In Cina i wet market hanno riaperto e le “specialità” sono le stesse: ecco il listino prezzi

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I wet market cinesi, luoghi dove si vendono prodotti freschi e animali selvatici vivi, da macellare sul posto, sono tornati a far discutere quando a gennaio come primo focolaio della pandemia Covid-19 le autorità cinesi hanno indicato uno di questi mercati a Wuhan, che hanno immediatamente chiuso, estendendo il divieto – temporaneo – di vendere carne di animali selvatici a tutto il paese. La speranza di molti – medici e scienziati di ogni sorta, ecologisti e animalisti – era che il divieto divenisse permanente. Ma così non è stato: con la fine del lockdown i wet market hanno riaperto. Tant’è che lo scorso 3 aprile 2020 Anthony Fauci, virologo della task force della Casa Bianca, ne ha auspicato la chiusura definitiva, seguito tre giorni dopo dalla analoga richiesta dell’Onu che il divieto temporaneo della vendita di animali selvatici diventi permanente. Ma è davvero possibile proibire il consumo di specie selvatiche e la macellazione di animali in situ? E cosa si vende oggi nei wet market che hanno riaperto? Ce lo racconta Maria Longobardi, fisica e science writer, in questo reportage dalla Cina, prima parte di un servizio realizzato per Laboratoriaperti.netsons.org.

Il mercato dei wet market

Intorno al commercio degli animali selvatici e ai wet market in Cina, oggi ruota un mercato di settantaquattro miliardi di dollari, valore stimato nel 2017 dalla Chinese Academy of Engineering. Un terzo di questo mercato è riservato all’alimentare, mentre la maggiore parte va all’industria di pellame e pellicce e solo una piccolissima fetta alla medicina tradizionale. 

Sono quattordici milioni le persone che lavorano in questo settore, di cui quasi la metà (6,4 milioni) nell’ambito alimentare. Per questo motivo, il commercio di animali selvatici e i wet market sostengono una grande parte dell’economia delle famiglie cinesi, soprattutto quelle a basso reddito e nelle zone rurali.

Wet market batte supermarket

Nei primi anni 2000, il governo cinese ha lanciato un grande programma nazionale, chiamato nong gai chao in cinese, per convertire i wet market in supermercati. Questo programma è tuttavia fallito nel giro di un paio di anni. 

Nonostante il boom dei supermercati degli ultimi vent’anni, sia di quelli stranieri come Carrefour sia di quelli locali, i cinesi hanno preferito continuare a comprare giornalmente cibi freschi nei wet market e andare solo occasionalmente nei grandi supermercati. Inoltre, la loro posizione strategica in centro città li rende facilmente accessibili, al contrario dei grandi supermercati. 

In aggiunta, la radicata convinzione che i cibi non refrigerati siano di migliore qualità e che alcune carni selvatiche siano utili a curare e prevenire le più svariate malattie, hanno fatto sì che i wet market sopravvivessero all’impatto della grande distribuzione di massa.

Questo quadro è confermato anche in un articolo del 2018, che ha analizzato la distribuzione dei wet market e dei supermercati a Nanchino, un’importante città di circa nove milioni di abitanti. La ricerca dimostra che il numero di wet market è decisamente superiore (278) a quello dei supermercati (42), e che la loro distribuzione sul territorio è molto più capillare e raggiunge zone periferiche, mentre i supermercati rimangono concentrati in centro città. Lo studio mostra inoltre che il 90% delle famiglie compra abitualmente ai wet market (almeno cinque giorni a settimana) andandoci a piedi o in bicicletta, dimostrando così quanto la vicinanza fisica del mercato sia di cruciale importanza.

Difficile proibire il consumo di carne di animali selvatici 

Per quanto riguarda il consumo di carne di animali selvatici in Cina, la situazione non è omogenea. Uno studio condotto nel 2014 in cinque grandi città cinesi, riporta che a Canton, capoluogo del Guandong, nel sud della Cina, l’83% delle persone intervistate ha mangiato carne di animali selvatici nell’anno precedente, a Shanghai il 14% mentre a Pechino solo il 5%. A livello nazionale, più del 50% delle persone ha dichiarato di essere contrario al consumo di animali selvatici. Come si vede, certamente l’uso è molto elevato nel sud della Cina, ma è comunque diffuso su tutto il territorio nazionale.

Chiudere i wet market è quello che chiedono oggi molti, a gran voce. Tuttavia, non tutti sono d’accordo perché la gran parte di questi mercati hanno dei buoni standard igienici e inoltre, con la loro chiusura, si rischia di alimentare un mercato nero di animali selvatici. E, in un paese grande quanto la Cina, si farebbe presto a perdere il controllo della situazione.

Cosa si vendeva nel wet market di Wuhan

Ma cosa si vendeva nel famigerato mercato di Wuhan?

Wuhan è una città di circa sette milioni di abitanti e il suo wet market è il più grande della Cina centrale, con i suoi 50.000m2 di estensione e con più di mille venditori. Questo mercato è stato chiuso all’inizio di gennaio dal governo cinese perché ritenuto all’origine dell’epidemia. Il 14 aprile 2019, dopo la sua sanificazione, il mercato è stato parzialmente riaperto e l’accesso controllato e limitato. Il mercato vendeva frutta, verdura, carne, pesce e animali vivi, selvatici e non. 

Nelle ultime settimane, è diventata virale una foto postata sull’account twitter di Muyi Xiao, una video producer del The New York Times e riportata da molti media internazionali, come il Guardian. Nella foto si vede il cartellone di un venditore del mercato di Wuhan con la lista dei prezzi delle sue carni e degli animali vivi. 

Gli animali selvatici nella foto virale

La foto ha fatto scalpore per la varietà di animali selvatici venduti, sia vivi sia macellati. Ad esempio, nella lista si legge che si vende carne di cammello, come bistecche, zampe o gobbe (a sette euro al chilo), oppure alligatori (lingue o code, cinque e sei euro al chilo, rispettivamente) e anche tartarughe, volpi, marmotte, canguro e serpenti. In tutto sono circa un centinaio di prodotti. 

Cartellone di un venditore del wet market di Wuhan con la lista dei prezzi delle sue carni e degli animali vivi © Muyi Xiao / Twitter.

Nel cartello si offre il servizio di spedizione e ci sono i codici QR per pagare la merce acquistata con Alipay, una piattaforma molto usata in Cina, o con WeChat, un servizio di messaging simile al nostro WhatsApp (che è vietato in Cina). Inoltre, è indicato il sito web del venditore. Questo sito non è più disponibile e si è trasferito a un nuovo indirizzo. 

Tuttavia, alcune vecchie schermate delle sue pagine (dal 2012 al 2018) sono state salvate in rete nell’archivio pubblico WayBack Machine e possono aiutare a farci un’idea di cosa offrisse questo venditore ai clienti a Wuhan. In queste schermate, ci sono le carni e gli animali disponibili con i relativi prezzi. La lista degli animali selvatici è lunga: una ventina tra alligatori, ratti del bambù, nutrie, procioni, tartarughe, serpenti e porcospino. Di pipistrelli e pangolini non se ne trovano. 

Menù salutisti a base di coccodrillo 

Sul sito si legge che il venditore è approvato dal governo cinese e che i suoi prodotti sono venduti in tutta la Cina, che l’azienda è fornita di celle frigorifere e dotata di tutte le più moderne attrezzature. Inoltre, si dice che si possono acquistare più di cento specie di pollame, anche in grandi quantità e che è prestata una particolare cura all’igiene. 

Sul sito si trovano ben sette certificazioni di qualità e per molti animali, come il coccodrillo, ci sono le ricette e le relative indicazioni terapeutiche. Ad esempio, la testa di coccodrillo, venduta a circa due euro al chilo, è consigliata in caso di raffreddore, per problemi respiratori e per l’asma. Il venditore suggerisce di inserire la zuppa di testa di coccodrillo, cucinata con funghi, mandarino e zenzero, nella dieta giornaliera al fine di evitare tosse e raffreddore. Si sottolinea che la carne di coccodrillo sarebbe utile per molte patologie e servirebbe, in generale, a rafforzare cuore, polmoni e muscoli e rigenerare il sistema immunitario. Nello specifico, il suo fegato rafforzerebbe la vista e tratterebbe la cataratta, mentre il cuore curerebbe i disturbi coronarici. Per scoiattoli e le nutrie non ci sono ricette mentre se ne trovano per i ratti del bambù (grigliati o in brodo). C’è inoltre una vasta sezione dedicata ai cani. 

I prezzi del wet market

Spulciando nella lista online si scopre che un agnello intero arrostito, si vende a circa tre euro al chilo mentre una pecora viva a meno di 1,50 euro, mentre il suo filetto venduto in confezioni industriali (tipo quelle del supermercato) costa circa quattro euro al chilo, mentre la carne fresca macellata va a circa tre euro. 

La carne di volpe si trova a circa cinque euro al chilo, mentre una volpe viva costa circa sessantacinque euro. Lo zibetto, un altro animale indicato come potenziale sorgente dell’epidemia di coronavirus, viene considerata una carne pregiata: si vende a tredici euro al chilo. Se si analizza il nuovo sito web dell’azienda, aperto in questi giorni, ci si accorge che i prodotti disponibili sono gli stessi e nulla è cambiato

Questo è un quadro solo parziale dei circa mille venditori che affollavano il mercato di Wuhan. È lecito pensare che la lista degli animali selvatici venduta a Wuhan sia stata ben più lunga e che le misure per realizzare corrette condizioni igieniche siano state difficili da attuare. Inoltre, non è ancora chiaro se ci fosse un mercato nero parallelo dove molti animali non disponibili nelle liste ufficiali, come pipistrelli e pangolini, venivano venduti sottobanco. (2. Continua)

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