La cometa della missione dell’Esa Rosetta, la 67P/Churyumov–Gerasimenko, avrebbe potuto o potrebbe sostenere la presenza di forme di vita? La possibilità di scovare tracce di vita aliena al di fuori del nostro pianeta è da sempre, soprattutto agli occhi del grande pubblico, uno degli aspetti più affascinanti dell’esplorazione spaziale. Soprattutto nel caso delle comete, testimoni del Sistema solare primitivo e serbatoi di molecole organiche – compresa la 67P – che potrebbero aver avuto un ruolo importante nell’evoluzione della vita sulla Terra. Ma nel caso di questa cometa, la prima su cui siamo mai sbarcati, cosa possiamo dire finora? Sostanzialmente una cosa: l’esistenza di forme di vita sarebbe alquanto improbabile.
La sentenza – non definitiva, s’intende, soprattutto da quanto il lander Philae sbarcato sulla cometa si è svegliato – arriva dopo una settimana in cui in realtà è stato sostenuto il contrario. Qualche giorno fa, infatti, durante il National Astronomy Meeting nel Galles, Max Wallis della University of Cardiff e Chandra Wickramasinghe direttore del Buckingham Centre for Astrobiology, e forte sostenitore della panspermia, avrebbero sostenuto che alcune caratteristiche di 67P, riferibili alla crosta scura ricca di molecole organiche, sarebbero dovute alla presenza di microrganismi sotto la superficie ghiacciata. Microrganismi, nella loro tesi, simili agli estremofili che si ritrovano sulla Terra. Secondo le loro simulazioni questi microbi conterrebbero infatti al loro interno dei sali anti-gelo che permetterebbero loro di sopravvivere a temperature anche inferiori ai -40°C. L’avvicinamento al Sole della cometa renderebbe poi questi microbi più attivi. Va detto però che tra i presenti al talk forti rivendicazioni a supporto di questa idea non sarebbero state presentate.
Quanto sostenuto dai due scienziati è stato però quasi subito, se non smentito, ridimensionato da diversi colleghi, racconta il Guardian. “Nessuno scienziato dei team implicati nella gestione degli strumenti di Rosetta presume la presenza di microorganismi attivi sotto la crosta della cometa”, ha spiegato Uwe Meierhenrich della Université Nice Sophia Antipolis e co-investigator dello strumento Cosac di Philae per l’analisi chimica di 67P, aggiungendo come le caratteristiche della superficie ritenute prodotto dell’azione dei microbi in realtà sono un effetto previsto dall’interazione dei composti organici con i raggi cosmici e la luce. Meierhenrich ha anche aggiunto che a breve una lista delle molecole captate dagli strumenti della missione sarà pubblicata e che la loro origine si può facilmente spiegare con meccanismi di formazione non biologici.
Di un’ipotesi improbabile e di mere speculazioni parlano ancheMonica Grady della Open University e parte del team che ha sviluppato lo strumento Ptolemy di Philae e Matt Taylor, il project scientist di Rosetta. E di parere analogo è Sarah M. Hörst dell’Earth and Planetary Science alla Johns Hopkins University, che al Washington Post ribadisce quanto detto da Meierhenrich:“Molecole organiche complesse sono abbastanza facili da ottenere con i ‘mattoni di partenza’ (metano, formaldeide, ammoniaca, monossido di carbonio, anidride carbonica, acqua…) e una fonte energetica (come i fotoni che arrivano dal Sole”. In conclusione? Per ora siamo ancora a caccia di forme di vita aliena.
Via: Wired.it
Credits immagine: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0