Appena tre mesi fa usciva l’inventario nazionale delle foreste, una mappa dettagliata delle aree boschive su tutto il territorio italiano. Ma ora ci sono da fare i conti con la lunga estate calda appena trascorsa. Sì, perché quella del 2007 è stata segnata da un aumento spaventoso del numero di incendi e delle aree percorse dalle fiamme. E potrebbero andare in fumo anche i dati positivi sulle stime della riduzione di anidride carbonica dovuta al riassorbimento operato dagli alberi, sui quali facevamo affidamento per risparmiare l’11 per cento delle emissioni ai fini degli impegni presi a Kyoto.
L’anno scorso il numero degli incendi registrati era sceso del 30 per cento rispetto al 2005, e la dimensione delle aree andate a fuoco era diminuita del 40 per cento. Per 4.270 incendi scoppiati nell’estate 2006, però, quest’anno ce ne sono stati 7.164, il 70 per cento in più. Ma il dato più allarmante riguarda gli ettari andati in fumo: 112.740 del 2007 contro appena 27.496 del 2006, un aumento del 250 per cento. La Calabria e la Campania sono state le regioni più colpite. Insieme hanno fatto registrare quasi la metà del numero totale degli incendi. L’Abruzzo, invece, ha perso la più estesa superficie boscata. I dati definitivi saranno prodotti solo fra qualche settimana, ma già questi numeri bastano ad avere un’idea del patrimonio andato perso in tre mesi, circa l’uno per cento della superficie forestale totale.
Per fare i conti con Kyoto, invece, bisogna considerare sia l’aumento delle emissioni conseguenti alla combustione, che la riduzione dell’anidride carbonica dovuta alla perdita, negli incendi, delle zone ricoperte di foreste. Il dato relativo alla diminuzione del riassorbimento di anidride carbonica dipende non solo dalla superficie percorsa dal fuoco e da quanto effettivamente è andato bruciato, ma anche dal tipo di area colpita (se si tratta di una zona boschiva o meno) e dalle specie di alberi interessate. Per quest’ultimo aspetto, come ci spiega il responsabile dell’inventario nazionale, il vicequestore del Corpo Forestale Enrico Pompei, “le pinete mediterranee, durante gli incendi, sono ecosistemi che muoiono perdendo completamente le loro funzioni di serbatoi di carbonio. Le zone di macchia mediterranea, invece, riprendono la loro attività di riassorbimento, sempre che l’area non sia stata colpita da un altro incendio nei 10/15 anni precedenti. In questo caso il terreno andrà incontro a processi di degrado che portano anche a desertificazione”.
Per quel che riguarda l’impatto delle fiamme, “oltre alle emissioni conseguenti alla combustione”, prosegue Pompei, “c’è anche da considerare il rilascio consistente di carbonio accumulato nel suolo. Nei due-tre anni successivi al rogo, infatti, l’area rimasta scoperta dalla copertura arborea perde gran parte della anidride carbonica che è stata col tempo accumulata nel terreno, contribuendo a un aumento delle emissioni. Se consideriamo che in alcuni casi la quantità di carbonio immagazzinato nel suolo è pari a quello presente nelle strutture arboree, la quota di gas serra liberata dal terreno diventa consistente”.
Secondo un calcolo fornito in occasione della presentazione dell’inventario nazionale, dieci milioni di ettari di foreste sarebbero in grado di far risparmiare circa l’11 per cento del totale delle emissioni che il nostro paese si è impegnato a tagliare, che in soldi si tradurrebbe in un guadagno tra i 750 milioni e il miliardo di euro. Le aree andate in fumo in tre mesi, però, farebbero diminuire questa stima dello 0,1 per cento, con uno spreco di circa sette milioni di euro. Tuttavia, qualsiasi stima prima dell’arrivo delle piogge è prematura.