Dal freddo dell’Artico all’aridità dei territori mediorentali, fin sul tetto del mondo, in Tibet a 4 mila metri di quota: l’orzo è l’unica pianta coltivata che può crescere praticamente ovunque. In Islanda o in Lapponia come in aree semidesertiche, dove la piovosità è inferiore a 250mm all’anno. E può farlo grazie a decine di geni che gli permettono di “leggere” e adattarsi alle condizioni ambientali. Il segreto della estrema adattabilità di questa coltura è stato “decriptato” da una ricerca del consorzio Europeo WHEALBI WHEAt realizzato con il contributo dell’Università degli Studi di Milano, di CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, e PTP Science Park.
Lo studio, pubblicato oggi sul The Plant Journal, ha integrato i dati di una rete internazionale di campi con quelli derivanti dalla sequenza parziale del genoma di circa 400 varietà da più di 70 paesi. Un sapere prezioso per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici.
“Di fronte ai cambiamenti climatici in atto, comprendere la straordinaria capacità di adattamento dell’orzo è fondamentale per selezionare le piante da coltivare nei prossimi anni”, dice Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca Genomica e Bioinformatica del CREA. “Il clima cambia e l’agricoltura globale deve rispondere alla sfida con piante che cambino di conseguenza, per garantire i fabbisogni di cibo e di altri prodotti di origine agricola”.
L’orzo è una coltura molto diffusa in Europa, nell’area mediterranea ed in Italia, dove è utilizzata sia per l’alimentazione animale sia per la produzione della birra. Lo studio ha ora identificato decine di geni che controllano i meccanismi grazie ai quali la pianta dell’orzo “legge” le condizioni ambientali ed adatta il proprio ciclo vitale ai diversi ambienti. “La collezione di varietà del progetto WHEALBI e i relativi dati genomici rappresentano una risorsa unica per future ricerche sulla risposta delle piante agli stress” – commenta Laura Rossini del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali della Statale di Milano, che ha coordinato il lavoro di sequenziamento in collaborazione con il PTP. “Per esempio, potranno essere impiegati per studiare la resistenza alle malattie o alla ridotta disponibilità di acqua, così da applicare queste conoscenze per ottenere varietà migliorate”.
“La partecipazione al progetto WHEALBI”, conclude Andrea Di Lemma, amministratore delegato del PTP – ci ha permesso di lavorare al fianco di ricercatori di livello internazionale per sviluppare conoscenze che potranno essere valorizzate sia internamente, grazie alla proprietà intellettuale generata nell’ambito del progetto, che nell’implementazione di programmi di trasferimento tecnologico a favore del mondo produttivo”.
Riferimenti: The Plant Journal
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