Falconara in fiamme

Una densa colonna di fumo nero è tornata ad alzarsi dalla raffineria Api di Falconara Marittima, vicino ad Ancona. Lo scorso 8 settembre un serbatoio carico di bitume è esploso, per cause ancora sconosciute, provocando la morte di un autotrasportatore e il ferimento di altri tre. Una pioggia di detriti e di bitume ha ricoperto la città fino a due chilometri di distanza. Portandosi dietro, com’era prevedibile, una serie di polemiche. L’incidente, infatti, ha rievocato ombre pesanti per la cittadina marchigiana, che torna a chiedere con forza la chiusura dello stabilimento: era il 25 agosto 1999, infatti, quando un incendio a un serbatoio della raffineria costò la vita a due operai. Il blocco del traffico stradale, ferroviario e aeroportuale è scattato in tempo per non aumentare i rischi e immediato è stato l’intervento della squadra interna dei vigili del fuoco. Il sistema di sicurezza della raffineria non ha però evitato lo sversamento di bitume in mare. Così la spiaggia di Falconara è stata invasa dal catrame, proveniente dal fosso di Rigatta che attraversa la raffineria e si getta in mare. Ora l’Arpam dovrà verificare che il bitume non si sia depositato anche sul fondo marino. Polemiche anche sull’efficienza del piano di emergenza esterna: l’Api declina ogni responsabilità mentre i cittadini e il sindaco denunciano di non essere stati avvertiti. Sulle dinamiche del rogo sta ora indagando la procura. Ma il problema resta. Secondo i cittadini e le associazioni ambientaliste sono troppi i rischi per le persone e per l’ambiente: l’impianto si trova a ridosso del centro abitato, è attraversato dalla ferrovia e sorvolato dagli aerei che transitano per l’aeroporto di Ancona. “La convivenza tra la città e l’industria è difficile da sempre”, spiega Luigino Quarchioni, presidente di Legambiente Marche. “La Regione nel 2000 ha dichiarato l’area nella quale è compresa la raffineria – fra Ancona, Falconara e la Bassa Valle dell’Esino – a elevato rischio di crisi ambientale: una decisione che la impegna a finanziare interventi per la riduzione dell’inquinamento e a migliorare le condizioni di sicurezza”. Ma l’Api ha fatto ricorso al Tar, bloccando di fatto il piano di risanamento dell’area, denuncia Quarchioni. “La questione è superata”, gli risponde Vincenzo Cleri, responsabile del servizio salute, sicurezza e ambiente dell’Api, “con il rinnovo della concessione per la raffineria che prevede piani di risanamento”. L’azienda è infatti riuscita a ottenere dalla Regione, con largo anticipo e nonostante il parere negativo dell’amministrazione comunale, il rinnovo della concessione fino al 2020. Come è stato possibile? “La legge permette di chiedere il rinnovo anticipato nel caso in cui ci siano degli investimenti da ammortizzare”, precisa Cleri, “e noi nel 1999 abbiamo avviato l’impianto Igcc, del valore di 1300 miliardi di vecchie lire”. Al momento del rilascio, nel giugno 2003, la raffineria si è impegnata a perseguire l’obiettivo della qualità, della tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini attraverso i migliori strumenti tecnologici. Il protocollo prevede anche l’evoluzione del sito da semplice raffineria a “polo energetico ambientalmente avanzato”, continua Cleri, dal momento che già oggi l’Api provvede a soddisfare il 30 per cento del fabbisogno energetico delle Marche.Ma questo non basta a placare gli animi. Dopo l’ultimo incidente i cittadini e le associazioni ecologiste chiedono la chiusura totale dello stabilimento e un piano di bonifica e riconversione dell’area. “Questa azienda non è affidabile. In passato i dati sullo stato di inquinamento del sottosuolo forniti da una società incaricata dall’Api sono stati smentiti dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche (Arpam)”, spiega Quarchioni. Ma Cleri insiste: “Una convivenza è possibile: ma se l’Api deve ridurre sempre più l’impatto ambientale dell’impianto, il comune non dovrebbe rilasciare concessioni edilizie intorno alla raffineria ma creare una zona cuscinetto. E poi è solo una questione di tempo: prima o poi le fonti energetiche alternative avranno la meglio sul petrolio e la raffineria sarà costretta a riconvertirsi”.

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