento impulsivo, la memorizzazione di informazioni e l’esecuzione dei compiti.


Videogiochi: potrebbero addirittura far bene al cervello


Il nuovo studio

I ricercatori hanno coinvolto 160 studenti pre-adolescenti, una fascia di età meno studiata nelle ricerche precedenti, che hanno riferito di stare davanti allo schermo in media 2 ore e mezza al giorno, con i più accaniti che ne raggiungevano anche 4 e mezza (la quantità di tempo indicata dalle linee guida dell’American Academy of Pediatrics è di una o due ore al giorno). Il team li ha poi sottoposti al test standardizzato conosciuto come come CogAt, che valuta le abilità verbali, non verbali e spaziali, confrontando poi i risultati con i voti riportati dagli insegnanti e le valutazioni di apprendimento auto-dichiarate. “Nel complesso, né la durata del gioco né la scelta dei generi di videogiochi avevano correlazioni significative con le valutazioni CogAt”, spiega May Jadalla, prima autrice della ricerca. “Questo risultato non mostra alcun collegamento diretto tra i videogiochi e le prestazioni cognitive, nonostante quanto si fosse ipotizzato”.

I risultati e le precauzioni

In sintesi, quindi, questi risultati sono incoerenti con le teorie precedenti che prevedono prestazioni cognitive peggiori nei bambini che giocano molto o a determinate tipologie di videogiochi. Non solo: dallo studio, infatti, è emerso anche che alcuni videogiochi descritti come capaci di aiutare i bambini a sviluppare le abilità cognitive non hanno presentato effetti misurabili e significativi. Ciò significa che si può continuare a giocare? Forse, suggerisce la ricerca. Gli esperti, infatti, avvertono che il tempo dedicato ai videogiochi ha allontanato i bambini, soprattutto quelli più accaniti, da altre attività più produttive, nello specifico i compiti.

Ma anche in quei casi, spiegano i ricercatori, le differenze tra quei partecipanti e le misure CogAT delle abilità cognitive dei loro coetanei erano davvero lievi. “I risultati dello studio mostrano che i genitori probabilmente non devono preoccuparsi così tanto delle battute d’arresto dei bambini amanti dei videogiochi, fino alla quinta elementare. Quantità ragionevoli di videogiochi dovrebbero andare bene, una notizia magnifica per i bambini”, conclude Zhang, sottolineando tuttavia di tenere d’occhio il comportamento ossessivo. “Quando si tratta di videogiochi, trovare un punto di incontro tra genitori e bambini è già piuttosto complicato. Almeno ora sappiamo che trovare l’equilibrio è la chiave, e non c’è bisogno che di preoccuparsi troppo”.

Via: Wired.it