Le colture di mais modificano il clima dove crescono

di Andrea Monaco

Che il principale responsabile del riscaldamento globale sia l’essere umano con le sue attività ormai è un fatto assodato. Oggi però a finire sotto osservazione è un fenomeno apparentemente in controtendenza, anch’esso provocato dalle attività umane, sebbene su scala ridotta. Ne parlano su Geophysical Research Letters i ricercatori del Mit, secondo cui le colture estensive di mais nella cosiddetta Corn Belt americana sono in grado di alterare il microclima della regione, rendendolo più freddo e piovoso.

I ricercatori hanno modellizzato trent’anni di dati climatici relativi all’enorme fascia di colture estensive, prevalentemente di mais, che attraversa gli Stati Uniti centrali, dall’Ohio al Texas. Si tratta di una delle regioni più fertili del mondo, profondamente alterata dalla specie umana che, dall’inizio del Novecento, ha continuato a trasformare terreni naturali in campi di mais per aumentare la produttività e raggiungere l’attuale cifra di 1 miliardo di tonnellate di prodotto all’anno.

Il team di ricercatori, guidato da Ross E. Alter, incuriosito dai dati climatici che per questa regione mostravano, per la stagione estiva, trend in controtendenza con quelli globali (negli ultimi 100 anni la temperatura è diminuita di 1°C e le precipitazioni sono aumentate del 35%), ha cercato di capire se potesse esistere una relazione di causalità tra queste anomalie e l’incremento delle coltivazioni estensive di mais.

Le simulazioni condotte hanno prima messo a confronto aree a elevato sfruttamento agricolo con aree di controllo a elevata naturalità, ottenendo risultati compatibili con i trend climatici della corn belt solo nelle prime. Poi il team ha testato i modelli messi a punto dal World Climate Research Programme (WCRP), un programma internazionale sul clima sponsorizzato anche dall’Unesco che non considera l’utilizzo agricolo delle terre, ottenendo per la corn belt risultati distanti da quelli osservati nella realtà, con temperature in aumento e precipitazioni sostanzialmente stabili. Analogo risultato è stato ottenuto utilizzando una tipologia di modelli che si basa sulle variazioni di temperatura misurate in corrispondenza della superficie marina. Nel complesso questo indicherebbe come i cambiamenti osservati negli ultimi decenni siano imputabili all’agricoltura.

Ma quali sono i possibili meccanismi che permettono alle coltivazioni di mais di influire sul clima della regione? Gli autori ipotizzano che gli effetti siano in gran parte riconducibili alla fotosintesi: gli stomi delle piante si aprono per permettere l’ingresso di anidride carbonica e, allo stesso tempo, rilasciano per evapotraspirazione vapore acqueo in atmosfera, il quale ritornerà sul suolo in forma di precipitazioni, provocando anche una riduzione delle temperature.

“L’influenza esercitata dal diffondersi dell’agricoltura intensiva è un problema indipendente dall’emissione di gas serra” ha commentato Alter, attualmente in forza all’esercito americano come meteorologo, secondo cui proprio l’agricoltura estensiva in alcuni contesti, paradossalmente, può generare effetti sul clima in grado di mitigare quelli provocati dai gas serra. Non a caso, continua Alter, un altro posto nel quale si assiste a trend climatici anomali paragonabili a quelli della corn belt americana è la Cina orientale, anch’essa caratterizzata da un’enorme diffusione delle colture intensive.

Lo studio condotto da Alter e colleghi delinea uno scenario futuro di grande complessità, in cui i nuovi modelli previsionali dovranno integrare variabili ambientali fino ad ora ignorate o sottovalutate. “Non dobbiamo concentrarci solo sui gas serra”, sostiene su Science Nathan Mueller della University of California (UC) commentando lo studio. Nel futuro la sfida sarà quella di fare luce sulle interazioni reciproche tra clima e agricoltura, in modo da permettere lo sviluppo di proiezioni affidabili sia per i raccolti che per il clima.

Riferimenti: Geophysical Research Letters

Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP di Sapienza Università di Roma

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