Millisecondi e miliardi di anni, ecco i tempi della natura

Tempi
Credit immagine: Aron Visuals su Unsplash

Ogni secondo che passa, un corpo vivente brulica di reazioni chimiche, scariche nervose e scorrimento di fibre muscolari“, scrive Nicholas P. Money, professore di Micologia alla Miami University. Le manifestazioni della natura lenta che noi possiamo percepire si fondano sui meccanismi veloci che sfuggono ai nostri sensi. I cambiamenti e le trasformazioni delle molecole in ogni istante coordinano e determinano quelli dell’istante successivo, costruendo i processi più lenti, a misura d’uomo, ed anche quelli lentissimi di cui – come per quelli brevi –  possiamo talvolta vedere solo le conseguenze.

Mentre i ritmi umani sono strutturati su basi fittizie come le ore, scandite in minuti e in secondi, i cicli vitali di moltissimi animali e piante sono controllati da ricorrenze più lunghe, come le stagioni, che dipendono dal percorso annuale del sole. Questa comune regolazione sincronizza processi diversi: il ciclo riproduttivo dei predatori, ad esempio, è coordinato – evolutivamente- con la schiusa delle uova degli insetti di cui i predatori e i loro piccoli si nutrono.

All’inizio del volume troviamo due scale temporali entrambe espresse in secondi: una, la freccia del tempo e la cronologia della natura (da 10-4 a 1018 secondi), l’altra, la cronologia dai processi più veloci fino al Big Bang (1018 secondi). I vari capitoli sono infatti dedicati, ciascuno, ad una particolare frazione temporale, dal tempo brevissimo con cui una medusa fa scattare sulla preda il filamento velenoso delle sue nematocisti, a quello dei miliardi di anni trascorsi dalla ancora misteriosa origine della vita. Contrazioni muscolari, molle che scaricano energia in milionesimi di secondo (10-6), compressione e rilasciamento istantaneo di strutture diverse permettono ai predatori di catturare o paralizzare il loro futuro cibo e alle spore vegetali di disperdersi nell’ambiente. Noi non possiamo vedere questi movimenti ma possiamo osservarne le conseguenze, per esempio quando a mare siamo colpiti dai tentacoli di uno cnidario o quando non riusciamo ad acchiappare una pulce che salta. Non riusciamo a vedere, ad ascoltare o a percepire quello che accade in decimi di secondo, e le esperienze di cronostasi dimostrano che le sensazioni prendono forma cosciente qualche frazione di secondo dopo averle sperimentate. La consapevolezza, commenta Money, ci viene data attraverso l’inconsapevolezza. Percepiamo ritmi più lenti, come i battiti del cuore che pulsa 60 volte al minuto, e questi movimenti sono coordinati da uno stimolo elettrico prodotto da una struttura nervosa, il nodo seno-atriale che funziona come un pacemaker naturale. I sistemi circolatori e i cuori sono evoluti nel tempo, variamente coordinati ai sistemi respiratori in cui avviene lo scambio di gas tra esterno e interno. I tempi delle pulsazioni si accorciano nei ragni, che hanno più di 100 battiti al minuto, e si allungano nella balenottera azzurra, il cui cuore si contrae da 8 a 10 volte al minuto, facendo un rumore che può sentirsi fino a 3 chilometri di distanza. Le vibrazioni del mezzo prodotte dalle pulsazioni sono a noi percepite come rumore attraverso la membrana del timpano nell’orecchio: e c’è chi riesce a captare anche lo scricchiolio prodotto dalla crescita veloce di piante di bambù.

Ogni movimento, rapido o lento che sia, è formato dalla somma e dall’interazione di numerosi processi involontari, chimici e meccanici. La relazione tra prede e predatori coordina sia i movimenti di attacco sia i movimenti di difesa: ma come fanno – per esempio – i formicaleoni adulti a sentire il sonar dei pipistrelli che scendono in picchiata su di loro un secondo o due prima di essere catturati, e riuscire eventualmente a sfuggire? La loro reazione all’attacco richiede tempi brevissimi e, forse, rilevano gli ultrasuoni con strutture incorporate nelle venature delle loro ali.

Anche le muffe mucillaginose, i plasmodi ameboidi che possono estendersi su rocce e tronchi nutrendosi di resti organici, sono sensibili a quello che hanno intorno e modificano lo scorrere dei fluidi nelle loro venature espandendosi verso le sostanze con cui si alimentano. Tuttavia i plasmodi, sensibili alla presenza di nutrimento, non sono sensibili allo scorrere del tempo e, commenta ironicamente Money, non si annoiano come invece capita agli studenti universitari che ascoltano una lezione.

Ognuna delle silenziose rotazioni della Terra è scandita dagli umani in giorni, settimane, mesi: le piante adottano cicli comportamentali diversi, accelerandoli o rallentandoli secondo il ritmo del clima, guidate dal comportamento delle loro proteine orologio. Queste modificano la loro attività in relazione alle condizioni ambientali, sensibili all’umidità e alla temperatura che variano con cicli annuali. Nella vita c’è sempre un momento destinato alla riproduzione, quando animali e vegetali raggiungono la maturità sessuale e danno origine ad una nuova generazione di organismi , geneticamente diversi dai genitori. Ora i tempi si allungano: non si tratta più di ore o di giorni ma di mesi, di anni, o di decine di anni per la nascita dei piccoli di alcune specie, e i cicli sono spesso influenzati dal sovrapporsi dei ritmi circadiani (giornalieri) con quelli circannuali, da cui dipende la velocità con cui avvengono numerosi processi di sviluppo. La vita continua nel tempo lasciando tracce del suo svolgersi: nel permafrost rimasto congelato 40.000 anni alcuni sostengono di aver trovato organismi ancora vivi. L’ibernazione permette di resistere a condizioni climatiche avverse, ed è noto che i grizzly possono rimanere in uno stato di torpore per molti mesi. Ma ci sono organismi animali e vegetali la cui vita può durare centinaia di anni, non ibernati ma perfettamente attivi e capaci di muoversi e nutrirsi. Gli uomini uccidono, commenta Money, e non sappiamo quanto ancora avrebbe potuto vivere la balena dell’Alaska, uccisa a 211 anni, o uno scorfano con una età di 205 anni rilevata da misure del radiocarbonio contenuto nei suoi otoliti. E’ stata pescata una vongola artica di 507 anni, uccisa per poter contare sul guscio le strisce lasciate dai depositi annuali avvenuti nella sua lunga vita. Anche gli alberi possono vivere a lungo: si conoscono sequoie giganti di 3.000 anni, baobab di 2.000 anni; un pino dai coni setolosi venne tagliato da uno studente entusiasta che contò 4.900 anni in base alle cerchie annuali. Questi viventi anziani sono dei veri rilevatori climatici, perché crescono in sintonia con le temperature ambientali che si susseguono nel corso della loro vita.

La documentazione fossile di antichi organismi permette oggi non solo di conoscere le vicende climatiche del globo terrestre ma anche gli organismi che di periodo in periodo, di cambiamento in cambiamento la hanno popolata. Gli studi sul DNA fossile aiutano in questa ricerca e permettono di trovare nuove affinità, parentele e genealogie tra le specie del passato. Di nuovo si tratta di tempi al di là della nostra immaginazione, e forse solo gli esperti sanno veramente immaginare cosa veramente significhino quattro miliardi di anni. La dialettica tra genetica, evoluzione e cambiamenti ambientali ha continuamente rimaneggiato la vita sulla Terra: il linguaggio umano ha però ancora difficoltà a raccontare la casualità di questo processo. Sembra infatti che nemmeno Money sappia sottrarsi ad una sorta di (involontario) finalismo biologico per cui i processi vengono descritti come se tutto avvenisse per un bene futuro, in funzione di un vantaggio di cui i viventi sono peraltro assolutamente inconsapevoli.  Nella descrizione di ciò che è già avvenuto è  facile trovare una direzione di finalismo “benefico” per la sopravvivenza delle specie; ma dimentichiamo quanto il futuro sia imprevedibile né possiamo immaginare dove potrà trovarsi il vantaggio… che ancora non si è verificato.  

Descrivendo quanto forse accadde nei tempi delle origini si conclude il libro di Money, che nel suo ultimo capitolo accenna alle tracce più antiche lasciate – forse –  dai primi viventi: dei tubicini rossi contenuti in cristalli di quarzo trovati in depositi sedimentari inframmezzati al magma di vulcani sottomarini.  I tubicini di ematite potrebbero essersi formati da ferro ridotto (ferrico) cristallizzato intorno agli antenati degli attuali ferrobatteri, e rappresenterebbero la più antica prova plausibile dell’origine della vita. Una traccia, suggerisce Money, della transizione dalla chimica alla biologia avvenuta circa 4 miliardi di anni fa: queste tracce ci permettono di capire come la vita sia iniziata ed è interessante che lo studio delle origini si sviluppi proprio quando dobbiamo affrontare la nostra probabile scomparsa, dovuta all’inquinamento e ai cambiamenti del clima nel pianeta su cui siamo vissuti.

Credit immagine: Aron Visuals su Unsplash