Covid, la terza dose serve? E con quale vaccino?

terza dose
Immagine di Arek Socha via Pixabay

Quanto dura la protezione dal coronavirus fornita dalla vaccinazione? E quando sarà opportuno, eventualmente, ricevere un altro richiamo, la terza dose? Ancora non abbiamo risposte certe e i trial clinici per monitorare durata e qualità dell’immunità sono in corso. Uno studio condotto dalla Washington University School of Medicine e appena pubblicato su Nature indica che la risposta immunitaria generata dai vaccini a mRNA risulta persistente e potrebbe essere di lunga durata – anche anni, potenzialmente – dunque maggiore del previsto. L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) si è presa l’estate per approfondire l’argomento. E poi diramare delle indicazioni sulla base di dati che via via si vanno accumulando e aggiornando. Mentre il Regno Unito, che non rientrando nell’Unione Europea non sottostà ad EMA, ha già previsto una terza dose, a partire da settembre, per i pazienti vulnerabili.

Sei mesi di protezione sicura

Il tempo della pandemia è (relativamente) breve per aver potuto determinare con certezza la durata dell’immunità fornita dai vaccini, ancora in corso di analisi. Per ora, infatti, non c’è alcuna raccomandazione sulla terza dose del vaccino. Ad aprile 2021 le case farmaceutiche produttrici dei vaccini a mRNA (Pfizer-BioNTech e Moderna) hanno annunciato, sulla base di prime indagini ad interim, che la protezione contro Sars-Cov-2 si mantiene elevata almeno per 6 mesi dalla conclusione dell’immunizzazione. Anche per i vaccini a vettore virale, Vaxzevria di AstraZeneca e il vaccino sviluppato da Janssen di Johnson&Johnson (al momento in regime monodose), i dati sono simili. Uno studio, ancora in preprint e in via di pubblicazione su The Lancet, ha indicato che gli anticorpi generati dal vaccino Vaxzevria risultano rimanere alti per almeno un anno dopo una singola dose, con effetto booster maggiore ritardando la seconda dose e un ulteriore aumento della risposta immunitaria con una terza dose, scrivono gli autori. J&J ha appena annunciato di aver sottomesso al server preprint bioRxiv uno studio in cui si mostra che la durata dell’immunità dopo il vaccino monodose è di almeno 8 mesi.

E dopo, cosa succede?

Per capire se la copertura possa estendersi oltre i 6 mesi, e dunque pianificare modi e tempi della terza dose, i ricercatori stanno monitorando la risposta immunitaria di volontari già vaccinati. Ora sono trascorsi circa 8-9 mesi dalla conclusione della loro immunizzazione (le due dosi o la singola con J&J). Ed è possibile che a breve avremo nuove informazioni, le stesse che saranno valutate da EMA per la decisione sull’ulteriore richiamo, prevista probabilmente a settembre 2021. I dati dello studio statunitense su Nature citato sopra vanno ancora oltre nell’orizzonte temporale. E sembrano indicare una protezione molto duratura, forse per anni. I risultati però sono relativi a un campione davvero eseguo: appena 14 volontari vaccinati con Pfizer-BioNTech.


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La risposta immunitaria legata alle cellule B e ad altre cellule del sistema immunitario (plasmacellule) sembra molto persistente. Livelli alti, quasi al picco, di cellule B si mantengono a distanza di circa tre mesi dopo la seconda dose e sono ancora presenti dopo 4 mesi. Inoltre persone che hanno avuto Covid prima di essere vaccinate potrebbero non aver bisogno di un richiamo, sempre secondo la ricerca. “È una prova di quanto sia duratura l’immunità prodotta dal vaccino”, sottolinea in un articolo sul New York Times Ali H. Ellebedy, che ha coordinato lo studio. Non è stato incluso il vaccino monodose di Johnson & Johnson, che secondo l’autrice è associato a una risposta meno duratura nel tempo. Insomma, attendiamo nuovi dati ma la speranza è che il vaccino duri più a lungo possibile.

Terza dose: meglio vaccini a mRNA o di altro tipo?

In gioco non c’è solo la scelta se fare o meno (e quando) la terza dose, ma anche con quale vaccino. Ad oggi non abbiamo dati sulla sicurezza di una terza dose. Ma già alcuni elementi fanno propendere verso la scelta di un vaccino non a mRNA per chi ha già ricevuto questo tipo di prodotto. Mentre sotto altri punti di vista proprio questi vaccini nuovi risulterebbero convenienti. Con i vaccini di Pfizer-BioNTech e di Moderna reazioni avverse, come febbre e dolori muscolari, anche di intensità rilevante, sembrano essere più frequenti che con i vaccini a vettore virale di AstraZeneca e J&J. Insomma, all’aumentare del numero di dosi questi effetti potrebbero crescere. Per questo alcuni esperti, come Antonio Cassone e Roberto Cauda*, hanno indicato un’altra opzione probabilmente più adatta. Si tratta del vaccino proteico (si inietta direttamente la proteina – la spike – con un adiuvante) di Novavax, in corso di valutazione e approvazione dalle autorità.


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Riguardo ai vaccini a mRNA, ferma restando la questione sicurezza, da approfondire, sotto altri punti di vista il loro uso nelle dosi successive potrebbe portare qualche vantaggio, soprattutto rispetto ai vaccini a vettore virale. Lo spiega in un articolo su The Conversation Nathan Bartlett, docente presso l’Università di Newcastle nella Scuola di scienze biomediche. Come ricorda l’esperto, i vaccini a mRna sono più facilmente aggiornabili contro le varianti (e già li si sta adattando). Mentre con i vaccini a vettore virale, che si basano sull’impiego di un virus (del tutto innocuo) come vettore, il nostro sistema immunitario nel tempo impara a riconoscere questo patogeno. In questo modo anche l’efficacia dei vaccini con le dosi successive diminuirebbe nel tempo.

La questione della terza dose è più che mai aperta.

Riferimenti principali: Nature, The Lancet

*Antonio Cassone è membro dell’American Academy of Microbiology e già direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Iss, e Roberto Cauda è Ordinario di Malattie Infettive alla Cattolica di Roma