Martin Rees
Our cosmic habitat
Weidenfeld & Nicolson, 2002
pp. 205, euro 24,98
Con un linguaggio semplice e insieme elegante e accurato il libro offre una descrizione, che è chiara e accessibile anche ai non specialisti, dell’habitat cosmico alla luce delle conoscenze che la tecnologia, specie recentemente, ci ha permesso di acquisire. L’Universo che conosciamo si estende milioni di volte al di là delle stelle visibili a occhio nudo in galassie così lontane che la loro luce arriva alla Terra solo dopo un viaggio di circa dieci miliardi di anni. Si conosce l’esistenza di altri sistemi, come i quasar, i buchi neri, le stelle di neutroni. Sappiamo che l’Universo visibile è fatto di atomi che obbediscono ovunque alle medesime leggi. Ma sappiamo anche che esiste una materia oscura che probabilmente non è fatta di atomi ordinari, la cui massa è di circa 5-10 volte quella della materia visibile e la cui natura costituisce uno dei problemi fondamentali della moderna astronomia; tale materia oscura controlla su vasta scala la struttura dell’Universo e il suo destino finale.
L’evoluzione dell’Universo è comprensibile a partire da circa un millesimo di secondi dopo la sua genesi – il Big Bang – mentre non sono state ancora determinate le leggi fisiche prevalenti prima di quel momento, anche perché lo stato allora esistente non è ricreabile oggi nei laboratori degli scienziati. Gli scienziati stanno cercando di capire la strana fisica dei primissimi istanti. La soluzione, secondo l’autore, spiegherà molti aspetti della realtà che si osserva, ma difficilmente potrà spiegare come un insieme di atomi qui sulla Terra, e probabilmente altrove, si siano assemblati in organismi talmente complessi – gli esseri umani – da riflettere sulla propria esistenza. Ma c’è la possibilità che la vita esista in altre parti del nostro Universo? Per rispondere bisogna prima capire come essa si sia originata sulla Terra, se sia il risultato di un caso talmente fortuito da essere unico e irrepetibile, oppure la conseguenza inevitabile di un “brodo” primordiale presente nei pianeti più giovani. Ancora, si dovrà determinare se la probabilità che, partendo da semplici e primordiali organismi, questi si evolvano in forme altamente complesse e intelligenti sia consistente.
Martin Rees ripropone infine la famosa domanda di Einstein: Dio avrebbe potuto creare un mondo diverso? La risposta non è nota. Le leggi che conosciamo potrebbero indurci a pensare che questo sia l’unico mondo possibile, ma niente esclude che potrebbero esistere leggi più permissive e l’autore considera la possibilità che il nostro Universo sia solo parte di un vasto “multiUniverso”, un insieme di universi la maggior parte di quali senza vita. In tal caso le leggi che noi conosciamo avrebbero validità solo locale ed il nostro Universo sarebbe solo uno di quelli abitabili.