Si chiama Brichos ed è una molecola con un grandissimo potenziale nella lotta all’Alzheimer. Questa sostanza, infatti, naturalmente presente nell’uomo, sarebbe in grado di arrestare la progressione della malattia, bloccando la catena di eventi che causa la progressiva distruzione delle cellule del cervello. A scoprirla, identificandone il meccanismo di azione e immaginando nuove strategie nella lotta contro l’Alzheimer, sono stati alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge, che la presentano sulle pagine di Nature Structural & Molecular Biology.
Il meccanismo di funzionamento di Brichos è semplice: funziona attaccandosi alle fibrille amiloidi, una caratteristica tipica della malattia di Alzheimer, e in questo modo impedisce l’attacco di altre proteine e la formazione di ulteriori oligomeri tossici (nelle placche amiloidi). Infatti, la genesi delle placche è un processo che si autosostiene: agli inizi della malattia, quando ancora i sintomi non sono presenti, tutto comincia con un ripiegamento sbagliato di alcune proteine (le beta-amiloidi, in realtà solo piccoli peptidi), che si aggregano a formare ammassi fibrillari i quali funzionano da seme per il ripiegamento di altre beta amiloidi, guidando la formazione delle caratteristiche placche. “Inizialmente il processo è moto lento, ma poi accelera”, ha spiegato Samuel Cohen, a capo dello studio, al Guardian. La proteina Brichos si inserisce qui: non riesce a bloccare l’origine degli ammassi, ma impedisce che questi si ingrandiscano, di fatto arrestando l’effetto tossico degli accumuli di beta-amiloide e la progressione della malattia.
Impacchettare però Brichos all’interno di una pillola non è facile: la molecola viene rapidamente assorbita dall’organismo prima di raggiungere il cervello. Ma la scoperta del suo meccanismo d’azione aiuterà, sperano i ricercatori, a trovare altre molecole che agiscono allo stesso modo e da testare eventualmente come terapia. Per ora, infatti, la molecola è stata messa alla prova solo su alcuni topi, mostrando di poter funzionare come freno.
Via: Wired.it
Credits immagine: Institut Douglas/Flickr
ma sempre sui topi? a quando sull’uomo? Vogliamo cure alla svelta…