Emofilia, una cascata biotech per evitare le crisi

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La faccia dell’emofilia è cambiata tante volte dagli anni ‘70 a oggi, e sta per cambiare ancora. In un modo che avrà un impatto enorme soprattutto per quei pazienti con emofilia A severa che oggi non rispondono alla terapia d’elezione ( e sono fino al 30%). Si è passati dai concentrati dei fattori della coagulazione VIII e IX (le proteine carenti nelle persone con emofilia A e B, rispettivamente) ottenuti purificando il sangue di donatori ai fattori ricombinanti, ottenuti grazie all’ingegneria genetica, che possono essere prodotti in grandi quantità e senza alcun pericolo per i pazienti. «Questo ha permesso un’altra evoluzione: passare dall’idea di tamponare una falla a quella di prevenirla. Cioè di non somministrare i fattori mancanti solo in caso di emorragia, ma a intervalli programmati» , spiega Giancarlo Castaman, direttore del Centro malattie emorragiche e della coagulazione dell’ospedale di Careggi, a Firenze: «In Italia questa strategia si è diffusa a partire dal Duemila, è oggi è lo standard. I bambini, quando è possibile, cominciano a fare iniezioni endovenose più volte a settimana già dai due-tre anni di età. Ma è ovvio che non è una terapia facile da seguire».

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