Le radici del pensiero verde

Piergiacomo Pagano
Filosofia ambientale
Mattioli1885 2006, pp. 120 €11

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Possiamo fare della natura quello che vogliamo oppure piante e animali vanno salvaguardati per il loro valore intrinseco? Difficile rispondere. Soprattutto se si inizia a parlare di diritti e di morale per fiori, alberi e bestie varie. Questa, e altre domande, hanno acceso gli animi di molti pensatori nel corso dei secoli. Nel suo Filosofia ambientale edito da Mattioli, Piergiacomo Pagano illustra con sintesi e semplicità le teorie e le riflessioni che si sono susseguite nel tempo. A partire da Aristotele e Platone per andare a finire al rapporto Brundtland sullo sviluppo sostenibile.

È nella Grecia antica del V secolo a.C. che, secondo l’autore, “avvenne quella svolta che ha segnato la via fino ai giorni nostri”. Ovvero la costruzione della “tradizione meccanicistica e materialistica che ha caratterizzato la principale linea di pensiero della filosofia occidentale nel corso dei secoli”. Poca considerazione per l’ambiente, quindi, e nessuna preoccupazione per l’impatto delle azioni degli esseri umani sul territorio. Quest’atteggiamento andò addirittura peggiorando con l’avvento del cristianesimo quando, a detta di Pagano, si ebbe un “inasprimento dei rapporti tra uomo e natura. […] Secondo l’interpretazione prevalente dell’Antico Testamento, infatti, il creatore aveva dato all’uomo, quale essere eletto, il potere di usare a suo piacimento le risorse naturali.” Nella Bibbia si legge: “Dio disse: facciamo l’uomo. Sia simile a noi, sia la nostra immagine. Dominerà sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sugli animali selvatici e su quelli che strisciano al suolo. […] Di tutto potrà disporre”. Una visione assolutamente antropocentrica della realtà che è arrivata fino ai nostri giorni.

Nei primi due capitoli, l’autore, si dedica a riassumente le radici storiche del pensiero verde, facendo una rapida carrellata sui maggiori filosofi occidentali, sulle prime teorie che hanno difeso i diritti degli animali, per arrivare alle prime esperienze di conservazione della natura elaborate negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento. Pagano cerca poi di spiegare le differenze tra le varie posizioni filosofiche nei confronti dell’ambiente. Si parla, quindi, di antropocentrismo forte e debole, di ecologia profonda, di biocentrismo nelle sue correnti individualistiche e olistiche. Una classificazione che risulta a volte un po’ forzata ma che aiuta senz’altro a fare chiarezza nel mondo delle idee verdi.

Si racconta, così, in che modo la conservazione possa essere vista come una corrente antropocentrica debole secondo cui la natura deve essere sì preservata, ma al fine di garantire il continuo sviluppo economico della specie umana e non per il valore dei singoli esseri viventi. Quelle che segnano un vero e proprio stacco dalle posizioni precedenti sono, secondo l’autore, le visioni olistiche. Fu lo spegnersi del “fuoco verde” nello sguardo di un lupo che aveva appena abbattuto, a ispirare Aldo Leopold, nella prima metà del XX secolo, all’elaborazione di una visione che andasse oltre i principi della teoria conservazionistica.

Leopold, che viene considerato il padre delle correnti biocentriche olistiche, sembra essere caro a Pagano, forse per una analogia di esperienze. Anche l’autore, scienziato dell’Enea, si è avvicinato alla filosofia ambientale ponendosi domande sulla liceità delle sperimentazioni animali. Ed è per questo, forse, che Leopold viene citato dall’autore a conclusione del volume, quando ci invita a “pensare come una montagna” per carpire il segreto della natura. Perché, secondo Pagano, “ nessuno potrà mai capire cosa si prova ad essere un pipistrello ma se ci sforzassimo di più ad immedesimarci con gli altri (tutti) è probabile che arriveremmo a vedere il mondo sotto un’altra (e più grande) luce”.

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