Il mistero del carbonio scomparso

Un mistero di proporzioni planetarie appassiona i geochimici e gli studiosi di cambiamenti climatici. Con le sue attività, la specie umana produce e riversa nell’atmosfera ogni anno venticinque miliardi di tonnellate di anidride carbonica: una parte (aumentata vertiginosamente negli ultimi decenni) rimane nell’atmosfera, mentre un’altra viene assorbita dalla vegetazione e dagli oceani nel processo di fotosintesi. Ma il bilancio annuale del gas non torna: secondo i calcoli degli esperti mancano all’appello circa due miliardi di tonnellate di carbonio. Dove vanno a finire? Le ipotesi non sono mancate, ma a una a una si sono rivelate sbagliate. L’ultima è stata smentita da un gruppo di ricercatori guidati da Knute Nadelhoffer, del Marine Biological Laboratory di Woods Hole nel Massachusetts, che ha pubblicato i suoi risultati sull’ultimo numero di Nature.

La questione dell’anidride carbonica mancante incominciò a porsi circa trent’anni fa studiando i dati sulla concentrazione dei gas nell’atmosfera. Per spiegare l’ammanco, i ricercatori formularono diverse ipotesi che allora sembravano plausibili. Si cominciò con il supporre che l’anidride carbonica “scomparsa” venisse assorbita dagli oceani. Ma gli studi condotti negli anni ‘70 e ‘80 misero in crisi questa teoria, che venne definitivamente accantonata nel 1990, quando misurazioni accurate dimostrarono che gli oceani assorbivano appena un quarto di quanto sarebbe stato necessario per pareggiare il bilancio.

Tramontata l’ipotesi oceanica, l’attenzione degli studiosi si concentrò sulle foreste. Nel corso del ventesimo secolo, gli ossidi di azoto emessi dalla combustione nei motori e l’ammoniaca liberata dai concimi nelle coltivazioni intensive hanno raddoppiato la concentrazione atmosferica di azoto, un fertilizzante naturale. Ogni anno i venti ne trascinano cinque milioni di tonnellate sulle foreste temperate dell’Europa, dell’Asia e del Nord America. Gli alberi delle foreste, stimolati dall’aumento dell’azoto, avrebbero assorbito negli ultimi decenni una quantità maggiore di anidride carbonica, giustificando la misteriosa perdita di carbonio.

Ora Knute Nadelhoffer e i suoi collaboratori hanno dimostrato che anche questa ipotesi era sbagliata. I risultati di tre anni di ricerche mostrano che l’azoto trasportato sulle foreste temperate viene assorbito solo in piccola parte dalla vegetazione e non stimola l’assorbimento di anidride carbonica da parte delle piante. L’80% del fertilizzante si accumula nel terreno e si disperde poi nelle acque di drenaggio.

Per ottenere questo risultato, Nadelhoffer e i suoi colleghi hanno delimitato diciotto aree di studio nelle foreste dell’Europa e del Nord America, le hanno irrorate di azoto, e hanno misurato per tre anni la concentrazione della sostanza nelle diverse componenti dell’ecosistema. In media, il 20% dell’azoto è stato assorbito dalle piante e solo il 5% si accumulava nei fusti degli alberi. Una quantità insufficiente a giustificare l’incremento della vegetazione e il maggior consumo di anidride carbonica.

Il mistero del carbonio mancante rimane dunque aperto. Può darsi che l’assorbimento oceanico sia stato sottostimato. Oppure che le foreste, stimolate dall’azoto, abbiano effettivamente assorbito l’anidride carbonica nel passato, ma che oggi questo meccanismo sia arrivato alla saturazione. E questo non sarebbe un buon segnale: se meno biossido di carbonio viene assorbito dalle piante significa che ne resterà di più nell’atmosfera. Infine la spiegazione potrebbe essere che è un altro fattore, anziché l’azoto, a stimolare lo sviluppo delle foreste e l’assorbimento dell’anidride carbonica. Per esempio la temperatura. “Se non è stato l’azoto a stimolare la crescita degli alberi nelle foreste temperate”, commenta David Schindler, dell’Università di Alberta in Canada, “forse è stato il riscaldamento progressivo dell’atmosfera terrestre. Infatti negli ultimi decenni la stagione calda nelle regioni boreali si è allungata di due-tre settimane”.

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