Che legame c’è tra qualità del sonno e rischio Alzheimer?

qualità del sonno
Si sospetta da tempo che esista un legame tra qualità del sonno e rischio di sviluppare l’Alzheimer. Una nuova conferma arriva da uno studio, condotto da ricercatori della Washington University di St. Louis: in persone anziane con disturbi del sonno Nrem (non-rapid eye movement) ad onde lente – il sonno profondo di cui abbiamo bisogno per consolidare i ricordi e svegliarci riposati al mattino – aumentano i livelli di proteina tau nel cervello. Ed è ormai noto che elevati livelli di proteina tau sono un segno della malattia di Alzheimer e sono legati a danni cerebrali e declino cognitivo. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Science Translational Medicine.

Qualità del sonno e malattia di Alzheimer

Brendan Lucey e colleghi hanno monitorato per sei giorni consecutivi, da casa loro, il sonno di 119 persone di età superiore a 60 anni, arruolate in studi longitudinali sull’invecchiamento. L’80% dei partecipanti allo studio non presentava deficit di tipo cognitivo, mentre negli altri le abilità cognitive erano solo lievemente compromesse. Ai partecipanti sono stati forniti un dispositivo portatile per elettroencefalografia (EEG), da posizionare sulla fronte durante il sonno, per misurare le onde cerebrali ed un sensore, simile ad un orologio da polso, per registrare i movimenti del corpo. È stato chiesto loro anche chiesto di tenere un diario, in cui annotare informazioni legate al riposo notturno e ad eventuali pennichelle durante il giorno. I ricercatori hanno, inoltre, dosato in 104 partecipanti i livelli di beta-amiloide e di proteina tau nel fluido cerebrospinale. Trentotto partecipanti sono stati sottoposti a scansioni cerebrali mediante tomografia ad emissione di positroni (PET) per mappare la presenza delle due proteine nel cervello. Ventisette individui sono stati sottoposti ad entrambe le analisi. Incrociando i dati raccolti è emerso che una diminuzione della quantità di sonno profondo ad onde lente (soprattutto alla frequenze più basse da 1 a 2 Hz), durante la fase del sonno nota come NREM (non-rapid eye movement), è correlata con un aumento dei livelli di proteina tau in diverse regioni cerebrali e con un più alto rapporto tau/beta-amiloide nel fluido cerebrospinale. “La scoperta chiave – ha detto Lucey – è stata che non era la quantità del sonno totale ad essere legata alla proteina tau, ma quella del sonno ad onde lente, che riflette la qualità del sonno. Le persone che presentavano un aumento patologico della proteina tau dormivano più a lungo di notte e facevano anche pisolini durante il giorno, ma non godevano di un sonno di buona qualità.”

L’analisi del sonno per la diagnosi precoce

È ben noto in effetti che le persone con Alzheimer hanno una cattiva qualità del sonno: tendono a svegliarsi spesso durante la notte e non riescono a godere di un sonno notturno davvero ristoratore. Ma sembra che il problema inizia già molto prima che compaiano i sintomi della malattia. “La cosa interessante è che abbiamo evidenziato la relazione inversa tra diminuzione del sonno ad onde lente ed aumento di proteina tau anche in persone con funzioni cognitive normali o solo lievemente compromesse”, ha detto Lucey. “Quindi analizzare come le persone dormono può essere un modo non invasivo per una diagnosi precoce della malattia, prima che si presentino i sintomi o nei primi stadi del declino cognitivo”.

Alzheimer, la sfida alla diagnosi precoce

Già 15-20 anni prima che compaiano i sintomi clinici caratteristici, infatti, la proteina beta-amiloide inizia ad accumularsi in placche nel cervello, portando progressivamente alla morte dei neuroni. I grovigli di proteina tau compaiono più tardi, seguiti dall’atrofia di aree chiave del cervello. E solo in seguito i malati iniziano a manifestare segni inconfondibili ed irreversibili di declino cognitivo. Il periodo che precede la comparsa dei sintomi cognitivi rappresenta una finestra temporale clinicamente rilevante per l’intervento terapeutico. La sfida è quella di poter riconoscere i sintomi precoci della malattia prima che le capacità cognitive vengano compromesse irrimediabilmente. E se gli studi futuri confermeranno questi risultati, monitorare il sonno potrà essere un modo semplice e conveniente per lo screening precoce della malattia di Alzheimer. “Non mi aspetto – ha detto Lucey – che il monitoraggio del sonno possa sostituire le scansioni cerebrali o l’analisi del fluido cerebrospinale per identificare i primi segni della malattia di Alzheimer, ma potrebbe integrarli. Si tratta di un aspetto che può essere facilmente seguito nel tempo, e se le abitudini del sonno di qualcuno iniziano a cambiare, quello potrebbe essere un segno per i medici che è il caso di andare a guardare da vicino cosa sta succedendo nel cervello.” Riferimenti: Science Translational Medicine

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