Ci si mettono anche gli aerosol

Tocca scegliere: o le piogge acide, o il riscaldamento globale. È il paradossale dilemma che emerge da una ricerca pubblicata questa settimana su Nature, che mostra come persino i provvedimenti ecologici che in anni recenti hanno ridotto con successo le emissioni responsabili delle piogge acide, finiscano per contribuire all’innalzamento della temperatura del pianeta. Lo studio è firmato da Nicolas Bellouin, insieme a Olivier Boucher, Jim Haywood e Shekar Reddy, (tutti del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory al National Oceanic and Atmospheric Administration di Princeton, nel New Jersey) e riguarda gli effetti globali degli aerosol. Gli aerosol sono un insieme eterogeneo di particelle che restano in sospensione aerea a causa delle ridotte dimensioni, che variano da 0,0001 a 100 micron circa. Si distinguono tra quelli naturali, costituiti da polveri di varia origine e dall’evaporazione dell’acqua marina, e quelli di origine antropica, prodotti soprattutto da insediamenti industriali e agricoli. I climatologi parlano di forzatura radiativa per indicare l’effetto di queste particelle, che in parte assorbono la luce solare e in parte la riflettono verso l’alto, così contribuendo ad abbassare la temperatura del pianeta. L’entità di questo effetto è sempre stato materia di contestazione tra i climatologi, perché molto difficile da misurare. L’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change lasciava un ampio margine di incertezza (tra – 0,2 e – 1,0 Watt per centimetro). L’obiettivo dello studio era affinare quel calcolo, per capire quanto effettivamente gli aerosol di origine antropica facciano da contrappeso al riscaldamento globale, e quanto la loro riduzione, legata ai provvedimenti contro le emissioni zolfo e azoto in vigore fin dagli anni Settanta, possa limitare questo effetto. I ricercatori si sono avvalsi dei dati resi disponibili da Modis (Moderate Resolution Imaging Spectrometer), uno strumento presente a bordo missioni Terra e Aqua della Nasa, che ha permesso di misurare lo spessore degli aerosol sopra agli oceani. Questi, combinati con misurazioni della luce solare che raggiunge la superficie dei mari, hanno permesso a Bellouin e colleghi di distinguere tra il contributo della particelle fini prodotte dall’uomo e quello delle particelle più grandi di origine naturale, come polvere e vapori prodotti dall’evaporazione delle acque marine. Più complicata la questione degli aerosol sulla terraferma, per cui le osservazioni della missione Modis sono più incerte. Qui i ricercatori hanno scelto di dividere i continenti in sei parti, e hanno combinato diversi modelli computerizzati di trasporto delle particelle di aerosol (con una serie di calcoli statistici basati sul cosiddetto “metodo Monte Carlo”), insieme a dati provenienti da sei stazioni di osservazione a terra sull’attenuazione della luce solare. Rimangono ovviamente grandi incertezze nei dati, come è sempre bene ricordare quando ci sono di mezzo i modelli di cambiamento climatico. Tuttavia, il risultato ottenuto da Bellouin e colleghi colloca il contributo degli aerosol prodotti dall’uomo all’attenuazione della luce solare all’estremo più alto fra quelli finora considerati: 0,8 Watt al centimetro di energia luminosa sottratta. Buona notizia, direte voi, perché è più alto l’effetto “refrigerante” di queste particelle che in qualche modo contrasta quello dei gas serra? No, perché tutte le stime attuali sul cambiamento climatico danno poco peso alla diminuzione degli aerosol, in base all’ipotesi di una loro minore influenza sul clima. Insomma, i calcoli vanno rivisti in peggio perché oltre a saturare l’atmosfera di gas serra stiamo anche riducendo più di quanto si credesse un fattore che ne contrasta gli effetti.

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