L’Italia? Tanta ricerca, pochi brevetti

Nelle scienze della vita, soprattutto sul fronte medico, l’Italia è quarta per numero di pubblicazioni e rilevanza dopo Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, con il 6% circa dei papers mondiali. Il nostro paese, tuttavia, scende al quinto posto, ampiamente superata dalla Francia, se si considera il dato riferito ai brevetti europei (solo il 3% circa). Lo sfasamento fra capacità di ricerca fondamentale e capacità di innovazione e sviluppo tecnologico appare ancor più marcato se si considerano i brevetti depositati negli Stati Uniti. In questo caso, la quota italiana scende al 2%, contro il 5% della Francia. La fotografia poco lusinghiera della incapacità italiana di innovare nelle scienze della vita è frutto del primo studio econometrico italiano effettuato da un gruppo di ricerca dell’IMT Alti Studi di Lucca, coordinato da Fabio Pammolli, “Il valore economico delle scienze della vita”, presentato oggi durante il convegno “Bioeconomy Rome. Meeting internazionale della ricerca biologico-molecolare” (28-29, auditorium del Museo MAXXI).

“Nelle scienze della vita – ha affermato Pammolli – la leadership industriale rimane ancora saldamente Oltreoceano. La maggiore capacità esplorativa del sistema statunitense è influenzata in modo decisivo dalla presenza di un numero particolarmente elevato d’imprese di piccole e medie dimensioni specializzate negli stadi a monte del processo di ricerca e sviluppo, oltre che di una maggiore produttività del sistema pubblico di ricerca. Un’indicazione importante, questa, per il Vecchio Continente. E un punto di speranza per il nostro paese, che della capacità di operare su piccola scala ha fatto, tradizionalmente, un proprio punto di forza. Per tornare a crescere dobbiamo far sì che questa capacità distintiva si manifesti anche in settori come quelli farmaceutico e biotecnologico, alla frontiera dell’innovazione e della ricerca scientifica e tecnologica”.

Per favorire l’innovazione nasce la “Banca dei Composti Chimici”: un archivio che conterrà informazioni preziose sulle molecole chimiche, che verranno messe a disposizione della comunità scientifica. A realizzarla un consorzio pubblico-privato, il CNCCS, composto da Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Superiore di Sanità e IRBM Science Park, spin-off del centro di ricerche italiano dei Merck Research Laboratories. Il data base è stato pensato per essere un amplificatore di scoperte scientifiche, a metà strada fra i tanti laboratori che in Italia fanno ricerca di eccellenza ma non hanno i mezzi per sviluppare le loro scoperte e le aziende farmaceutiche, cosmetiche, alimentari, chimiche, spesso restie a investire in nuovi potenziali prodotti che sono solo a uno stadio iniziale di sviluppo.

1 commento

  1. Purtroppo l’articolo non mette in evidenza il motivo seconda me “principe” per il quale in Italia non si fanno brevetti nelle life science. Questo motivo può essere riassunto in una sola parola: “soldi”! Per ottenere un brevetto europeo ci vogliono molti soldi e difficilmente le Università o gli enti di ricerca possono farli senza un partner privato. Oltretutto i tempi dei brevetti sono lunghissimi e non ripagano in termini di carriera accademica…

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