Un vaccino per COVID-19: la biotech romana Takis seleziona due candidati

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(Credits: National Cancer Institute on Unsplash)

Buone notizie da Takis, la piccola biotech romana scesa in campo lo scorso gennaio nella corsa al vaccino per Covid-19. A un mese dall’autorizzazione del Ministero della Salute ai test sui modelli preclinici, arrivano i primi risultati con la selezione di almeno due i vaccini a Dna promossi tra i 5 testati nella fase iniziale e che ora sono oggetto di altri esperimenti per stabilire dosi e modalità di somministrazione. Con uno sguardo già al futuro: la messa a punto di un processo per la produzione su larga scala, i test su modelli animali diversi dai topi e il trial clinico.

Costruire un vaccino con il Dna

Sono ben tre le aziende che alle porte di Roma, a pochi chilometri di distanza tra loro, inseguono lo stesso obiettivo: vincere la battaglia contro il coronavirus. Ognuna con un approccio diverso. Takis ha messo in campo la sua competenza nella ricerca nel campo dell’immunoterapia e dei vaccini contro il cancro e le malattie rare. A gennaio i ricercatori avevano generato 5 candidati vaccini corrispondenti a diverse regioni della proteina Spike, che Sars-Cov-2 usa per infettare le cellule umane. I vaccini di Takis consistono in un frammento del DNA del virus, inserito in un molecola di DNA più grande e di forma circolare, un plasmide, che consente l’espressione della proteina Spike, o di una sua porzione, nelle cellule del muscolo. A inizio aprile, avevamo lasciato i ricercatori con i vaccini pronti per essere iniettati nei topi, con una tecnica chiamata elettroporazione: una scarica elettrica somministrata nel muscolo per mezzo di elettrodi subito dopo l’iniezione, aumenta l’assorbimento del DNA e il reclutamento delle cellule immunitarie. Come hanno reagito gli animali?

Il vaccino induce anticorpi

Dopo due settimane dalla prima iniezione, tutti i topi vaccinati avevano in circolo gli anticorpi contro Spike. Sono queste proteine, prodotte da un tipo di cellule chiamate linfociti B, che il sistema immunitario adopera per combattere le infezioni. Le buone notizie, in particolare, sono due: la prima è che il vaccino ha stimolato anche un tipo di anticorpi chiamati IgA, che proteggono dalle infezioni specificamente le superfici della mucosa respiratoria e intestinale. La seconda è che una parte degli anticorpi possiede la capacità di neutralizzare il virus: riescono cioè a bloccare l’ingresso di Sars-Cov-2 nelle cellule umane in vitro.

Il prossimo passo sarà quello di testare la sicurezza e assenza di tossicità. Che nel caso degli anticorpi dipende soprattutto da un meccanismo chiamato ADE (“Antibody Dependent Enhancement”), già osservato per altri coronavirus come la Sars, ma anche per i virus Dengue, Zika o HIV. In pratica, gli anticorpi si legano al virus senza neutralizzarlo, anzi, lo rendono capace di infettare anche alcune cellule immunitarie, aumentando l’infiammazione e il danno ai tessuti. Non è ancora chiaro se l’ADE si verifichi anche nelle infezioni da Sars-Cov-2, ma è necessario che da questo punto di vista gli anticorpi prodotti dal vaccino siano completamente sicuri.

Il vaccino sembra stimolare anche un secondo tipo di cellule immunitarie, i linfociti T, che aiutano i linfociti B a produrre anticorpi e uccidono le cellule infette. Gli studi pubblicati in letteratura suggeriscono che la “collaborazione” tra linfociti T e B correla spesso con una prognosi migliore nei pazienti affetti da Covid-19. I prossimi studi saranno orientati a capire in che misura queste due componenti immunitarie contribuiscono all’efficacia della vaccinazione e saranno fondamentali per selezionare il candidato migliore.

Le prossime fasi: dal laboratorio alla produzione di massa

Ma intanto, dei 5 vaccini iniziali di Takis, solo un paio continueranno la sperimentazione: quelli che hanno prodotto più anticorpi neutralizzanti e sono stati quindi capaci di bloccare il virus. Al momento sono in corso altri esperimenti sui topi, che permetteranno di stabilire la dose minima efficace e le condizioni ottimali per la somministrazione. E poiché il vaccino verrebbe inizialmente distribuito alle categorie più a rischio, i prossimi studi ci diranno anche se esistono variazioni importanti nella risposta immunitaria tra individui giovani e anziani e tra maschi e femmine.

Nel frattempo, Takis ha stretto una serie di collaborazioni esterne per le fasi ancora successive della sperimentazione, che entreranno nel vivo nei prossimi mesi. La prima è la produzione su larga scala del vaccino: l’obiettivo è preparare milioni di dosi nel rispetto degli standard di qualità e sicurezza stabiliti dalle norme GMP (“Good Manufacturer Practice”). Il processo biotecnologico, che i ricercatori stanno mettendo a punto in house, sarà poi riprodotto in scala più grande da un’azienda austriaca. Consiste nell’inserimento del materiale genetico in una popolazione di batteri, che in poche ore in un adeguato brodo di coltura si moltiplicano producendo moltissime copie del vaccino a DNA. Il passo successivo è la “purificazione“, ossia l’estrazione del prodotto finale dalla biomassa batterica e la rimozione dei contaminati, per mezzo di trattamenti fisici e chimici.

Nei prossimi mesi, sono in programma anche i test su un secondo modello animale diverso dai topi, i furetti. Gli effetti del coronavirus sui furetti sono infatti molto simili a quelli sull’essere umano e permetteranno di produrre dati affidabili sulla sicurezza ed efficacia del vaccino. E se i risultati soddisfacessero le aspettative, già in autunno potrebbe partire il trial clinico su circa 80 volontari sani. La sperimentazione potrebbe essere condotta all’istituto Pascale e coordinata da Paolo Ascierto, con cui l’azienda collabora da anni per la messa a punto di vaccini genetici contro il melanoma.

Prosegue anche la ricerca di finanziamenti. Dopo la mancata approvazione di un progetto presentato per i bandi Ue, Takis continua ad autofinanziarsi, in parte grazie alla campagna di crowdfunding lanciata sul sito GoFundMe, che ha raccolto più di 50.000 euro. L’azienda è anche in contatto con potenziali investitori e venture capitalist degli Stati Uniti, della Francia e della Svizzera.

E se il virus muta?

La corsa di Takis continua, con cautela ma anche con un pizzico di ottimismo in più. Se tutto andasse per il meglio, il vaccino potrebbe essere pronto per la distribuzione intorno alla primavera del 2021.

E se nel frattempo il virus fosse già mutato?

Benché sembri mutare più lentamente rispetto ad altri virus e per il momento non stia evolvendo verso ceppi più aggressivi, esiste comunque la possibilità che in futuro Sars-Cov-2 impari a sfuggire al sistema immunitario. I ricercatori Takis stanno già pensando a una sequenza genetica che contenga tutte le mutazioni più frequenti e che sia dunque potenzialmente efficace contro diversi ceppi del virus.

I vaccini a base di DNA costituiscono infatti un sistema versatile e adattabile, capace di “evolvere” insieme al virus. Man mano che questo muta, i ricercatori possono rapidamente aggiornare il vaccino sostituendo alcune lettere nella sua sequenza. Il segreto, allora, è giocare d’anticipo e proporre un sistema che, come ha dichiarato il CEO di Takis Luigi Aurisicchio a Forbes, “permetterà di rispondere rapidamente anche ad altre malattie che potrebbero emergere in futuro”.

Erika Salvatori, l’autrice dell’articolo, è una ricercatrice di Takis coinvolta nel progetto del vaccino contro Sars-Cov-2.

Credits immagine di copertina: National Cancer Institute on Unsplash

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