Quella mega eruzione in Alaska che segnò la fine della Repubblica romana

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(Foto: U.S. Geological Survey)

Il vulcano Okmok, in Alaska, entra nei libri di storia, e con un ruolo di tutto rispetto: fu lui il responsabile del “grande freddo” che accompagnò il crollo della Repubblica romana, consumatosi nell’arco di un decennio a partire dall’assassinio di Giulio Cesare, alle idi di marzo del 44 a.C. A inchiodarlo alle sue “responsabilità” è uno studio appena pubblicato su Pnas che ha rintracciato nei ghiacciai artici le prove di una grande eruzione di Okmok, una tra le più catastrofiche degli ultimi 2500 anni.

Il grande freddo della Repubblica

Contrariamente alle intenzioni dei congiurati, nel 44 a.C. l’assassinio del dictator non portò alla restaurazione della Repubblica ma a nuovi scontri e guerre civili, fino a quando la vittoria di Ottaviano ad Azio, nel 32 a.C., sancì la fine del Regno tolemaico d’Egitto e la nascita dell’Impero romano. Fu un decennio turbolento non solo sul piano politico e militare: le fonti riportano che anche il clima impazzì. Proprio a partire dal fatidico 44 a.C., ondate di freddo eccezionale, alluvioni e conseguenti carestie, epidemie e rivolte imperversarono in tutto il bacino del Mediterraneo.

Quell’improvviso grande freddo di cui parlano le fonti – ipotizzavano finora gli storici- potrebbe aver avuto un peso nel crollo della gloriosa Repubblica romana, ma cosa lo avrebbe causato?

L’eruzione del vulcano Okmok

La risposta è arrivata dal ghiaccio: inizialmente, da una serie di carote prelevate lo scorso anno dalla calotta artica, in particolare, da uno strato molto ben conservato di tefra (l’insieme dei materiali piroclastici prodotti durante un’eruzione vulcanica). Il confronto con nuovi campioni da Groelandia e Russia e altri in archivio ha poi permesso ai ricercatori di identificare due diverse eruzioni: un primo evento vulcanico, molto potente ma di breve durata, verificatosi all’inizio del 45 a.C. e un secondo evento, molto più esteso, avvenuto all’inizio del 43, identificato come l’eruzione di Okmok, una delle più catastrofiche avvenute sulla Terra negli ultimi 2.500 anni.

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(Foto: U.S. Geological Survey)

Le conseguenze sul clima e sulla storia

Secondo i ricercatori, nell’emisfero settentrionale i due anni successivi all’eruzione di Okmok furono tra i più freddi degli ultimi 2.500 anni, e l’intero decennio il quarto nella classifica dei più freddi. Le temperature medie sarebbero scese in estate e in autunno fino a 7 gradi centigradi sotto la norma, mentre le precipitazioni sarebbero aumentate, rispettivamente, del 50-120% e del 400% in tutto il Sud dell’Europa.


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“Nella regione mediterranea, queste condizioni umide ed estremamente fredde durante le stagioni primaverili e autunnali hanno probabilmente ridotto i raccolti e aggravato i problemi di approvvigionamento durante i continui sconvolgimenti militari e politici di quel periodo”, spiega Andrew Wilson, archeologo dell’Università di Oxford, tra gli autori dello studio. “Questi risultati conferiscono maggior credibilità alle fonti antiche che testimoniano un incremento di raffreddori e altre malattie, fame e scarsa disponibilità di cibo”.

Vulcani e presagi

L’attività vulcanica, secondo i ricercatori, spiegherebbe anche gli insoliti fenomeni atmosferici riportati dalle fonti quali presagi della morte violenta di Cesare – aloni, oscuramenti e “cani solari” (l’apparizione di altri due “soli” laterali, dovuta a un fenomeno ottico, il parelio), ma a causarli non sarebbe stato Okmok bensì l’Etna, con una eruzione avvenuta nel 44 a.C.

Riferimenti: Pnas

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