A quanto sta il carbonio?

A molti all’inizio sembrava davvero un’idea bizzarra. Vendere anidride carbonica, o meglio il diritto a produrla, come se si trattasse di azioni o obbligazioni. Ma ora che la fase pilota, quella che copriva dal 2005 al 2007, si avvia alla conclusione, si può fare un primo bilancio del sistema europeo di emission trading (Ets, Emission Trading Scheme), lo strumento normativo e finanziario adottato dall’Unione Europea per incentivare il taglio di emissioni di gas serra e favorire il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto. Ed è un bilancio nel complesso positivo quello che emerge da una raccolta di articoli dedicati a questo tema e pubblicati sul numero inaugurale di una nuova rivista, Review of Environmental Economics and Policy.

Lo Ets è stato avviato nel 2005 nel tentativo di rendere attraente, per le grandi aziende più inquinanti, l’obiettivo del cambiamento climatico. A partire da piani nazionali che, in accordo con gli obiettivi di Kyoto, concedono a ogni azienda una certa quota di emissioni di CO2, lo schema consente di acquistare il diritto a “sforare”, comprando i relativi crediti da chi, dentro e fuori l’Europa, riduca volontariamente le emissioni più di quanto  richiesto o investa in tecnologia pulite. L’importante è che alla fine il conto torni, e la quota complessiva di emissioni sia in linea con gli obiettivi di Kyoto.

La buona notizia è che il mercato è partito e funziona. Secondo le stime più attendibili, il valore scambiato in questi due anni e mezzo si aggira sui 14,7 miliardi di euro. E la conclusione degli autori della review, combinando i dati effettivi sulle emissioni con gli aumenti che sarebbero stati prevedibili in base alla crescita del Pil, è che da quando esiste lo schema Ets le emissioni europee siano calate di circa il 7 per cento.

“I dati analizzati dagli articoli riguardano solo il primo anno di attività quindi il bilancio non può che essere preliminare” spiega Carlo Carraro, professore di economia ambientale all’Università di Venezia e tra gli editor della nuova rivista in cui appaiono gli studi. “Dal punto di vista della tenuta del meccanismo istituzionale la valutazione è sicuramente positiva. In questi primi anni ci sono stati però diversi problemi, primo in ordine di tempo l’allocazione troppo generosa dei permessi di emissione alle imprese da parte della UE nella prima fase”. I dati del 2005 mostrano infatti che all’epoca i permessi concessi dalla UE superavano di ben 80 milioni di tonnellate di CO2 le effettive emissioni da parte delle aziende. Una volta reso pubblico, questo dato ha tra l’altro prodotto un crollo del prezzo dei “titoli” (i permessi di emissione) e ha costretto la UE a correre ai ripari ridisegnando i piani di emissioni.“Non è ben chiaro poi se lo schema abbia effettivamente determinato un calo delle emissioni oltre quello che sarebbe comunque avvenuto. Le imprese hanno già una tendenza intrinseca a sostituire vecchie tecnologie con altre più efficienti, il punto è se il mercato delle emissioni le abbia effettivamente spinte a diventarlo ancora di più” continua Carraro.

Altro limite dello schema è stato sinora la distribuzione delle riduzioni di emissioni tra i diversi settori industriali. “Per ora le riduzioni sono avvenute soprattutto nel settore elettrico” spiega Carraro, “probabilmente perché è quello che, operando in regime di monopolio, riesce con più facilità a scaricare i costi sull’utente finale”. E le imprese italiane? “Hanno partecipato molto, e non potevano fare altrimenti. Abbiamo un obiettivo nazionale di calo del 6,5 per cento, e attualmente siamo del 14 per cento sopra. Quindi dobbiamo ridurre di 20 punti percentuali, cosa semplicemente impossibile. Così le imprese italiane, Enel ed Eni in testa, hanno acquistato massicciamente permessi di emissione”.

Una critica fatta spesso al mercato delle emissioni (per esempio in una serie di articoli recenti dell’Economist) è che abbia incentivato l’investimento in energie pulite fuori dall’Europa piuttosto che la riduzione delle emissioni all’interno dei suoi confini. Infatti, le industrie europee possono acquistare certificati di emissione delle riduzione da chi, ovunque nel mondo, abbia installato tecnologie pulite o anche semplicemente piantato alberi: qualunque cosa contribuisca positivamente al bilancio mondiale di gas serra. Insomma, vado da un’azienda cinese che ha installato panelli solari e compro il diritto a continuare a bruciare carbone in Europa. “Vero, è quello che è successo finora, ma non lo considero un problema” ribatte Carraro. “L’obiettivo della prevenzione del cambiamento climatico è globale, non locale. Se il bilancio globale torna, va benissimo così”.

Dal 2008 lo schema Ets entrerà nella nuova fase, che durerà fino al 2012. Un fattore chiave per il successo della nuova fase sarà la stabilizzazione del prezzo per tonnellata di carbonio, che ha avuto notevoli oscillazioni durante questa prima fase. Con un crollo verticale, come si è detto, quando è diventato chiaro che la UE era stata troppo generosa nel concedere i permessi sulle emissioni, e un altro ancora verso la fine del programma: in questa prima fase i permessi di emissione erano a scadenza, e dalla fine del 2007 non varranno più. A un certo punto si è scatenata quindi la corsa a venderli, che ha portato il prezzo sotto l’euro per tonnellata di carbonio. “Ora il prezzo si sta stabilizzando” assicura Carraro. “Il mercato sta imparando, come è normale che accada, e all’inizio mancavano operatori finanziari specializzati in grado di stabilizzare il prezzo. Ma soprattutto, nella seconda fase i permessi di emissione saranno rinnovabili, quindi il loro valore sarà assicurato a lungo termine”.

Resta da capire se l’Ets è destinato a rimanere un programma tutto europeo. “È improbabile che si estenda, ma è molto probabile che si colleghi ad altri mercati, nel senso che i titoli scambiati su uno potranno essere scambiati anche su altri” calcola Carraro. “La California farà sicuramente un suo schema di scambio delle emissioni, ed è probabile che con un’amministrazione diversa da quella Bush si crei anche un mercato nazionale statunitense”.

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