Il clima cambia, piante e animali si muovono, e anche le aree protette nate a tutela della biodiversità dovrebbero muoversi. O meglio dovrebbero essere progettate al di là dei confini e delle politiche dei singoli Paesi, per non essere d’ostacolo al movimento delle specie, in risposta agli impatti climatici nel prossimo futuro. Serve pensare le aree protette come aree dinamiche in sostanza, secondo quanto afferma uno studio appena pubblicato su Environmental Research Letters.
Il clima cambia, e così le aree da proteggere
In un ambiente che si modifica velocemente a causa dei cambiamenti climatici, la configurazione delle aree protette potrebbe cambiare notevolmente prima della fine del secolo. Gli autori hanno stimato che a livello globale nell’ipotesi di un riscaldamento di 2°C, un quarto delle attuali aree protette non avrebbe più le condizioni climatiche ottimali per la sopravvivenza delle specie che le popolano oggi, le quali sarebbero costrette a migrare in altre aree. Al contrario circa un terzo delle aree che garantirebbero la conservazione della biodiversità animale dal punto di vista climatico, non sono attualmente presenti nella rete delle aree protette.
Questo suggerisce così la necessità di programmare un piano di aree protette dinamiche e abbastanza vicine tra loro, tali da permettere la migrazione delle diverse specie. Possibile solo abbracciando una visione globale della gestione delle risorse e della cooperazione internazionale. Che si traduca in azioni concrete a livello locale. Per esempio, suggeriscono gli autori, con un approccio che favorisca il superamento di ostacoli tanto fisici – come quelli che gli animali si troveranno a dover affrontare attraversando paesi diversi – che politici, quali leggi diverse sulla salvaguardia delle biodiversità, sulle specie in via di estinzione, pratiche di uso del suolo contrastanti, che potrebbero mettere a rischio la loro sopravvivenza.
Tutelare le popolazioni indigene
La realizzazione di una politica comune globale è proprio lo scopo della 15° COP sulla biodiversità. Tra gli obbiettivi della conferenza c’è anche l’impegno a trasformare il 30% della superficie mondiale, sia terrestre che marina, in aree protette entro il 2030.
Come ha ricordato una review pubblicata su Ecology & Society la pianificazione delle aree protette dovrà tenere conto però anche dei diritti e dello stile di vita delle popolazioni indigene che abitano alcune regioni in Africa e in Asia, tra le più povere al mondo dal punto di vista economico, ma tra le più ricche per biodiversità. Popolazioni, che pur non essendo una minaccia per l’ambiente, rischiano di perdere tutto ciò che possiedono. Secondo gli autori, il percorso migliore per un’efficace conservazione a lungo termine dovrà proprio coniugare le aree protette con la lungimirante gestione ambientale propria delle comunità locali. Altrimenti a pagare rischiano di essere, anche in questo caso, solo le popolazioni più povere, non responsabili della crisi ambientale e climatica.
Riferimento: Environmental Research Letters
Credits immagine: Nadine Venter on Unsplash