Le particelle superveloci tornano ai laboratori del Gran Sasso, ma questa volta non c’è nessuna gara per battere la luce. L’impronta lasciata dai neutrini in arrivo dal Sole all’interno del rilevatore Borexino (vedi Galileo, “In diretta dal Sole“) ha permesso al team di scienziati coordinato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) di capire meglio come funzionano le reazioni che alimentano le stelle. Sia di quelle delle stesse dimensioni del Sole, sia di quelle con massa superiore.
Gli astrofisici si sono sempre chiesti che cosa accada dentro il nucleo delle stelle che raggiungono grandi dimensioni. Di norma, nel caso del Sole e dei corpi celesti di massa simile, l’energia necessaria a alimentare il cuore della stella è fornita da una reazione nucleare dominante tra due protoni di idrogeno (detta pp). Questo motore, è in grado di innalzare la temperatura fino a 10 milioni di gradi.
Ma nel caso di una stella con massa pari almeno a una volta e mezza quella solare, le cose si complicano. Questi corpi celesti “oversize” hanno bisogno di molta più energia per contrastare l’enorme forza di gravità, ed evitare di implodere su se stesse. La marcia in più che permette al loro motore di superare la soglia di implosione proviene, secondo gli scienziati, da una reazione tra nuclei di carbonio, azoto e ossigeno, ovvero il ciclo Cno: una spinta che innalza la temperatura delle stelle fino a 18 milioni di gradi. Peccato che, fino a oggi, non ci fossero evidenze sperimentali per dimostrarlo. Ora però, la collaborazione Borexino ha annunciato di avere ottenuto la prova sperimentale dell’esistenza delle reazioni pp, e che i dati sono in accordo anche con l’esistenza del ciclo Cno.
Studiare le reazioni nucleari che avvengono all’interno delle stelle non è affatto facile. Di andare fin lassù nello Spazio non se ne parla neppure, per cui meglio restare sulla Terra e analizzare l’eco del ciclo Cno. Questo, infatti, emette una grande quantità di neutrini a bassa energia che difficilmente può essere percepita dai normali strumenti di analisi presenti sul nostro pianeta.
Ecco, allora, che entrano in gioco i laboratori del Gran Sasso, gli unici al mondo capaci di catturare le tracce dei neutrini “silenziosi”. Grazie allo schermo naturale dei 1.400 metri di roccia che sovrastano la struttura sperimentale, gran parte del rumore generato dai raggi cosmici presenti normalmente nell’ambiente viene attutito. I neutrini a bassa energia penetrano la montagna senza incontrare resistenza e raggiungono il cuore del rilevatore Borexino.
L’orecchio stellare consiste in una cupola di 16 metri di diametro, che contiene ben 2.100 tonnellate di acqua.
Immersa al suo interno c’è una sfera di acciaio rivestita all’interno da 2.200 fotomoltiplicatori, ovvero dispositivi che possono registrare la presenza di lampi di luce provocati dai neutrini.
Dentro il primo involucro è racchiuso il vero cuore di Borexino, schermato da mille tonnellate di un idrocarburo (lo pseudocumene). Al suo interno è alloggiata una sfera di nylon con 300 tonnellate di liquido, suscettibile ai lampi emessi da uno scintillatore. Quest’ultimo dispositivo è in grado di intercettare i neutrini e funziona più o meno come un grosso flipper.
All’arrivo della particella, i lampi sprigionati dallo scintillatore vengono catturati dai fotomoltiplicatori, così da misurare l’energia e identificare la provenienza dei neutrini. Una sfida non da poco, visto che per costruire Borexino sono stati impiegati materiali di una radiopurezza mai vista prima. Dopotutto, per ascoltare le stelle ci vuole un orecchio perfetto.
Credit per la foto: Nasa
Via Wired.it