La coscienza di Sé? Nasce nel cervello a riposo

coscienza di sé
(Foto via Pixabay)

Da tempo le ricerche sull’identità personale, sulla coscienza, sul interessano neuroscienziati, psichiatri e filosofi, che hanno dibattuto, ciascuno con i proprio strumenti, i diversi aspetti del problema senza tuttavia concordare soluzioni definitive. Non si riesce ancora a spiegare, infatti, come e perché gli stati neuronali oggettivi del cervello, visibili con le tecnologie più avanzate, si trasformino nelle caratteristiche mentali soggettive della coscienza. La trasformazione neurale-mentale è ancora un problema insoluto.

Come nasce la coscienza nel cervello a riposo

Georg Northoff, neurofilosofo, neuroetico e psichiatra tedesco, propone le sue ipotesi sulla comprensione del fenomeno della coscienza e suggerisce di riconcettualizzare radicalmente le visioni tradizionali guardando non più verso le funzioni di ordine superiore del cervello, bensì verso l’attività intrinseca presente nel suo stato di riposo. L’idea guida del suo studio, infatti, è che lo stato di riposo del cervello e la sua particolare configurazione spazio temporale siano implicati nella relazione tra l’attività neuronale e le caratteristiche mentali. Ricerche recenti (Raichle, 2001) hanno infatti dimostrato che il cervello è attivo non solo quando viene stimolato ma anche in condizioni di riposo: gli stimoli estrinseci e le funzioni sensoriali interferiscono con l’attività intrinseca propria del cervello a riposo, attivando le funzioni cognitive.

Northoff rivolge allora la sua attenzione sulla variabilità funzionale dell’attività a riposo presente nelle regioni cerebrali della linea mediana individuando, in questa variabilità, una predisposizione neurale allo stato di coscienza. L’attività intrinseca fornisce un modello di organizzazione spazio-temporale del funzionamento cerebrale: la struttura spaziale emerge dalle relazioni funzionali differenziate che si stabiliscono tra diverse reti neurali costituite nello stato di riposo; la struttura temporale emerge dai cambiamenti continui dell’attività intrinseca, che si verificano con intervalli di frequenza diversi, variamente accoppiati tra loro.

Perdita di coscienza e perdita del Sé

Per chiarire meglio il suo pensiero, Northoff sviluppa le sue argomentazioni raccontando casi immaginari che fungono da modello per introdurre particolari problematiche. Ad esempio, descrive le condizioni di due ragazzi in stato vegetativo in seguito a un grave incidente: questo gli permette di mettere in relazione la perdita di coscienza e la perdita del Sé. Nello stato vegetativo, infatti, i due ragazzi hanno perso la connessione tra mondo interno e mondo esterno, ed è la rottura di questa connessione che impedisce loro la stabilizzazione della coscienza e del senso di Sé. Ponendo una serie di domande che accompagnano l’evoluzione del suo caso-guida, Northoff costruisce ragionamenti che aiutano a comprendere meglio la situazione e a ipotizzare risposte che pongono il lettore come interlocutore attivo in questa analisi.

coscienza di sé
Georg Northoff
La neurofilosofia e la mente sana. Imparare dal cervello malato
Raffaello Cortina Editore, 2019
pp. 198, € 21,00

Il Sé in continua trasformazione

Riprendendo le teorie del biologo statunitense Gerald Edelman per spiegare l’arricchimento progressivo e sempre più specifico di una semplice percezione, Northoff considera processi di elaborazione ciclica di uno stesso stimolo che viene necessariamente integrato con altri che provengono da contesti neuronali diversi: questo permette di rendere più complessa l’informazione portata dallo stimolo originario contribuendo a ricostruire una relazione più articolata tra interno e esterno.

Le strutture cerebrali del Sé non sono dunque statiche e definite ma in costante interazione sia con altre persone – con altri Sé – sia con l’ambiente esterno: si costruiscono così dei Sé sociali, continuamente trasformati e modellati nel comportamento e nella propria identità. Cervello, corpo e ambiente si organizzano in una unica articolata relazione dinamica, costruendo una identità che si modifica nel tempo mantenendo una propria continuità che non può essere localizzata in una struttura precisa. Quando si verifica una rottura della relazione tra l’attività cerebrale intrinseca e il contesto ambiente possono determinarsi, secondo Northoff, malattie psichiatriche: l’esempio riportato di un caso di depressione permette di avanzare l’ipotesi di una integrazione anomala delle diverse scale temporali che operano nel cervello, scoordinate rispetto al tempo del mondo e alle sue specifiche scale temporali.

I due neuroscienziati Antonio Damasio e Jaak Panksepp analizzano con diversi criteri il ruolo delle emozioni e dei sentimenti nella costruzione del Sé e, ancora una volta, la rottura di un equilibrio tra sentimenti emotivi relativi al corpo (interocezione) e elaborazione di stimoli provenienti dall’ambiente (esterocezione) può spiegare i pervasivi atteggiamenti di disinteresse e disconnessione dal mondo circostante tipici di alcune forme di depressione. La relazione mondo-cervello ha comunque bisogno di un corpo, come ben mette in evidenza il dialogo tra un Corpo e una Persona che conclude l’argomentazione sull’importanza dei sentimenti emotivi.

La rottura della relazione mondo-cervello può portare anche alla schizofrenia, talvolta correlata ad eredità genetica o a stress sociale, spesso risultante dalla rottura di equilibrio tra eccitazione e inibizione neuronale. La confusione tra cosa sia il mondo e cosa sia il Sé sviluppa nei pazienti pensieri interrotti e frammentati, disturbi dell’Io, perdita dell’identità. Questi casi suggeriscono alterazioni nella struttura spazio-temporale dello stato di riposo, con anomalie nella risposta del cervello agli stimoli provenienti sia dall’esterno sia dal proprio corpo.

La sfida dell’identità personale

Il saggio si conclude con un interessante e problematico capitolo su “Identità e tempo”, dove si pone il problema centrale del concetto di identità personale, sostenuto dalla persistenza diacronica dell’io nella sua identità fisica e nella sua identità psicologica. La memoria fornisce certamente una base per l’identità, ma i ricordi cambiano nel tempo, e non costituiscono un supporto attendibile; il corpo, con i suoi cambiamenti, sembra sostenere la discontinuità piuttosto che la continuità; anche il cervello cambia… L’identità sembrerebbe allora essere mentale piuttosto che psicologica, fisica o neurale e la mente potrebbe rappresentare il simbolo stesso di una assenza di cambiamento. Tuttavia, sostiene Northoff, quello che veramente resta costante al punto da garantire la nostra identità è la continuità del cambiamento, la discontinuità dello stato di riposo del cervello. La discontinuità in questo particolare funzionamento si accompagna alla continuità del sé o, come sostiene anche Roger Parfit, alla sopravvivenza dell’individuo nel tempo. In conclusione, l’attività dello stato di riposo costruisce continuamente il tempo basato sul cervello in stretto allineamento con il tempo basato sul mondo, riconducendoci al filosofo tedesco Martin Heidegger che all’inizio del XX secolo scriveva “L’essere è nel tempo”.

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