Salute

Perché il coronavirus si diffonde così velocemente?

Isolare, contenere, arginare. Parole d’ordine in questi giorni confusi e concitati dell’emergenza sul nuovo coronavirus, dove gli sforzi sono tutti mirati a rendere più difficile la diffusione del virus e così, auguratamente, a diminuire il peso che questo ha e potrebbe avere sulla salute e sul sistema sanitario. Perché Sars-Cov-2 si diffonde abbastanza facilmente e abbiamo da tempo superato gli oltre 100 mila casi da Covid-19 a livello globale. Una trasmissione facile e sostenuta, riconoscono dai Cdc americani, almeno in alcune regioni del mondo. Come la nostra, che ha portato il governo a potenziare le misure di contenimento all‘Italia intera, sperando così di arginare la diffusione del virus, di fatto scongiurando ed evitando il più possibile i contatti tra le persone. Togliendo ospiti al virus e risparmiando così le persone più fragili, quelle che più accusano le infezioni da Sar-Cov-2. Capire perché il virus si diffonde così facilmente è fondamentale nell’ottica di sviuluppare trattamenti antivirali efficaci e misure di contenimento. A contribuire alla missione anche uno studio realizzato da alcuni ricercatori della Washington University, partendo dall’analisi strutturale delle particelle virali. I dettagli sono pubblicati, in via preliminare, sul server di preprint bioRxiv.

Per farlo il team guidato da David Veesler della University of Washington School of Medicine ha analizzato il virus grazie a tecniche di criomiscopia elettronica, concentrandosi su alcune particolari caratteristiche del virus. Sono le cosiddette spike (spicole), le strutture che costellano la superficie del virus come una corona (da cui il nome del virus), fondamentali per l’ingresso del virus all’interno della cellula ospite e così l’avvio dell’infezione, ha spiegato Veesler, ma non solo: “Le spike sono anche il principale target degli anticorpi neutralizzanti, e per questo importanti per lo sviluppo di vaccini e terapie”.

Le proteine spike presenti sulla superficie del nuovo coronavirus legano con alta affinità un recettore presente sulle cellule umane, che funziona come apri-porta al virus (il recettore ACE2, angiotensin converting enzyme 2, possibile target farmacologico per questo), in modo simile ad altri coronavirus.

Ma non solo: gli scienziati hanno osservato qualcosa tipico prettamente di Sars-Cov-2 e non riscontrabile in altri virus simili come per esempio quello della Sars (Sars-Cov). Si tratta della presenza di un sito di taglio per l’enzima furina, una sorta di attivatore proteico, presente tra due subunità sulle proteine delle spike. Cosa significa? Secondo quanto riferisce Li Hua della Huazhong University of Science and Technology in Wuhan in un articolo sulle pagine di Nature, la furina è un enzima presente in molti tessuti umani, il che renderebbe – forse – il virus capace di attaccare diversi organi. E farebbe pensare a un’alta capacità di trasmissione, visto che è possibile riscontrarlo in altri virus che si trasmettono con relativa facilità. Anche secondo un altro studio, pubblicato su Antiviral Research, la presenza del sito di taglio per la furina potrebbe influenzare il ciclo vitale e la patogenicità del coronavirus.

Anche se, fanno sapere dall’Università di Washington a oggi non è affatto scontato che sia questo a dare al virus un vantaggio in termini di trasmissibilità e cellule che può infettare in modo simile a quello di altri virus patogenici come quello. Qualche risposta potrebbe arrivare da esperimenti in cui viene eliminato questo sito, osservando gli effetti, o ancora bloccando l’azione della furina, aggiungono da Nature.

Via: Wired.it

COVID-19, cosa dice la scienza

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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