I segnali del nostro futuro

The Worldwatch Institute
Vital Signs 2006-2007. The trends that are shaping our future
W.W. Norton & Company, 2006
pp.160, euro 16,30

Che piega sta prendendo il nostro pianeta? Il settore economico sta facendo registrare impennate record in tutto il mondo, certo. Ma il prezzo da pagare per questo è alto, soprattutto dal punto di vista ambientale. Lo si capisce leggendo l’analisi messa a punto da oltre 1300 scienziati del Worldwatch Institute nel volume “Vital Signs”, che analizza le tendenze su scala planetaria nel settore alimentare, energetico, climatico, ambientale, delle comunicazioni e dei trasporti, demografico e sociale, e della salute.

Che il futuro non sia proprio roseo lo si evince già dall’immagine di copertina, che ritrae una Venezia sempre più a rischio di diventare l’Atlantide dell’era moderna, ma anche dalle prime parole di Erik Assadourian, direttore del progetto editoriale, secondo il quale “la normale attività economica sta danneggiando gli ecosistemi e le popolazioni che dipendono da essi. Se tutti consumassero in media quanto i paesi ad alto reddito, il nostro pianeta sarebbe in grado di mantenere in modo sostenibile solo 1,8 miliardi di persone e non l’attuale popolazione”.

Ecco alcuni dati. Nel 2005 sono stati prodotti acciaio e alluminio come mai prima d’ora (oltre un milione di tonnellate del primo, 31 milioni del secondo), sono stati fabbricati 64,1 milioni di automobili e autocarri leggeri e il prodotto lordo mondiale ha raggiunto il record di quasi 47 miliardi di euro nel 2005. Cresciuto anche il numero degli utenti di Internet, che ha raggiunto il miliardo nello scorso anno, mentre le vendite dei telefoni cellulari per l’anno in corso supereranno la soglia di 800 milioni di unità. Ma questa crescita ha il suo lato oscuro.

Come si evince dalle proiezioni e dalle tabelle che arricchiscono il volume, quasi l’80 per cento dell’energia mondiale continua a provenire dai combustibili fossili, che aumentano nonostante l’impennata dei prezzi negli ultimi due anni: nel 2004 l’uso di carbone ha fatto un salto del 6,3 per cento, quello di gas naturale del 3,3 per cento, mentre nel 2005 il consumo di petrolio è cresciuto dell’1,3 per cento.

Tradotto in termini ambientali significa una concentrazione atmosferica media di biossido di carbonio nell’aria pari a 379,6 parti per milione, con un aumento rispetto al 2004 dello 0,6 per cento. La temperatura media globale ha raggiunto i 14,6 gradi Celsius, rendendo il 2005 l’anno più caldo sulla Terra. Per questi motivi, più del 60 per cento degli ecosistemi mondiali (15 su 24) è prossimo al degrado o sta diventando insostenibile. Tra il 2000 e il 2005 la superficie forestale mondiale si è ridotta di oltre 36 milioni di ettari, con conseguenze gravi per importanti funzioni vitali come assicurare acqua dolce e alimenti e regolare il clima e la qualità dell’aria. Non va meglio al mare. Il 20 per cento delle barriere coralline è andato distrutto, come è successo anche alle mangrovie, e un altro 50 per cento è a forte rischio. La perdita di questa biodiversità rischia di cancellare l’argine che protegge il litorale dall’impatto dei disastri naturali, che hanno causato danni nel 2005 per 161 miliardi di euro, metà dei quali ascrivibili al solo uragano Katrina.

Se è vero che la maggior parte della popolazione mondiale non trae alcun benefico dall’ingente sviluppo economico, che una persona su tre abita in quartieri degradati e oltre un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile, non manca qualche dato positivo. Da segnalare la mortalità infantile in diminuzione, il numero totale di guerre e conflitti armati sceso a 39 e l’aumento del numero di aziende internazionali che mostra una maggiore attenzione ai temi sociali e ambientali. Buone nuove anche sul fronte dell’energia rinnovabile: nel 2005 la capacità globale dell’energia eolica è aumentata del 24 per cento, la produzione di biocarburanti è aumentata del 19 per cento mentre quella fotovoltaica del 45 per cento

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