Catastrofe prossima ventura

Il 1998 è stato l’anno più caldo dell’ultimo secolo. E secondo le ultime previsioni della World Meteorological Organization (Wmo), l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata di studiare i cambiamenti climatici globali, il 1999 sarà ancora più torrido. Ma le valutazioni degli esperti si spingono anche oltre il prossimo millennio. Delineando un panorama tutt’altro che rassicurante. Galileo ne ha parlato con Peter Scholfield, direttore del programma di monitoraggio del clima mondiale del Wmo.

Dottor Scholfield, il 1998 è stato l’anno più caldo del secolo. Può commentarci questo dato?

“Nell’anno passato abbiamo avuto la più alta temperatura globale di superficie mai registrata dal 1860. Un dato in linea con le previsioni dell’Ipcc (Intergovernmental Pannel on Climate Change) del 1995. Questo innalzamento della temperatura ha certamente qualcosa a che vedere con l’aumento delle emissioni di gas serra. Ma bisogna aggiungere che il 1998 è stato anche un anno particolarmente denso di eventi climatici catastrofici. Ci sono stati fenomeni provocati dal Niño, che hanno colpito all’inizio e alla fine dell’anno, causati da una grande massa di acqua calda nella parte tropicale dell’oceano Pacifico, che ha influito sulla circolazione globale e in particolare ai tropici. E si è avuto anche il fenomeno esattamente opposto, la Niña, per cui la porzione orientale del Pacifico è stata più fredda del normale. Ciò ha avuto ripercussioni sul numero e l’intensità degli uragani nell’Atlantico occidentale e ai Caraibi. Tra ottobre e novembre, per esempio, si è verificato il secondo peggiore uragano della storia: il Mitch. Il primo è avvenuto più di due secoli fa.C’è poi un altro problema con cui dobbiamo fare i conti: quello del buco dell’ozono negli strati bassi della stratosfera. Si tratta di un fenomeno preoccupante perché, come è noto, lo strato di ozono stratosferico protegge il nostro pianeta dalle radiazioni ultraviolette. E anche quest’anno nell’area antartica, durante la primavera – quando le temperature lì sono tra le più rigide dell’anno – negli strati superiori della stratosfera si è osservato un allargamento del buco nell’ozono, per una durata superiore a tutte quelle registrate a partire dal 1976”.

Questo è il presente. Ma cosa potrebbe accadere nei prossimi dieci anni?

“E’ difficile dirlo. Per il momento dobbiamo basarci sulle proiezioni dell’Ipcc che risalgono al 1995, perché il prossimo rapporto sarà pubblicato nel 2001. Naturalmente si tratta di previsioni generali, che non vanno troppo nel dettaglio. Per esempio, rispetto alla temperatura, il rapporto parla di un aumento di due gradi centigradi per il 2100. Ma questo non significa che da qui al 2100 la temperatura salirà progressivamente di anno in anno, né che tutte le aree del pianeta saranno più calde allo stesso modo. Anche nel 1998 alcune aree hanno avuto temperature inferiori alla media. Ma è la media della temperatura globale che sarà superiore di 2 gradi. E questo avrà un impatto notevole su altri fenomeni”.

A che cosa si riferisce?

“Per esempio, all’innalzamento del livello delle acque marine, che è tra le cose che ci preoccupano di più. Con l’aumento della temperatura, infatti, da un lato si scioglieranno i ghiacciai, dall’altro ci sarà un aumento di volume dell’acqua come semplice effetto del suo riscaldamento. Le proiezioni dicono che il livello del mare da qui al 2100 salirà di 50 centimetri. E continuerà a salire a questo ritmo nei secoli successivi, anche se riuscissimo a stabilizzare le concentrazioni dei gas serra nell’atmosfera. Si tratta di una minaccia molto seria. Ma le conseguenze più drammatiche si avranno sulla terraferma, perché l’oceano ha una maggiore capacità di assorbire il caldo rispetto al suolo, e mescola le masse fredde a quelle calde. Il riscaldamento massimo si avrà durante l’inverno alle latitudini più alte dell’emisfero Nord, in Russia e in Canada più che altrove, mentre nelle zone tropicali non si registreranno cambiamenti di temperatura significativi. In estate, invece, ci sarà un minor riscaldamento nella parte artica. E così, con gli oceani più caldi e una temperatura maggiore, aumenterà la quantità di energia nell’atmosfera. Come risultato, ci sarà un ciclo idrologico più attivo, con maggiori precipitazioni alle latitudini elevate durante l’inverno, anche se come abbiamo detto le temperature in questa stagione saranno più alte. Non possiamo oggi prevedere se questi cambiamenti avverranno in modo graduale, così come è stato negli ultimi venti anni, o più rapidamente. Quello che si può dire con certezza è che se il processo dovesse avvenire in modo molto rapido, ciò avrà un effetto deleterio sulle specie viventi, animali e vegetali, terrestri e oceaniche”.

E cosa si può prevedere in particolare per l’Europa?

“Il clima dell’Europa occidentale è strettamente connesso alla circolazione oceanica del Nord Atlantico, che a sua volta è collegato con la corrente del Golfo. Se si modifica una delle variabili l’intero processo viene compromesso, e noi sappiamo che l’innalzamento della temperatura avrà senz’altro ripercussioni sulla circolazione atlantica. Il risultato finale sarà una minore differenza tra le temperature massime e quelle minime, perché queste saranno più elevate. Del resto il livellamento verso il caldo è un fenomeno che già conosciamo perché lo abbiamo già sperimentato in questi ultimi anni. Nell’Europa più calda avremo più giornate caldissime e meno giornate freddissime”.

Che ripercussioni potrà avere l’aumento di temperatura sulla salute umana?

“La relazione tra clima e salute umana è un problema che stiamo mettendo a fuoco soltanto ora. E che ci preoccupa molto. Già sappiamo, per esempio, che le ondate di caldo eccessivo sono molto dannose, soprattutto per le persone anziane. Un aumento di temperatura può inoltre provocare modificazioni della distribuzione degli insetti vettori di malattie. Uno degli esempi classici è quello della malaria, che oggi colpisce le regioni tropicali ma che in futuro potrebbe riguardare anche altre aree”.

Lei ha descritto un panorama catastrofico. Ma quanto sono attendibili queste previsioni?

“Non abbiamo oggi strumenti di indagine adeguati alla complessità del nostro clima, e quindi c’è ancora molta incertezza nelle nostre previsioni. Ma si può dire che negli ultimi anni sono cambiate molte cose: ora possiamo contare su modelli più accurati. Per esempio prima del 1990 si riteneva che l’aumento della temperatura globale sarebbe stato molto maggiore dei due gradi che riusciamo a prevedere oggi. I modelli attuali prendono in considerazione gli aerosol troposferici, che si trovano soprattutto nelle zone ad elevato sviluppo industriale e che rappresentano una variabile importante, capace di alterare i modelli. Gli aerosol infatti, almeno su scala regionale, tendono a ridurre la radiazione in entrata nell’atmosfera, e quindi la quantità di energia”.

Che peso può avere l’intervento di organizzazioni internazionali?

“Il Wolrd Meteorological Organization fa parte delle Nazioni Unite, e dunque uno dei nostri obiettivi primari è che il problema dei cambiamenti climatici sia affrontato su scala globale. Lo scopo è di stabilizzare le emissioni di gas serra nell’atmosfera riducendo i consumi di energia e promuovendo l’uso di nuove fonti”.

Sta parlando del nucleare?

“Sappiamo che i principali responsabili dell’effetto serra sono i gas emessi dai combustibili fossili – il petrolio e il carbone – e dunque dovremmo trovare delle fonti alternative a queste. Ma se parliamo di nucleare bisogna tenere conto di preoccupazioni che non possiamo trascurare: i rischi connessi all’atomo potrebbero essere maggiori dei benefici che cerchiamo. La strada che noi proponiamo è invece di ridurre i consumi di combustibili fossili ricorrendo a fonti alternative, come l’energia eolica o il solare. Ma questo può avvenire solo attarverso una grande campagna di sensibilizzazione. E poi bisogna ricordare che le fonti fossili non sono eterne. Se non troviamo una forma di sviluppo sostenibile, tutto il peso delle nostre scelte ricadrà sulle spalle delle generazioni future”.

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