Così l’antibiotico diventa super

Per combattere i batteri, la cui resistenza agli antibiotici è in continuo aumento, servono armi sempre più affilate. L’ultima in ordine di tempo è un metodo, brevettato dall’Università della Florida e basato su microdispositivi e modelli matematici, per sviluppare più rapidamente trattamenti antibiotici efficaci. Il metodo in questione è stato presentato da Hartmut Derendorf, presidente del Dipartimento di farmacologia dell’Università della Florida, durante l’incontro annuale della American Society for Clinical Pharmacology and Therapeutics svoltosi a Orlando. Permette di individuare più rapidamente, tra le molecole testate in vitro, quelle che potranno effettivamente funzionare sugli esseri umani e allo stesso tempo di calcolare il dosaggio più adeguato. “Normalmente, per stabilire i dosaggi adeguati di un farmaco si fanno prelievi di sangue e si misurano le sue concentrazioni nel siero” ha spiegato Derendorf. “Ma molte infezioni si concentrano in parti del corpo diverse dal sangue, e per questo forse non stiamo usando le dosi ottimali di molti farmaci”. Così i ricercatori hanno sviluppato un metodo chiamato “microdialisi”, basato su una minuscola provetta che misura la quantità di farmaco effettivamente presente nel fluido che circonda i batteri sul luogo dell’infezione. A questo hanno affiancato un sistema di micropompe che possono esporre i batteri a differenti concentrazioni di un antibiotico, simulando la situazione presente in un paziente sul sito di infezione, in modo da misurare quanto velocemente i batteri vengono uccisi e quanto impiegano a ricrescere. Alcuni modelli matematici permettono poi, integrando tutti questi dati, di stabilire la dose ottimale. Questo metodo permette di individuare in una fase preliminare le molecole che vale la pena di studiare sugli esseri umani, e snellire così il processo di sperimentazione clinica. Un altro prezioso aiuto ai clinici impegnati contro le malattie infettive, questa volta mirato a razionalizzare l’uso delle terapie esistenti, potrebbe venire invece da un software messo a punto dai ricercatori dell’Università Cattolica di Roma. Si tratta di Treat, un programma di supporto alle decisioni in fatto di terapia antibiotica. Treat si basa su un database che raccoglie tutta l’informazione più aggiornata sulle malattie infettive, i ceppi di batteri presenti nei diversi paesi e l’efficacia contro di essi degli antibiotici. “E’ importante ricordare che il software non funziona se non riceve come input i dati di una visita completa del paziente. Non si sostituisce al medico, ma lo aiuta a decidere sulla base di una visita approfondita” spiega Evelina Tacconelli, la ricercatrice che ha seguito da vicino il progetto. “In base ai dati clinici, il software fa una stima della probabilità che il paziente abbia una malattia infettiva, e del tipo di batterio di cui si potrebbe trattare”. Dopodiché indica gli antibiotici che possono essere utilizzati in base alle conoscenze più aggiornate. In uno studio multicentrico su oltre 1200 pazienti, coordinato dall’Università Cattolica, i clinici supportati da Treat hanno centrato diagnosi e terapia nel 70 per cento dei casi, contro il 58 per cento dei medici senza l’aiuto del sistema. Il software è stato realizzato con i finanziamenti del V programma quadro dell’Unione Europea. Attualmente è in corso una valutazione che potrebbe portare nel giro di pochi mesi a metterlo a disposizione dei clinici. Ma il successo degli studi ha già permesso al gruppo della Cattolica di ricevere finanziamenti per un nuovo progetto, Amica, che utilizzando lo stesso approccio integrerà strumenti simili anche per la cura delle malattie cardiovascolari, polmonari e per i trattamenti contro l’Hiv.

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