Wire nella culla delle galassie

Se i tempi saranno rispettati, il 26 febbraio prossimo verrà lanciato il nuovo telescopio infrarosso Wire, Wide Field Infrared Explorer sul vettore Pegasus XL, portato in quota da uno speciale aereo, un Boeing L-1011. Wire, che fa parte di un programma della Nasa denominato Small Explorer, esplorerà un’ampia fetta di cielo pari a mille gradi quadrati, rileverà sorgenti che emettono nella banda del vicino e medio infrarosso, mille volte più deboli di quelle raccolte sul Faint Source Catalog (catalogo delle sorgenti deboli) del satellite Iras (Infrared Astronomical Satellite). Questo telescopio rappresenta dunque, almeno per ora, un punto di arrivo nel campo dell’esplorazione nell’infrarosso di regioni dello spazio al di fuori dell’atmosfera terrestre, grazie al significativo aumento della sensibilità dei suoi strumenti. Una volta lanciato il satellite, la missione durerà almeno quattro mesi, durante i quali Wire dovrà scoprire in che modo si formano nuove galassie, o protogalassie, e fare un censimento delle cosiddette “starbust galaxies”, vere e proprie incubatrici all’interno delle quali si formano nuove stelle a un ritmo molto intenso.

Le starburst galaxies sono oggetti molto brillanti nell’infrarosso e moltissime di loro sono già state scoperte da Iras. “I dati di Wire – spiega Francesco Melchiorri, professore ordinario di Astrofisica all’Università di Roma La Sapienza – serviranno a far comprendere meglio come nascono ed evolvono queste galassie, confrontando i dati ricevuti con quelli dei modelli teorici esistenti; e serviranno a spiegare perché, periodicamente, durante loro vita, attraversano momenti di intensa attività di formazione stellare. Potremo capire se questa costituisce la fase iniziale dell’evoluzione delle galassie e, quindi, una fase sistematica nella loro storia. In quest’ultimo caso se ne vedranno moltissime, forse anche 50 mila, come promettono gli scienziati che hanno lavorato per Wire”.

Il compito di questo satellite è dunque di aiutarci a verificare quale dei modelli teorici relativi alla nascita e all’evoluzione delle galassie finora concepiti è quello giusto, e a fare un censimento approfondito di queste galassie, sfruttando al meglio rivelatori di tecnologia molto avanzata, almeno 200 volte più sensibili di quelli di Iras. Il “cuore scientifico” del satellite è costituito da un piccolo telescopio Cassegrain di 30 cm di diametro, raffreddato a una temperatura di 14 gradi Kelvin (-259° C) con idrogeno solido per evitare che emetta nell’infrarosso. La radiazione in arrivo viene divisa in due fasci da una lamina semiriflettente e inviata verso due “mosaici” di rivelatori, ovvero due telecamere sensibili a lunghezze d’onda di 12 e 25 micron rispettivamente.

“Questo telescopio nel suo insieme è stato progettato per rivelare oggetti molto lontani – spiega ancora Melchiorri – la sua regione operativa nell’infrarosso è compresa tra i 12 e i 25 micron a redshift 3. Quando un oggetto è lontano si vede a una lunghezza d’onda più grande di quella che emette effettivamente. La luce proveniente dalle galassie passa così dal visibile all’infrarosso man mano che queste si allontanano. Redshift 3 significa che la lunghezza d’onda di un dato oggetto è tre volte più grande della lunghezza d’onda emessa. Per esempio, una galassia a redshift 3 emette tipicamente luce di lunghezza d’onda di 4-5 micron. Ma questa ci arriva con una lunghezza d’onda moltiplicata per tre, cioè circa 15 micron, proprio nella regione operativa di Wire. In termini di distanza, redshift 3 vuol dire che si guardano oggetti che sono a 10 miliardi di anni luce e sapendo che l’estensione dell’intero Universo è di 20 miliardi di anni luce, queste galassie si troverebbero circa a metà strada”.

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