Mettete insieme 15mila persone a discutere sulle misure per contrastare il cambiamento climatico e provate a immaginare il risultato. Probabilmente, molti dei buoni propositi verranno messi da parte in nome di qualche causa meno nobile. Tutto questo succede da oggi a Durban, in Sudafrica. Dove dal 28 novembre al 9 dicembre avrà luogo la Climate Change Conference 2011 (Cop17). E dalle pagine di New Scientist salta fuori la prima guida per farsi un’idea di quale sarà la strategia mondiale dei prossimi anni.
PROTOCOLLO DI KYOTO – Ma la strada verso il varo di un secondo protocollo di Kyoto sembra essere tutta in salita. Per rendersene conto basta tirare le somme dei traguardi raggiunti dal primo trattato globale siglato dai paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo per ridurre le emissioni di gas serra. Il primo trattato mondiale (adottato nel 2005) scade il 31 dicembre 2012, e nessuno può dirsi completamente soddisfatto. Gli obiettivi, infatti, non sono stati raggiunti.
LA POSIZIONE DEGLI USA – Non a caso, molte delle incertezze emerse durante i negoziati del protocollo di Kyoto si ripresenteranno tali e quali durante il summit di Durban. Prima fra tutte, svetta il rifiuto da parte degli Stati Uniti di sottoscrivere un nuovo trattato che imponga un limite alle emissioni di gas serra. Gli Usa vedono come fumo negli occhi ogni tentativo di mettere i bastoni tra le ruote alle sue industrie che – oggi più che mai – iniziano a temere la concorrenza di Cina e India.
I PAESI EMERGENTI – L’asse degli equilibri fra paesi industrializzati e nuove potenze emergenti sembra essere la linea di confine lungo cui si affronteranno i partecipanti al Cop17. Da una parte, i paesi occidentali non vogliono rinunciare ai loro privilegi e puntano il dito verso le forti emissioni di gas serra prodotte dai nuovi giganti industriali d’Oriente. Secondo i dati raccolti nel 2011, Cina, India e Russia guidano la classifica dei paesi più inquinanti al mondo (insieme, ovviamente, agli States), e peseranno sempre di più sul destino dell’ecosistema.
CARBONE SI’, CARBONE NO? – Come spesso accade, sia i rappresentanti dei paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo parteciperanno alla conferenza di Durban con le idee ben chiare sulle fonti di energia del futuro. Reggetevi forte, perché non vi piacerà affatto: si tratta del carbone. Nel 2006 un quarto dell’energia del pianeta veniva prodotto bruciando il carbonfossile, oggi siamo al 30%. E il futuro non è certo dei più rosei, visto che molti dei paesi che hanno fatto un passo indietro sulle centrali nucleari (come Germania e Giappone) torneranno a bruciare il carbone.
SI RAGGIUNGERA’ UN ACCORDO? – A conti fatti, il meeting di Durban ha buone probabilità di concludersi con un nulla di fatto.
Intendiamoci bene, se non verrà raggiunto un accordo comune ratificato da tutti i paesi continuerà comunque a esistere un fronte di “volenterosi” che adotterà politiche di riduzione delle emissioni di gas serra. Basti pensare all’ Europa, che ha in progetto di ridurre la quantità di gas serra del 20% entro il 2020.
Tuttavia, in assenza di una strategia mondiale per contenere il riscaldamento globale, i paesi del mondo non riusciranno mai a ottenere dei risultati soddisfacenti. Ci sono anche iniziative parallele al Cop17 – come l’ Environment Programme delle Nazioni Unite (Unep) – che punteranno a abbattere le emissioni di gas serra prodotte dai combustibili utilizzati per le cucine economiche. Si tratta di un contributo non indifferente al miglioramento delle condizioni di vita di milioni di persone, ma in assenza di un piano generale, ogni singola iniziativa è condannata a rimanere una goccia nell’oceano.
In conclusione, il meeting di Durban rischia di lasciare un vuoto nelle politiche mondiali di contenimento del climate change. Dalle discussioni del Cop17 potrebbero trascorrere anche tre anni prima di arrivare a una bozza di trattato che possa rinnovare il protocollo di Kyoto. Tenuto conto del fatto che le nuove linee guida saranno adottate intorno al 2020 dagli stati più ritardatari, dovremo sbrigarci a cambiare aria prima che sia troppo tardi per tornare indietro.
Via: Wired.it
Credits immagine: United Nations Photo/Creative Commons/Flickr