Il farmaco lo produce il batterio

Prendi il solito batterio, l’Escherichia coli, modificalo geneticamente e mettilo nelle condizioni di produrre gradi quantità di taxadiene, un precursore del composto antitumorale paclitaxel. E’ la “ricetta” dei ricercatori del Massachusetts Institute of Technology scritta in collaborazione con la Tufts University e recentemente pubblicata su Science. Gli studiosi, infatti, hanno sviluppato una tecnica capace di convertire uno dei composti sintetizzati da E. coli in taxadiene, innestando nel batterio due geni modificati appartenenti al Dna del tasso del Pacifico, l’albero dalla cui corteccia è stato originariamente estratto il principio attivo.

Secondo gli autori della ricerca, la nuova tecnica potrebbe ridurre notevolmente i costi di produzione – attualmente molto alti – del farmaco (commercializzato con il nome Taxol), un potente inibitore della divisione cellulare utilizzato nel trattamento di tumori alle ovaie, ai polmoni e al seno. In teoria, per ottenere una sola dose sarebbero necessari tra i due e i quattro alberi di tasso; per questa ragione negli anni Novanta sono stati sviluppati metodi per produrre il farmaco a partire da cellule vegetali coltivate in laboratorio o per sintetizzarlo. Nessuna di queste tecniche, tuttavia, ha portato a un abbattimento sostanziale dei costi.

Impiegando E. coli, invece, sarebbe possibile produrre una quantità di taxadiene fino a mille volte superiore rispetto a quella ottenuta con le altre tecniche di ingegneria microbica. Si tratta tuttavia solo di un primo passo: la sequenza metabolica che porta al paclitaxel comprende almeno 17 passaggi intermedi e non è stata ancora completamente compresa. Per ora i ricercatori sono riusciti a completare solo i primi due passaggi, vale a dire la sintesi di taxadiene e la sua conversione in taxadien-5-alpha-ol. “C’è ancora molta strada da fare prima di arrivare alla sintesi del baccatin III, il precursore da cui il farmaco può essere sintetizzato chimicamente”, ha commentato Gregory Stephanopoulos, uno degli autori dello studio: “La tecnica in sé, però, è estremamente interessante e, in futuro, potrebbe essere usata come ‘piattaforma’ per la sintesi di nuovi farmaci”.

Riferimenti: Science DOI: 10.1126/science.1191652

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