Lo scorso 10 dicembre sette capodogli sono stati rinvenuti spiaggiati sulla costa garganica, nei pressi di Peschici. Un evento simile non accadeva da oltre 70 anni nel Mediterraneo. Per capire cosa possa aver causato la morte degli animali, tutti giovani maschi, il Ministero dell’Ambiente ha disposto una task force multidisciplinare di veterinari e biologi per svolgere approfondite analisi su alcuni esemplari. Il 23 aprile scorso, più di 250 persone si sono date appuntamento per la giornata di studi “Conservazione e salute dei cetacei in natura” organizzata dall’Università di Teramo per discutere dei risultati e fare il punto sulle conoscenze ad oggi disponibili riguardo la condizione dei mammiferi marini nei nostri mari. Galileo ha intervistato Giovanni Di Guardo, docente di Patologia generale e fisiopatologia veterinaria presso l’ateneo abruzzese, tra i promotori del convegno.
Professor Di Guardo, cosa ha causato lo spiaggiamento dei sette capodogli nel Gargano?
“È sempre molto difficile stabilire una chiara relazione di causa-effetto, e non c’è quasi mai un solo fattore alla base di questo fenomeno. Certo è, però, che noi esseri umani abbiamo una grande responsabilità. Questi capodogli presentavano delle lesioni nei linfonodi indicative di una condizione di immunodepressione. Le indagini istopatologiche e istochimiche del cervello, inoltre, hanno rivelato una sofferenza neuronale. Non sappiamo cosa abbia portato a tutto questo, sappiamo però che il mercurio e certi altri contaminanti come diossine, Pcb e i cosiddetti ritardanti di fiamma possono avere effetti immunotossici e neurotossici, oltre ad agire come distruttori endocrini. Negli animali rinvenuti spiaggiati sulle coste mediterranee, le concentrazioni di queste sostanze sono particolarmente alte. In questo specifico caso, comunque, potrebbero aver giocato un ruolo anche altri fattori che non conosciamo: antropici, naturali, ecologici e comportamentali. Per esempio il gruppo era giovane e forse inesperto”.
Quali sono le principali difficoltà negli studi di eco-patologia sui cetacei?
“Prima di tutto bisogna agire in fretta perché i tessuti si degradano facilmente. La task force coordinata da Sandro Mazzariol, patologo veterinario dell’Università di Padova, e composta da colleghi dello stesso ateneo e di quelli di Teramo, di Bari, dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata e dell’Universidad de Las Palmas de Gran Canaria è intervenuta sotto la pioggia e nottetempo su animali di 12-18 tonnellate, lunghi non meno di dieci metri, rinvenuti spiaggiati su quattro chilometri di costa, portando avanti un lavoro di squadra eccellente.
Tuttavia si è potuto effettuare una necroscopia completa e le successive indagini di laboratorio a tutto campo solo su tre dei sette capodogli a causa del grado di preservazione degli altri quattro, sui quali è stata comunque condotta una serie di indagini post-mortem.
Ora abbiamo creato un tavolo di lavoro per mettere a punto un protocollo di intervento anche per gli animali che siano stati rinvenuti spiaggiati ancora vivi che potrebbero essere soccorsi o, a seconda dei casi, sottoposti all’eutanasia. Il Ministero dell’Ambiente ha anche disposto l’istituzione del database nazionale degli spiaggiamenti e la Banca tessuti per i mammiferi marini del Mediterraneo, rispettivamente presso le università di Pavia e di Padova”.
Qual è lo scopo di tutti questi sforzi?
“Le diverse specie di cetacei, sia odontoceti (provvisti di denti, ndr.) o misticeti (provvisti di fanoni, ndr.) compaiono nella lista rossa della International Union for Conservation of Nature (Iucn). Conoscere il loro stato di salute è fondamentale per stimare il loro reale stato di conservazione. Inoltre, questi animali ci dicono moltissimo sulla salute del nostro mare. Essendo un bacino chiuso, infatti, il Mediterraneo può accumulare livelli molto elevati di inquinanti. Questo è particolarmente grave per gli odontoceti perché sono all’apice della catena trofica e quindi accumulano e biomagnificano tutta una serie di contaminanti ambientali. Negli studi condotti da Maria Cristina Fossi, eco-tossicologa dell’Università di Siena, si è visto che nelle nostre acque sono generalmente presenti alti livelli di metalli pesanti e altri contaminanti come i già ricordati ritardanti di fiamma, mentre stanno diminuendo gli organoclorurati come i Pcb e le diossine. In ogni caso è indubbio che l’essere umano, con le sue attività, rappresenti una minaccia costante”.
Quali sono le altre possibili cause degli spiaggiamenti?
“Tra quelle naturali vi sono gli agenti biologici, in primis i morbillivirus che nel corso degli ultimi venti anni sono stati responsabili di una serie di drammatiche epidemie in più specie e popolazioni di mammiferi acquatici (sia pinnepedi sia cetacei, ndr) in diverse zone del pianeta. Altri importanti agenti biologici in grado di esercitare un notevole impatto sui cetacei sono i batteri del genere Brucella e alcuni protozoi come Toxoplasma gondii, da noi stessi recentemente segnalato come causa di mortalità fra le stenelle striate del Mar Ligure. Tra le cause antropiche vi è da segnalare la cosiddetta ‘sindrome embolica gassoso-lipidica’, scoperta sette anni fa da Antonio Fernandez dell’Universidad de Las Palmas de Gran Canaria. Si tratta di una patologia simile alla malattia da decompressione dei sub, che in linea di principio non dovrebbe interessare i cetacei, adattati a vivere in profondità. La causa potrebbe essere una risalita troppo veloce in seguito a uno stress improvviso o un malfunzionamento dell’apparato di ecolocalizzazione di cui sono dotati questi animali. La sindrome è stata riscontrata per la prima volta nel 2002 in cetacei della famiglia degli Zifidi che sono in grado di immergersi fino a mille e più metri di profondità, esposti alle onde a media frequenza rilasciate dai sonar militari. Il rumore prodotto dalle imbarcazioni e da altre attività umane condotte in ambiente marino sembra infine un’altra causa di forte disturbo per tutti i cetacei”.