Fermi inventore: compenso in ritardo per i neutroni lenti

“L’invenzione descritta nel brevetto N. 2206634 riguarda il processo base utilizzato nella ricerca e sviluppo che conducono alla produzione dell’energia e della bomba atomica. Questa invenzione è quindi di assoluta importanza nella produzione di materiali fissili e di armi nucleari” (1).

Capo della commissione: Così lei mi dice che Tizio potrebbe aver fatto la più importante invenzione in questo campo e ciò nonostante essere privato di qualsiasi compenso per essa? Capitano Lavander: Esatto. Questo è quanto potrebbe succedere nel caso in cui Tizio rifiutasse il compenso che noi gli avessimo offerto” (2).

Il generale Leslie Groves, uno dei comandanti del genio dell’esercito statunitense, decise di adottare l’innocente nome di Manhattan Engineering District (o MED) per uno dei suoi progetti meno innocenti: la costruzione della prima bomba atomica. Manhattan era infatti il quartiere della città di New York che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ospitò il quartier generale di quel corpo di armata. Groves e i suoi genieri diressero un gruppo di scienziati provenienti da tutto il mondo verso il successo di quell’impresa, dotandoli delle strutture di ricerca necessarie. Dal 1943, la maggior parte di loro fu ospitata nel Nuovo Messico, dove i militari costruirono un villaggio e un laboratorio vicino al canyon di Los Alamos. Fu lì, nella massima segretezza, che furono assemblati i due ordigni nucleari che avrebbero messo fine al conflitto fra Stati Uniti e Giappone attraverso il bombardamento delle città di Hiroshima e Nagasaki.

L’ombra lunga del progetto Manhattan

Il Progetto Manhattan continua a essere considerato una pietra miliare nello sviluppo della scienza contemporanea perché segna il passaggio alla big science, ovvero alla ricerca contraddistinta da grandi investimenti con il coinvolgimento su larga scala di ricercatori, laboratori e strumenti di ricerca e di complesse strutture organizzative (3).Nel corso degli ultimi cinaquant’anni molti studiosi hanno contribuito a scrivere la storia del Progetto Manhattan (4). Tuttavia, uno degli aspetti più interessanti e meno studiati di questa impresa sembra essere la gestione dei brevetti e delle invenzioni, della quale si conoscono solo alcuni dettagli. Per esempio, Richard Rhodes ha mostrato che già nel dicembre del 1942, quando il Progetto Manhattan era appena iniziato, alcuni scienziati chiesero compensi per dei processi nucleari brevettati prima della guerra (5).

Altri storici hanno dimostrato come nel contesto del Progetto Manhattan si definirono le leggi che permisero poi agli Stati Uniti di appropriarsi di invenzioni e brevetti ottenuti da singoli ricercatori che vi avevano presero parte. Sappiamo anche che tale appropriazione causò conflitti tra chi gestiva il progetto e singoli scienziati (6). E che nel dopoguerra vi furono vari annosi contenziosi giudiziari il governo degli Stati Uniti in merito a brevetti “atomici” (7).In questo articolo ricorderemo uno di questi contenziosi: quello di Enrico Fermi e i suoi ex-collaboratori (il famoso gruppo di via Panisperna) con i rappresentanti del governo degli Stati Uniti. Nel 1934, i ricercatori italiani avevano ideato un metodo per migliorare l’efficienza delle reazioni nucleari attraverso il rallentamento dei neutroni, e lo avevano brevettato. Nel corso del Progetto Manhattan questo brevetto si rivelò di fondamentale importanza per gli usi militari e industriali dell’energia atomica. Al suo impiego nel corso della guerra e nel dopoguerra avrebbe dovuto – in termini di legge – corrispondere un compenso per i suoi titolari (8).

Ma così non fu. Il Progetto Manhattan trasformò in modo sostanziale la dinamica economica e legislativa dello sfruttamento delle invenzioni (9). Come vedremo, se le conseguenze di questo cambiamento furono ad ampio spettro, esse furono per Fermi del tutto negative.

Fermi e il brevetto sui neutroni lenti, 1938-1941

Nel dicembre del 1938, Enrico Fermi e la sua famiglia emigrarono negli Stati Uniti. Dalla Svezia, dove si trovava per la consegna del premio Nobel, dopo la cerimonia l’illustre fisico italiano si imbarcò sulla nave che lo portò in America. Ad accoglierlo dall’altra parte dell’oceano fu un suo ex-allievo, Gabriello Maria Giannini, il quale si occupava della promozione di nuove invenzioni: dal suo ufficio di Manhattan offriva ad aziende americane le licenze di nuovi brevetti in cambio di denaro. Giannini fu contentissimo di rivedere il suo maestro e lieto di procurare tutto il supporto necessario in un momento particolare della vita del fisico italiano. Ma per lui l’arrivo di Fermi era anche l’occasione per parlare di affari molto importanti.

Fin dal 1935 Giannini si era occupato della commercializzazione dei brevetti di Fermi. Nel 1934, il fisico italiano insieme agli altri “ragazzi di via Panisperna” aveva scoperto che, nel corso di reazioni nucleari, sostanze idrogenate come la paraffina possono moderare la velocità dei neutroni. Il rallentamento aumenta l’efficenza delle reazioni stesse, e permette la creazione di sostanze radioattive artificiali (o radioisotopi) in quantità molto maggiore rispetto a reazioni con neutroni veloci. Sollecitato da Orso Mario Corbino, Fermi aveva deciso di fare domanda per una privativa industriale sul metodo di produzione dei radioisotopi attraverso l’uso dei neutroni lenti (10). Al tempo egli credeva che il metodo potesse trovare applicazione nell’industria (11). In particolare, pensava alla possibilità di usare i radioisotopi in medicina (nella diagnosi e nella cura delle malattie), ma anche in chimica, fisica e fisiologia come sostanze traccianti. La domanda di brevetto era a nome di Fermi e di altri sei inventori: Emilio Segrè, Franco Rasetti, Bruno Pontecorvo, Oscar D’Agostino, e Giulio Cesare Trabacchi (12).

Nel corso del 1935, Fermi stipulò anche un contratto con la olandese Philips per garantire lo sfruttamento dell’invenzione in Europa. La Philips era particolarmente interessata al metodo perché produceva strumenti radioemittenti usati in medicina e si diede da fare per presentare domanda di brevetto in altri 16 dei maggiori stati europei (13). Nello stesso 1935, Giannini richiese il brevetto negli Stati Uniti e in Canada e avviò trattative con la General Electric e la Westinghouse per la vendita di licenze. Non fu una impresa facile, perché proprio in quell’anno le sanzioni dovute alla guerra in Etiopia generarono in molti italiani all’estero il timore che le loro proprietà venissero confiscate. Pertanto, Giannini, cittadino italiano, decise di creare una società, la G. M. Giannini & Co., alla quale intestare (piuttosto che a se stesso) le domande di brevetto (14). Nel 1936, per conto suo Fermi fece domanda per un secondo brevetto inerente il decadimento beta di 60 radioisotopi precedentemente irradiati con il metodo dei neutroni lenti (15). Da allora, Fermi divenne estremamente fiducioso nella possibilità di sfruttare economicamente le sue invenzioni.

Tuttavia, al momento della partenza per gli Stati Uniti, Fermi era piuttosto pessimista al riguardo. La possibilità di sfruttare appieno i suoi metodi in processi industriali sembrava al tempo “fragile come un ponte di farfalle” (16). Sia Giannini sia la Philips avevano inizialmente mostrato interesse nei brevetti, ma questo si era attenuato quando si era capito che l’efficienza del metodo non permetteva ancora investimenti su larga scala. Nel 1938, Giannini – con il beneplacito di Fermi – decise di cedere alla Philips i diritti europei del primo brevetto per appena 3.200 dollari americani (17). Peraltro, la mancanza di finanziamenti per la ricerca in Italia impediva a Fermi di sviluppare nuove ricerche per accrescere l’efficienza del metodo (18). E così, spinto anche dall’avvio della campagna antisemita del regime fascista, lo scienziato decise di abbandonare l’Italia, disinteressandosi delle sue invenzioni (19).

Prima di partire per la Svezia, Fermi aveva preso contatto con l’Università Columbia di New York, dove andò a insegnare al suo arrivo in America. Fu lì che Fermi comprese l’importanza del brevetto sui neutroni lenti. Tra il 1939 e il 1942, Fermi comprese che era la fissione nucleare a permettere la produzione di radioisotopi artificiali. Allora si andavano consolidando ricerche fondamentali sulla fissione dell’uranio, che avrebbero poi condotto agli studi sulla bomba atomica (20). Sia il fisico ungherese Leo Szilard sia Fermi (quest’ultimo insieme ai ricercatori americani Herbert Anderson e Walter Zinn) cominciarono nuovi esperimenti, discutendo la fattibilità di una reazione nucleare a catena derivante dalla fissione dell’uranio. Se questa fosse stata possibile, allora probabilmente anche il metodo dei neutroni lenti (in essa implicato) avrebbe finalmente provato la propria importanza.

E quindi anche i brevetti che lo proteggevano avrebbero acquistato tutt’altro valore. Certo, specialmente dopo il 1940, Fermi fu impegnato nella verifica dei possibili impieghi militari della fissione, e quindi era meno interessato agli aspetti industriali. Il 19 agosto 1941 il fisico italiano fu messo a capo di un comitato consultivo sulla ricerca nel contesto del Progetto uranio (il progetto militare che anticipa il Manhattan). Dato che il progetto era segreto, Fermi si trovò sempre meno a discutere di brevetti con Giannini e con gli altri inventori (21). Ma se da un lato queste ricerche cominciavano a far luce sui fenomeni e sulle implicazioni della fissione nucleare, dall’altro mostravano che i brevetti potevano essere estremamente redditizi. Fu, quindi, per lui un “peccato” che nel 1940 la pubblicazione del secondo brevetto (quello sul decadimento beta) venisse bloccata (22).

Nello stesso anno il primo brevetto fu però finalmente approvato e pubblicato negli Stati Uniti. Nel contesto del Progetto uranio, Fermi cominciò quindi a interrogarsi sul futuro dell’unico brevetto ormai rimasto.

Invenzioni a Los Alamos, 1942-1945

La definizione di una politica per i brevetti che fosse in grado di accomodare le esigenze di scienziati, tecnici e industria privata divenne uno dei punti più delicati del Progetto uranio. Nel 1942, il neonato Office for Scientific Research and Development degli Stati Uniti (ORSD) definì i punti essenziali di tale politica stabilendo che chiunque (impresa o singolo scienziato) era coinvolto nel progetto doveva cedere al governo americano i diritti derivanti dall’uso delle nuove invenzioni (23). Al tempo Fermi era impegnato all’Università di Chicago nella costruzione della prima pila nucleare, il primo strumento che mostrò la fattibilità di una reazione a catena derivante dalla fissione dell’uranio.

Dopo vari tentativi di produrre le condizioni di criticità necessarie a far autoalimentare la pila, Fermi, Szilard e i loro assistenti si trasferirono all’Università di Chicago per lavorare nei sotterranei dello stadio del campus. Fu in quei locali che nel dicembre del 1942 la pila sperimentale Chicago Pile 1 (o CP-1) divenne critica (24). Occorre tener presente che il metodo dei neutroni lenti era implicato nel funzionamento della pila in quanto la stessa era “moderata” con blocchi di grafite (sostanza contenente atomi di idrogeno) proprio al fine di garantire il loro rallentamento. Quando dunque il “navigatore italiano approdò nel nuovo mondo” (25) era perfettamente consapevole di avere in mano un brevetto che copriva – come brevetto base – il funzionamento di strumenti che rendevano possibile lo sfruttamento dell’energia atomica. Non è chiaro se Fermi chiarì subito l’importanza del suo brevetto con i dirigenti dell’ORSD. Sappiamo però che il 4 dicembre del 1942, appena due giorni dopo l’esperimento, Szilard sollevò il problema. Il fisico ungherese, che era inventore di un brevetto sul processo di reazione a catena, riteneva infatti che non fossero ancora state date regole certe rispetto alle invenzioni fatte e brevettate prima dell’inizio del progetto e utilizzate nel medesimo (26).

Robert A. Lavander, avvocato, capitano della marina e direttore dell’ufficio brevetti dell’ORSD a Washington, si occupò della questione e i due risolsero il contenzioso. Ma da quel momento fu chiaro che esisteva un problema: se gli scienziati erano pronti a donare le loro future invenzioni agli Stati Uniti, essi volevano garanzie rispetto alle invenzioni fatte prima dell’inizio del progetto.Con l’avvio del Progetto Manhattan e l’insediamento degli scienziati a Los Alamos, il regolamento sui brevetti fu ottimizzato con la predisposizione di quattro tipi differenti di contratti. Tali contratti prevedevano gradi diversi di sfruttamento dei brevetti da parte delle aziende che ne facessero richiesta ma, in ogni caso, ne assegnavano la proprietà al governo degli Stati Uniti (27).

Inoltre, il nuovo centro di Los Alamos fu dotato di un ufficio brevetti, operativo dal luglio 1943 e diretto dal capitano Ralph Carlisle Smith, uno degli assistenti di Lavander all’ORSD (28). Smith chiese immediatamente che tutti i ricercatori coinvolti nel progetto rinunciassero ai loro contratti con agenti o con società privare relativi allo sfruttamento di invenzioni. Richiese, inoltre, che tutto il personale si premurasse di tenere aggiornati i propri quaderni di lavoro, in quanto prove essenziali qualora fosse stato deciso di avviare pratiche legali relative a nuovi brevetti (29). Infine Smith ottenne che, prima di lasciare Los Alamos, tutto il personale di ricerca dichiarasse che non vi era alcuna invenzione di cui non esisteva una documentazione aggiornata (30). Nei tre anni di attività, l’ufficio di Smith stilò circa 500 nuove domande di brevetto, le quali furono trasferite nell’ufficio di Lavander a Washington e in seguito all’ufficio brevetti degli Stati Uniti (31).

Le invenzioni di Fermi

Diciotto di queste domande erano relative a invenzioni fatte da Fermi e riguardavano prevalentemente la sua ricerca sulle pile atomiche. Esse furono intestate al governo degli Stati Uniti per il prezzo simbolico di un dollaro. La maggior parte di questi brevetti furono tenuti segreti per circa dieci anni e, quindi, divennero parte integrante dei brevetti utilizzati negli anni successivi per lo sfruttamento dell’energia atomica (32). Ovviamente, dato che l’intera ricerca di Fermi era stata finanziata con i soldi del governo, sembrò del tutto legittimo sia a Fermi che agli altri scienziati coinvolti nel progetto che la proprietà di questi brevetti fosse assegnata al governo degli Stati Uniti. Ma sia gli scienziati sia i militari sapevano benissimo che tutti i brevetti che erano stati pubblicati prima del progetto avrebbero dovuto essere oggetto di remunerazione separata. Fermi rinunciò ai propri diritti sui brevetti delle pile sapendo che avrebbe dovuto ricevere un compenso per quello sui neutroni lenti. E fu proprio all’inizio del 1944 che con Segrè (insieme al quale si era trasferito a Los Alamos) si attivò per cercare di capire come ottenerlo (33).

Lavander e gli altri militari dell’ORSD non avevano però alcuna intenzione di portare avanti una trattativa per un brevetto già da loro conosciuto e di fatto in uso. E così preferirono prender tempo. Un primo incontro avvenne il 14 luglio 1944, ma non produsse alcun risultato. Di fronte alle tattiche dilatorie dei militari, i fisici italiani presero perfino in considerazione la possibilità di rivolgersi direttamente al generale Groves (34). Oltretutto Fermi e Segrè ritenevano di avere delle responsabilità nei confronti degli altri inventori e dello stesso Giannini, visto che ora pensavano al loro brevetto come altamente remunerativo. Tuttavia, se essi avessero comunicato a Giannini o agli altri inventori il perché di questo loro nuovo convincimento (in relazione al Progetto Manhattan), sarebbero andati contro il regolamento di Los Alamos (35). Era quindi necessario muoversi con cautela. I due prepararono una lettera per Giannini, mostrata anche ai funzionari dell’ORSD, nella quale gli proponevano di cedere a loro, come inventori, la proprietà del brevetto in quanto ritenevano di essere in una posizione migliore per avviare negoziati con soggetti che avrebbero potuto mostrare un certo interesse nel suo acquisto (36).

La trattativa

Ma Giannini respinse l’offerta (37). La questione non fu mai risolta nella mesa del Nuovo Messico e quando, alla fine della guerra, Fermi e Segrè lasciarono Los Alamos essa era più aperta che mai. Nell’ottobre del ‘45 Giannini, ora a conoscenza degli aspetti del Progetto Manhattan relativi al brevetto, egli scrisse a Vannever Bush, direttore dell’ORSD, spiegandogli l’intera questione e chiedendo un compenso. Bush stesso era convinto della legittimità della richiesta e sembrò accettare la proposta di vendere il brevetto all’ORSD per 900.000 dollari (38). I negoziati tra Bush, Lavander e Giannini andarono avanti per un po’ ma non ebbero esiti positivi (39). Alla fine della guerra, la trattativa fu gestita da Lawrence Bernard, uno dei più stimati avvocati di Washington. Un procuratore di peso, pensava Giannini, avrebbe favorito una rapida conclusione del negoziato. Ma anche Bernard si trovò di fronte a un muro di gomma. Il 14 giugno del 1946 l’avvocato fece richiesta a Lavander di una somma non inferiore a 450.000 dollari e il capitano convenì che quello era un buon punto di partenza da cui iniziare la trattativa.

Il mese successivo, però, Giannini scrisse di nuovo a Bush chiedendo la formulazione di una offerta definitiva. Se Fermi aveva ora delegato la questione a Giannini, Segrè era invece furibondo e convinto che l’indifferenza di Lavander fosse ingiustificata. Secondo Segrè il capitano sapeva benissimo che lui, e in misura ancora maggiore Fermi, erano stati estremamente generosi con il governo, cedendo tutti i brevetti relativi al progetto. Lavander stava quindi tirando un po’ troppo la corda (40). E questa alla fine si ruppe, ma – come vedremo – non solo a causa sua. Dalla trattativa con i militari a quella con i civili, 1948-1953 I ritardi nel riconoscere il giusto compenso per il brevetto dei neutroni lenti dipese dalle tattiche dilatorie dell’ORSD ma anche dal fatto che dalla seconda metà del 1945 il Congresso aveva iniziato a discutere la possibilità di trasferire tutte le questioni relative al programma nucleare a una nuova agenzia governativa.

Il controllo del governo sui brevetti atomici

Il 1° agosto del ‘46 venne istituita la Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti (US Atomic Energy Commission, USAEC), che fu dotata di un comitato generale consultivo (General Advisory Committee, GAC) di cui Fermi divenne membro (41). La legge che istituì l’USAEC le conferì l’autorità di obbligare qualunque proprietario di “brevetti atomici” (ovvero brevetti su processi e strumenti di interesse per il programma nucleare americano) a venderli alla Commissione. Ciò impedì che di tali brevetti potesse essere fatto un qualsiasi altro uso privato e creò quindi un vero e proprio monopolio governativo sulla tecnologi nucleare (42). La legge istituiva, inoltre, un sottocomitato dell’USAEC, il Consiglio per il compenso dei brevetti (Patent Compensation Board, PCB), con il compito di stabilire il giusto compenso per i brevetti che ne avevano titolo. Così, all’inizio del 1947, l’avvocato dei fisici italiani, Bernard, venne a sapere che tutta la documentazione relativa al brevetto sui neutroni lenti era stata trasferita dall’ORSD ai nuovi uffici dell’USAEC.

Bernard era convinto che questo passaggio avrebbe assicurato un diverso esito della trattativa. Ma si sbagliava. In primo luogo, l’organizzazione del PCB richiese tempi piuttosto lunghi (43). Secondo, il passaggio rimise in discussione la legittimità di Fermi e dei suoi associati nel chiedere un compenso (44). Solamente il 13 ottobre del 1948 la richiesta di compenso per il brevetto n. 2206634 fu consegnata da Bernard e Giannini al direttore esecutivo del PCB. In essa veniva sottolineato che il brevetto copriva il metodo base utilizzato nella ricerca e nello sviluppo per la produzione di energia nucleare e della bomba atomica, essendo di fondamentale importanza nella produzione di materiale fissile (45).

Un brevetto da un milione di dollari

Nella domanda veniva richiesto il pagamento di un milione di dollari per gli usi pregressi, e di altri centomila all’anno per gli usi futuri fino alla data della sua scadenza (1957). Verrebbe da chiedersi perché i due decisero di chiedere una somma così alta (1.900.000 dollari) invece di quella richiesta da Bernard due anni prima. Probabilmente, Giannini, il quale si era occupato della questione dei brevetti per quasi 13 anni, era molto scontento dell’atteggiamento dei militari americani e riteneva ora opportuno “alzare il prezzo”. Fermi e Segrè non condividevano pienamente questa strategia (46). Ma Giannini sapeva bene che il brevetto copriva una serie di attività extra-militari che presto avrebbero fruttato molti soldi all’USAEC, compresa la produzione di radioisotopi e di reattori nucleari per l’energia (47).

Ma prima ancora di iniziare una trattativa con il PCB, la domanda finì sul tavolo dell’avvocato dell’ufficio legale dell’USAEC, Bennett Boskey, per verifiche sulla legittimità del compenso. Il rapporto di Boskey del giugno 1949 fu la fonte di nuovi guai e ritardi (48). Non solo egli negò l’esistenza di un legame tra il brevetto sui neutroni lenti e la produzione di energia (o della bomba) atomica, ma negava anche che esso fosse stato usato nel Progetto Manhattan (!). Ancor più preoccupanti erano le conclusioni di Boskey circa la nazionalità di alcuni dei richiedenti. Secondo l’avvocato, i Trattati di Pace siglati dagli Stati Uniti con governo italiano il 10 febbraio 1947 negavano che cittadini italiani potessero essere compensati per richieste relative a brevetti o invenzioni (49).

Fermi sotto accusa

Sconcertanti, infine, erano le accuse mosse proprio nei confronti di Fermi. Essendo un membro del GAC, egli era in conflitto di interessi nel richiedere un compenso all’USAEC, e quindi addirittura perseguibile in base al codice penale (50). Boskey pensava probabilmente che il suo rapporto sarebbe stato un’arma efficace per convincere Giannini a chiedere meno soldi. Ma a questo Giannini e Bernard ritennero necessario mettere il PCB sotto pressione e, dopo un anno di contrattazioni senza successo, nell’agosto del 1950 decisero di fare causa al governo degli Stati Uniti per gli usi passati, presenti e futuri del brevetto sui neutroni lenti. La somma richiesta fu di ben dieci milioni di dollari. I due pensavano che la mossa avrebbe semplicemente creato una certa attenzione da parte della stampa. Ma Fermi divenne furibondo e scrisse a Giannini che essa avrebbe solo avuto un impatto negativo nell’opinione pubblica, diminuendo ulteriormente la possibilità di una conclusione positiva della trattativa (51). Successe, invece, l’imprevedibile. Nell’estate del 1950, infatti, uno degli inventori del brevetto sui neutroni lenti, ovvero il fisico Bruno Pontecorvo, decise di emigrare nella Russia Sovietica (52).

In piena Guerra Fredda, la cosa di certo non fece piacere alle autorità americane, tanto meno all’UsAEC. Le conseguenze della fuga di Pontecorvo furono terribili per Giannini, Fermi e le altre persone coinvolte nella causa con il governo (53). Giannini decise immediatamente di ritirarla, e dichiarò di non voler avere nulla a che fare con persone coinvolte in “misteri internazionali” (54). Egli rinunciò all’accordo con gli inventori. Fermi, Segrè e Rasetti (55) decisero tuttavia di continuare la trattativa con il PCB nonostante il caso della scomparsa di Pontecorvo. Anzi, ritennero che la controparte avrebbe giudicato come sospetta proprio la decisione di sospendere la trattativa. Giannini alla fine decise di ritornare sui propri passi, proprio mentre le trattative riprendevano. Il PCB ora poteva “giocare la carta” del caso Pontecorvo come un elemento a proprio favore, e dichiarare quindi di essere disposto a offrire un compenso solo per una somma di gran lunga inferiore a quella di partenza (56). Inoltre, ora, senza la presenza di una causa in tribunale, ritardare la trattativa era diventata di nuovo la prassi consolidata per gli americani. “È un sistema da porci”, osservò Rasetti “ma si possono permettere tutto quello che vogliono” (57).

Venti anni dopo, l’epilogo

Gli anni, tuttavia, passarono e malgrado la disponibilità degli inventori nel risolvere la faccenda il prima possibile, nel 1951 il personale del PCB stava ancora una volta prendendo (o perdendo?) tempo. Fu solo nel novembre 1952 che il PCB fece una offerta per 300.000 dollari. La somma fu immediatamente accettata dagli inventori, che però dovettero aspettare l’estate del 1953 per incassarla. A ciascun inventore e a Giannini andarono circa 28.000 dollari per il brevetto sui neutroni lenti. Non sorprenderà il lettore che l’unico a non ricevere neanche un centesimo fu Pontecorvo. La sua parte fu infatti posta in un conto sigillato con la promessa della consegna quando egli fosse “ricomparso” dopo la sua misteriosa sparizione. Ma Pontecorvo riapparve in Unione Sovietica, circostanza che, non sorprendentemente, non lo autorizzò a ottenere quello che gli spettava (58).

Il compenso per l’uso del brevetto sui neutroni lenti avvenne a 19 anni di distanza dalle ricerche iniziali di Fermi e degli altri fisici di via Panisperna; a 13 dalla sua pubblicazione presso l’Ufficio brevetti degli Stati Uniti; a otto dalla fine del Progetto Manhattan e ad appena quattro dalla scadenza del brevetto. A quella data il valore del brevetto era ancora notevolmente elevato (59). Da esso dipendevano le sorti dell’intero programma americano, ovvero la produzione di energia atomica per scopi industriali e la produzione di materiale fissile per bombe atomiche. Il brevetto apriva la strada alla produzione di energia nucleare proprio nel momento in cui l’USAEC aveva deciso di investire nella produzione di reattori nucleari da vendere anche all’estero.

L’economia dell’era atomica

A quattro mesi dalla fine della trattativa, il presidente Eisenhower lanciava il programma “Atomi per la Pace” che avrebbe assicurato la vendita di reattori nucleari in Europa per un introito annuale di circa due miliardi di dollari. Fra le compagnie che avrebbero esportato reattori nucleari figuravano anche la Westinghouse e la General Electric, ovvero le stesse a cui Giannini aveva proposto fin dal 1935 di acquistare il brevetto Fermi. Ora queste società si trovavano nella condizione di poter usufruire del metodo dei neutroni lenti (che viene impiegato in ogni reattore moderato con sostanze contenenti idrogeno), senza pagare un dollaro, visto che era la stessa USAEC a fornire loro le licenze a titolo gratuito (60). Se fossero esistite normali leggi di mercato o se il brevetto Fermi fosse stato venduto alla Westinghouse o alla General Electric prima della guerra, a ciascuno degli inventori sarebbe spettata una fetta consistente di quella torta da due miliardi all’anno.

Ma abbiamo visto che il Progetto Manhattan mutò radicalmente l’apprezzamento e il modo di gestire i brevetti atomici, che per ragioni militari furono sottoposti a un regime di rigoroso monopolio che avrebbe privato inventori e possessori di qualunque introito. Benché le ragioni di sicurezza fossero di assoluta importanza, esse di fatto crearono le circostanze per legittimare il monopolio anche sugli usi extra-militari dell’energia nucleare. Inevitabilmente, non solo i brevetti prodotti nel corso del Progetto divennero di proprietà del governo americano, ma anche il compenso per i brevetti precedenti sarebbe dipeso, nella quantità e nei tempi, dai militari. Il passaggio dal controllo militare a quello civile dell’energia atomica mutò in parte questo stato di cose, ma solo a scapito di inventori e proprietari di “brevetti atomici”.

Da un lato, li costrinse a iniziare di nuovo l’intera procedura necessaria a mostrare il loro diritto a un compenso; dall’altro li mise nuovamente nelle condizioni di dipendere dalle decisioni degli amministratori, questa volta civili. Non sorprende che proprio la sezione 11 della legge sull’energia atomica del 1946, ovvero quella relativa ai brevetti, fu attaccata da molti come il prodotto di una cultura “sovietica” in materia di brevetti, in quanto poneva fine alla libera contrattazione in base alle leggi di mercato (61). Per ironia dalla sorte proprio nella nazione dove i diritti alla proprietà intellettuale sono da sempre percepiti come fondanti la propria economia, il governo abbia adottato una legislazione di segno opposto in relazione allo sfruttamento dei brevetti atomici. Ciò avveniva senz’altro in difesa degli interessi militari della nazione ma, al tempo stesso, era evidente che così si apriva la strada a investimenti e profitti enormi a vantaggio esclusivo di alcune compagnie associate con l’USAEC. E a scapito di tutti coloro che, come Fermi, in tempo di guerra avevano offerto le proprie invenzioni nella difesa del paese. I rapporti tra Fermi e i suoi associati di certo non lo aiutarono a risolvere celermente la trattativa. La riottosità di Giannini lo mise in cattiva luce nei confronti dei militari prima e degli amministratori civili poi (62).

La causa intentata da Giannini era forse l’unico strumento per metter l’USAEC sotto pressione. Ma la fuga di Pontecorvo complicò ulteriormente le cose. Tutti questi elementi furono sapientemente sfruttati dalla controparte per costringere gli italiani ad accettare una somma pari ad appena un terzo di quanto inizialmente promesso da Bush. Osservando questi eventi proprio pochi mesi prima della sua morte, Fermi poteva essere certo solo di una cosa. Non solo aveva aspettato ben nove anni per ricevere l’unico compenso per il suo contributo al Progetto Manhattan. Non solo era stato accusato di essere perseguibile penalmente per averlo preteso. Ma la somma ottenuta in ritardo corrispondeva ben poco a quello che il brevetto sui neutroni lenti valeva veramente.

Ringraziamenti

L’autore ringrazia Gianni Battimelli, Anna Guanini, Jeff Hughes, Thomas Lassman, e Spencer Weart per il loro aiuto. Il finanziamento di parte di queste ricerche si deve ai Friends of the Centre for the History of Physics dell’American Institute of Physics, che qui ringrazio. L’autore è responsabile della traduzione dall’inglese di quanto contenuto in questo articolo.

NOTE

(1) G.M.Giannini&Co., Domanda per un giusto compenso e computo di una giusta royalty in base alla Sezione 11 della legge sull’energia atomica del 1946, p. 3.

(2) “Atti della commissione del senato sull’energia atomica, discussione sui brevetti atomici”, in Bulletin of the Atomic Scientists (BAS), 1: 7 (1946), pp. 10-11.

(3) Il termine si deve al sociologo della scienza Derek de Solla Price. Per una analisi del suo significato vedi: P. Galison e B. Hevly (ed.), Big Science and the growth of large-scale research, Stanford, 1992; J. Hughes, The Manhattan Project. Big Science and the Atom Bomb, Londra, 2002.

(4) Vedi per esempio: S. Grueff, Manhattan Project. The Untold Story of the Making of the Atomic Bomb, Boston, 1967; L. Badash, J. O. Hirshfielder e H. P. Broida (ed.), Reminiscences of Los Alamos, 1943-1945, Dordrecht, 1980; D.Hawkins (ed.), Project Y. The Los Alamos Story, San Francisco, 1983. L. Hoddeson, P. W. Henriksen, R. A. Meade e C. Westfall, Critical Assembly. A Technical History of Los Alamos during the Oppenheimer Years, 1943-1945, Cambridge, 1993.

(5) R. Rhodes, The Making of the Atom Bomb, New York, 1986, pp. 504-508 (ed. it. R. Rhodes, L’invenzione della bomba atomica, Rizzoli, Milano, 1990)

(6) H. DeWolf Smyth, Atomic Energy for Military Purposes. The Official Report on the Development of the Atomic Bomb Under the Auspices of the US Government, Stanford, 1989 [1945], p. 284; F. M. Szasz, British Scientists and the Manhattan Project. The Los Alamos Years, Londra, 1992, p. 25; R. J. Hewlett e O. E. Anderson Jr., The New World. A History of the US Atomic Energy Commission, 1939-1946, Berkeley, 1962, pp. 284-285.

(7) Per esempio, l’invenzione della fissione nucleare e le relative domande di brevetto si devono al fisico francese Frèdèric Joliot-Curie e ai suoi assistenti Lev Kowarski e Hans Von Halban. Nel dopoguerra essi furono oggetto di un contenzioso tra il francese Commissariat à l’Energie Atomique (CEA) e l’Ufficio brevetti degli Stati Uniti, che ne contestava la validità. Il caso fu discusso da tre diverse corti americane prima di approdare alla Suprema Corte di Giustizia degli Stati Uniti. Nel 1960 quest’ultima rigettò le richieste del CEA chiudendo il caso definitivamente. Vedi: C. Gilguy, “A good example of protection in the nuclear field. The history of the fundamental patents of Joliot’s team,” Library, UKAEA Research Group, October 1963 (copy translated by O. S. Whitston).

(8) Questo studio è reso possibile dall’uso di tre diverse collezioni d’archivio. 1. Collezione Nuovo Amaldi (CNA), Archivio Amaldi, Istituto di Fisica dell’Università di Roma; 2. Enrico Fermi Papers (EFP), Special Collection Research Centre, University of Chicago; Niels Bohr Library (NBL), Centre for the History of Physics, Maryland. Alcuni dettagli di questa vicenda possono essere trovati nei seguenti lavori: E. Segrè, Enrico Fermi. Physicist, Chicago, 1970 (ed. it. E. Segrè, Enrico Fermi, fisico, Zanichelli, Bologna, 1971); E. Amaldi, “From the discovery of the neutron to the discovery of nuclear fission,” Physics Reports, 111 (1984), pp. 5-331; e L. Fermi, Atoms in the family. My life with Enrico Fermi, Chicago, 1954 (ed. it. L. Fermi, Atomi in Famiglia, Mondadori, Milano, 1954). Vedi anche l’eccellente G. Maltese, Enrico Fermi in America. Una Biografia Scientifica, 1938-1954, Bologna, 2003.

(9) Per una analisi dei brevetti e della loro storia vedi: H. Etzkowitz e A. Webster, “Science as intellectual property,” in J. Peter, G. Markle, S. Jasanoff, and T. Pinch (eds.), Handbook of science, technology, and society, Beverly Hills, 1994, pp. 480-505; Erich Kaufer, The economics of the patent system, Harwood Academic Publishers, Switzerland, 1989. Per una analisi a più ampio spettro di queste dinamiche vedi anche LASER, Il Sapere Liberato, Feltrinelli, Roma, (di prossima pubblicazione).

(10) La moglie di Fermi, Laura Capon, avrebbe scritto anni dopo: “Una mattina […] Corbino venne in laboratorio […] Preparavano una relazione più completa dei loro esperimenti […]. Corbino saltò su: – Ma come? Ma siete pazzi? Volete pubblicare maggiori particolari a questo punto? […] Non vedete che la vostra scoperta potrebbe avere applicazioni industriali? Dovete prendere un brevetto prima di pubblicare altri particolari”. Fermi L, op. cit., pp. 121-122.

(11) Vedi anche la nota di Fermi del 31 Gennaio 1935: E. Fermi, “Trasmutazione degli Elementi,” in Sapere 4 (1015), Agosto 2001, p. 53.

(12) Trabacchi era al tempo il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma. Benché non avesse direttamente partecipato alle ricerche, egli aveva fornito al gruppo di Fermi il materiale radioattivo per gli esperimenti. Fu per questo motivo che Fermi inserì il suo nome tra gli inventori. Il brevetto italiano n. 324458 fu spedito all’ufficio brevetti dall’ingegnere Letterio Labboccetta e le tasse sulla privativa furono pagate per i successivi quattro anni. Non è rimasta alcuna copia del brevetto italiano nelle carte del Ministero dell’Industria all’Archivio Centrale dello Stato. Il brevetto inglese conteneva invece il nome di 6 inventori (senza Trabacchi): “Method for increasing the efficiency of nuclear reactions and products thereof,” GB 465045. Pubblicato il 26 Aprile 1937. Infine il brevetto americano conteneva il nome di 5 inventori (senza Trabacchi e D’Agostino): “Process for the Production of radioactive substances,” domanda di brevetto statunitense n. 43462 del 3 Ottobre 1935.

(13) L’inizio della trattativa si deve a Segrè che in Olanda per studiare con Pieter Zeeman nel 1931 aveva conosciuto Cornelius J. Bakker, un ricercatore della Philips (vedi E. Segrè, A Mind always in motion, p. 66). Nel 1935 Bakker mise Giannini e Fermi in contatto con H. Hijmans, il direttore dell’ufficio brevetti della Philips, il quale fu entusiasta del metodo Fermi. Dettagli della corrispondenza tra Fermi, Giannini e Hijmans possono essere trovati in Scatola 1, Fascicolo 2, “Brevetto Neutroni, carte 34-35”, CNA. Vedi anche T. C. Lassman, “Industrial Research Transformed: Edward Condon at the Westinghouse Electric and Manufacturing Company, 1935-1942” Technology and culture, 44:2 (2003), pp. 306-339.

(14) Giannini a Fermi, 11 Novembre 1935, Scatola 1, Fascicolo 2, “Brevetto Neutroni, carte 34-35”, CNA.

(15) E. Fermi, “Composition of Matter and Method of Producing the Same,” domanda di brevetto statunitense n. 57325 del 2 Gennaio 1936.

(16) Così fu definita il 10 Agosto del 1953 in un articolo del magazine americano Time.

(17) Secondo Edoardo Amaldi, i grandi industriali dell’epoca non compresero l’importanza applicativa e le possibilità dei metodi che la fisica nucleare stava sviluppando al tempo. E. Amaldi, “From the discovery of the neutron to the discovery of nuclear fission”, Physics Reports 111, p. 158.

(18) Che si materializzarono soprattutto nell’impossibilità di usare acceleratori di particelle. Vedi: G. Battimelli e I. Gambaro, “Da via Panisperna a Frascati: gli acceleratori mai realizzati” Quaderni di storia della fisica, 1 (1997), pp. 319-333.

(19) P. Nastasi, G. Israel, Scienza e razza nell’Italia fascista, Il Mulino, Bologna, 1998.

(20) Specialmente per quello che riguarda le differenze tra l’isotopo 238 dell’uranio, che non può essere utilizzato come materiale fissile, e l’isotopo 235 che invece può produrre reazioni nucleari critiche. (21) Sia quelli rimasti in Italia sia quelli che come Segrè, Pontecorvo e Rasetti che erano emigrati o stavano emigrando in America.

(22) Il primo brevetto fu pubblicato il 2 Luglio 1940 con il numero di serie n. 2206634. Il secondo non fu mai pubblicato negli Stati Uniti dove gli ispettori mossero varie obiezioni sia di carattere legale sia tecnico. Fu invece pubblicato in Canada a nome di Fermi: “Radio-active Isotope Production,” brevetto canadese CA 407559 del 22 Ottobre 1942.

(23) L’OSRD fu creato il 28 Giugno 1941 come organo specializzato nella ricerca per la difesa del paese. Il suo direttore era l’ex-chimico James B. Conant. La nascita dell’OSRD restrinse le funzioni dell’altro organismo per l’organizzazione della ricerca militare ovvero il National Research Defence Council (NRDC), di fatto responsabile per la maggior parte degli aspetti del Progetto uranio.

(24) Per gli aspetti tecnici di questa ricerca vedi Hoddeson, Henriksen, Meade e Westfall, Critical Assembly. A Technical History of Los Alamos during the Oppenheimer Years, 1943-1945, Cambridge University Press , 1993, cap. 3 e G. Maltese, op. cit., cap. 6.

(25) Dal noto messaggio telegrafico in codice inviato dal capo del Progetto uranio, il fisico Arthur Compton.

(26) R. Rhodes, op. cit., p. 503.

(27) “Senate Hearing on Atomic Energy, Atomic Bomb Patents,” BAS, 1:7 (1946), pp. 10-11.

(28) D. Hawkins, “Towards Trinity,” Parte 1 in Ralph Carlisle Smith, David Hawkins, and Edith C. Truslow, Manhattan District History: Project Y, the Los Alamos Story, Tomash, Los Angeles, 1983, p. 34.

(29) Capt. Smith, Restricted Memorandum to Technical Personnel, 15.11.1943, Copia nelle carte di Leo Lavatelli, Busta 6, NBL.

(30) Inoltre, tutte le domande di brevetto relative a invenzioni più segrete furono protette dal secrecy order , facendo dipendere la pubblicazione di brevetti dalla presenza del segreto di stato. Questa legge, approvata durante la Prima Guerra Mondiale (1917), autorizza esercito, marina e aviazione statunitensi a sospendere la pubblicazione di un brevetto che si riferisca a processi o strumenti che per ragioni militari devono essere tenuti segreti. Da allora all’Ufficio brevetti degli Stati Uniti esiste una ‘sezione speciale’ per i brevetti classificati. L’idea di brevetto ‘segreto’ potrebbe sembrare un paradosso (e in un certo senso lo è), ma può essere spiegato come una specie di ‘sospensione temporale’ del diritto allo sfruttamento dell’invenzione fino a quando non esistano condizioni idonee (ovvero la protezione esclusiva di invenzioni di carattere industriale e non militare) al suo esercizio.

(31) D. Hawkins, op. cit., pp. 60-63. Nell’Agosto del 1946 Smith divenne direttore della Divisione D responsabile per brevetti, declassificazione di documenti e persino l’uso di fotografie e opere d’arte (per ragioni di copyright) dentro Los Alamos.

(32) Impossibile fornire in questa sede una lista completa. Le copie di ciascun brevetto si trovano nella scatola 19, buste 9 e 10 di EFP. In gran parte riportano la firma di Lavander, come procuratore, e portano date di pubblicazione tra il 1956 e il 1961.

(33) Segrè non pensava di boicottare il Progetto ma riteneva che senza una protesta formale i diritti su quei brevetti sarebbero andati persi per sempre. Segrè a Fermi, 7 Dicembre 1943, Scatola 11, Busta 13, EFP.

(34) Segrè a Lavander, 29 Luglio 1944, copia in Scatola 9, Busta 2, EFP.

(35) Il regolamento di Los Alamos vietava di comunicare all’esterno dettagli di qualsiasi genere in relazione al Progetto. Chiunque avesse violato il regolamento sarebbe stato accusato di spionaggio in conformità allo Espionage Act.

(36) Fermi al Colonnello Herbert Metcalf, 9 Dicembre 1943, Scatola 9, Busta 2; Fermi a Segrè, 9 Dicembre 1943, Scatola 9, Busta 10; e Segrè a Giannini, 9 Dicembre 1943, Scatola 19, Busta 2, EFP.

(37) Segrè a Fermi, 11 Marzo 1944, Scatola 19, Busta 2, EFP.

(38) Giannini a Bush, 19 Ottobre 1945, Scatola 19, Busta 2, EFP.

(39) In questo periodo Segrè scrive a Fermi che Lavander “cerca di spremere tutti all’ultimo sangue” ed è convito che il capitano dell’OSRD stia tentando di appropriarsi di tutti i brevetti atomici, anche quelli in possesso di singoli ricercatori o università alla fine della guerra. Segrè a Fermi, Scatola 2, Busta 13, EFP.

(40) “Fermi and to a lesser degree myself have been extremely generous in patent matters with the Govt. as Mr. Lavander knows, and I think he is trying to pull the rope too much”. 28 Maggio 1946, Segrè a Giannini, Scatola 11, Busta 13, EFP.

(41) Vedi R.G. Hewlett and O.E. Anderson, Jr., The New World, 1939-1946, in A History of the United States Atomic Energy Commission , Volume I, Pennsylvania State University Press, 1962, p. 513.

(42) “The Revised McMahon Bill”, Bulletin of Atomic Scientists, 1:9 (1946), pp. 2-5.

(43) Nel gennaio del 1947 fu istituita una commissione per l’esame delle politiche sui brevetti (Patent Policy Panel) che avrebbe dovuto produrre delle linee guida su come la Sezione 11 della legge sull’energia atomica dovesse essere applicata. Le linee guida furono pubblicate solo nel giugno 1948. Questo significa che il PCB cominciò effettivamente a funzionare dall’estate del 1948.

(44) Non a torto, Franco Rasetti avrebbe dichiarato che il governo sembrava essere in una certa misura favorevolmente disposto a concedere dei compensi, grazie al generale Groves e a Bush. Essi conoscevano e apprezzavano quanto Fermi e Segrè avevano fatto per il Progetto Manhattan. Ma quando la USAEC fu istituita e l’energia atomica finì nelle mani dei civili questi ultimi furono molto restii a riconoscere i diritti dei fisici italiani. Franco Rasetti, Interview with John Kennedy, 1966, Intervista per il documentario su Fermi nel contesto dell’ “Harvard Physics Project”, Scatola 1, NBL.

(45) G. M. Giannini & Co., Application for Just Compensation and the Determination of a Reasonable Royalty Fee Under Section 11 of the Atomic Energy Act of 1946, 13 Ottobre 1948, copia dell’accordo è visibile nella scatola 2, busta 2, CNA.

(46) Segrè in particolare, pensando che “col governo [Giannini] potrebbe anche rompersi il collo” (lettera di Segrè a Fermi, 15 Novembre 1948, scatola 11, busta 13, EFP). I fisici, comunque, erano molto scontenti del fatto che Giannini volesse più soldi di quanto inizialmente previsto. E sosteneva che, avendo venduto il 75% della sua azienda e prevedendo gli accordi una spartizione paritaria tra inventori e proprietà, lui avrebbe ottenuto solo 1/32 (ovvero il 25% di 1/8) degli introiti. Ma Segrè e Fermi ribadivano che Giannini non aveva inventato un bel nulla e che loro non erano responsabili per quello che lui aveva deciso di fare della sua azienda.

(47) Già nel 1946 Bush era perfettamente consapevole di questo e infatti aveva riferito a Giannini di essere favorevole a un compenso che fosse dell’ordine delle migliaia di dollari. Se invece gli inventori italiani avessero chiesto alcuni milioni di dollari, lui si sarebbe opposto. Bush fece anche l’esempio del valore della produzione di materiale fissile dell’impianto di Hanford (uno dei primi e più importanti reattori nucleari) che in royalties del 5% avrebbe già fruttato questa cifra. Giannini a Segrè, 2 Febbraio 1946, scatola 19, busta 2, EFP.

(48) B. Boskey, Office of the General Counsel, Response to the Application of G. M. Giannini and Company Inc., USAEC-PCB, Docket N. 2, 6 Giugno 1946, pp. 3-9. Copia di questo documento è in scatola 2, busta 2, CNA. Per un esame di tutti i brevetti atomici per i quali fu richiesto un compenso può essere vista anche l’analisi di Boskey in B. Boskey, “Inventions and the Atom,” Columbia Law Review 50 (1950), pp. 433-447.

(49) Amaldi, Trabacchi e D’Agostino figuravano tra gli inventori ed erano di cittadinanza italiana.

(50) Non esistono documenti che permettano di chiarire fino in fondo la questione, ma sembra che fu proprio l’accusa di essere in un conflitto di interessi che spinse Fermi a rinunciare a essere membro del GAC. Nel Gennaio 1950, Fermi scrisse a Segrè che date le circostanze stava seriamente prendendo in considerazione l’opportunità di rassegnare le dimissioni dal GAC (Fermi a Segrè, 9 Gennaio 1950, scatola 19, busta 4, EFP). Per comprendere se effettivamente esisteva un conflitto di interessi, Fermi scrisse direttamente a Joseph Volpe, il direttore dell’ufficio legale dell’USAEC. Nel Novembre 1949, Fermi seppe di non essere perseguibile penalmente e successivamente una legge negò anche le conseguenze in materia di diritto civile di un presunto “conflitto di interesse”. Peraltro, la partecipazione al GAC non fruttava un dollaro a Fermi, visto che i membri del comitato potevano chiedere solamente un rimborso spese per la loro partecipazione.

(51) Giannini chiarì che non pensava assolutamente che la somma richiesta per danni fosse realistica, ma che proprio Bernard la aveva suggerita in base alla sua esperienza in casi simili. (Giannini a Fermi, 15 Agosto 1950, scatola 2, busta 2, CNA). Va detto che nella maggior parte dei procedimenti per uso illegale di brevetti è una procedura abbastanza consueta quella di chiedere per danni cifre astronomiche almeno come base di partenza. In ogni caso Fermi disse a Giannini che non approvava affatto la strategia. (Fermi a Giannini, 13 Agosto 1950, scatola 2, busta 2, CNA).

(52) Per maggiori informazioni vedi S. Turchetti, “Segreti e bugie”, Sapere, aprile 2004, pp. 6-23.

(53) Segrè scrisse a Fermi che appena il caso era divenuto di pubblico dominio, il fisico Louis Alvarez era piombato nel suo ufficio sostenendo che era del tutto ingiustificato chiedere un compenso per il brevetto e che gli inventori italiani avrebbero probabilmente pagato un milione di dollari a testa per evitare di rimanere in Italia durante il conflitto. Segrè era convinto che presto la stampa li avrebbe attaccati con vere e proprie campagne di diffamazione. Segrè a Fermi, 25 ottobre 1950, scatola 2, busta 2, CNA.

(54) “Giannini’s press release,” copia in scatola 19, busta 7, EFP.

(55) È noto che Rasetti fu estremamente critico circa gli usi militari dell’energia atomica e per alcuni anni interruppe le comunicazioni con Fermi e Segrè. Ma verso la fine del 1948, decise di riprendere attivamente a discutere con loro questioni legali relative ai brevetti. Gli inventori avevano un sistema di rappresentanza per cui si alternarono nel coordinare le trattative con Giannini. Fermi lo fece durante la guerra, Segrè dal 1946 and 1950, seguito da Rasetti che se ne occupò fino alla conclusione della vicenda nel 1953.

(56) Roland A. Anderson, PCB a Bernard, 14 Agosto 1951, scatola 2, busta 2, CNA.

(57) Rasetti a Segrè, 4 Dicembre 1951, scatola 2, busta 2, CNA.

(58) Il fatto che Pontecorvo ricomparve all’Istituto di fisica di Dubna in Russia nel 1955 di certo pregiudicò la possibilità del pagamento finale.

(59) Non tanto per il metodo, che era allora conosciuto. Si sa che in termini assoluti (cioè in relazione al suo carattere innovativo) il valore di un brevetto decresce rapidamente avvicinandosi allo zero alla sua data di scadenza. Tuttavia, in questo caso il possesso del brevetto permetteva lo sfruttamento legale dell’energia atomica ed era questa circostanza specifica a costituire il suo valore.

(60) Secondo Leonard Weiss, furono in molti sia nel governo che nell’industria privata a percepire “Atomi per la pace” come il cappello politico per la realizzazione di un nuovo mercato nucleare dominato dagli Stati Uniti. L. Weiss, “Atoms for Peace,” Bulletin of Atomic Scientists 59 (2003), pp. 34-41.

(61) Al Senato, al momento dell’approvazione della legge sull’energia atomica, la sezione 11 sui brevetti fu accusata di segnare “la fine del sistema dei brevetti” e un deputato che aveva precedentemente lavorato per la compagnia RCA dichiarò che si trattava di una legge modellata sul sistema sovietico: era pericolosa e socialista. B. Miller, “A Law is Passed – The Atomic Energy Act of 1946,” The University of Chicago Law Review, 15 (1948), pp. 779-799.

(62) La promessa del compenso non mise fine ai conflitti tra gli inventori e Giannini. Segrè si rifiutò di autorizzare il pagamento finché Giannini non avesse consegnato una lista dettagliata delle spese sostenute nei precedenti dieci anni. Rasetti lo convinse però a tornare sui suoi passi e portò avanti la pratica per ottenere un compenso per i brevetti canadesi. Nessuna delle cause intentate però ebbe buon fine. La Philips, che ufficialmente aveva ancora i diritti allo sfruttamento in Europa, fece causa all’USAEC. Ma anch’essa senza costrutto e decise quindi di ricattare la Commissione per l’Energia Atomica del Regno Unito (UKAEA), ancora una volta senza ottenere alcun risultato.

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