Quando partimmo alla conquista dello spazio

conquista della luna

Sono passati già 50 anni da quando due astronauti – americani – hanno messo per primi piede sulla Luna, battendo sul tempo l’Unione Sovietica nella competizione sulle tecnologie spaziali. Vincere la sfida contro coloro che avevano mandato il primo uomo nello spazio, il cosmonauta Jurij Gagarin, era di importanza vitale per gli Stati Uniti, e il Presidente JF Kennedy aveva investito in questo progetto notevoli quantità di denaro.

Le interviste di Giovanni Caprara, in parte già pubblicate sul Corriere della Sera, testimoniano il coraggio e la preparazione dei tanti astronauti che si sono cimentati in questa impresa, riportano le loro emozioni durante le operazioni di volo e le loro speranze per ulteriori successi delle conquiste spaziali. L’impegno personale, la capacità di affrontare rischi e pericoli imprevisti, la intensa preparazione ricevuta sono le note dominanti delle varie interviste: a uomini e donne di diverse nazionalità, a tecnici, a turisti spaziali, ad astronauti convinti della loro missione di pace e della necessità di proseguire la colonizzazione del nostro satellite o di pianeti come Marte. Pochissimi parlano del retroscena bellico, della strenua competizione con l’Unione Sovietica su cui si è fondata fin dall’inizio la conquista dello spazio. L’America Buona deve vincere, tanto che nel 2013 Harrison Smith, sbarcato sulla Luna con la missione dell’Apollo 17, scriveva che ”stabilirsi sulla Luna e su Marte porterà a grandi benefici all’umanità e favorirà la libertà fra i popoli se sono gli Stati Uniti a guidare l’impresa”.

L’intervista a Werhner von Braun – scienziato e ingegnere tedesco poi naturalizzato statunitense, e ritenuto il capostipite del programma spaziale americano – mette certamente in evidenza le sue capacità di costruttore. Ma il successo tecnico nella costruzione delle centinaia di missili balistici V2 da lui ideati non permette di dimenticare facilmente le morti e le distruzioni di Londra nella seconda guerra mondiale. Nel 1957, inoltre, i sovietici avevano utilizzato tecnici deportati dalla Germania per riuscire ad inviare lo Sputnik nello spazio. Caprara commenta che questa impresa venne vissuta dagli Stati Uniti come una nuova Pearl Harbor tanto che, ricorrendo a von Braun, riuscirono a riscattarsi predisponendo il lancio dell’Explorer-I e, grazie all’appoggio e ai finanziamenti predisposti dal presidente Kennedy, si affermarono come potenza tecnologico-militare superiore ad ogni paese della Terra.

Il presidente Ronald Reagan si era impegnato fin dal 1987 nel progetto di Guerre Stellari e non aveva acconsentito alle richieste di congelamento e limitazione del programma di difesa strategica: il suo obiettivo era quello di superare il principio della “mutua distruzione assicurata” in vigore negli anni ’80.

Palo Alto nella Silicon Valley, Los Alamos, il laboratorio sotterraneo di White Sands diventarono i luoghi segretissimi in cui si svolgevano ricerche ed esperimenti sul controllo dello Spazio. Nella spasmodica competizione tra potenze, le armi militari diventarono efficaci armi politiche che contribuirono al crollo dell’l’Unione Sovietica. Il fatto che le ricerche continuano nella stessa direzione è piuttosto inquietante: i “guardiani dell’alta frontiera”, racconta ancora Caprara, con radar di ultima generazione e altri sistemi di osservazione effettuano 30.000 rilevamenti al giorno, e girano intorno alla Terra almeno 63.000 satelliti in attività, oltre a quelli spenti e ai rottami di diverse dimensioni. I missili intercontinentali impiegano 30 minuti per arrivare dalla Russia in USA e quelli lanciati dai sottomarini appena 15 minuti: sarà il presidente Trump a decidere come rispondere con analoghe armi di distruzione di massa ad eventuali provocazioni.

Emigrare su Marte

Dato che il nostro mondo non ha la possibilità di mantenere la popolazione in aumento, l’unico posto dove andare sono altri mondi e altri sistemi solari. L’umanità deve abbandonare la Terra. Questa è l’opinione di molti ricercatori e scienziati, condivisa da quasi tutti gli astronauti intervistati: alcun pensano che sia necessario aumentare conoscenze e esplorazioni sulle sabbie lunari prima di dedicarsi alla conquista di Marte o dei satelliti dei vari pianeti, altri sperano che le missioni marziane possano effettuarsi in tempi non lontanissimi, senza perdere tempo ad esplorare ulteriormente la Luna.

Intanto la piattaforma spaziale Iss accoglie astronauti per tempi sempre più lunghi, si sviluppano ricerche sulle capacità dei vegetali di resistere in condizioni così extraterrestri, si cercano modi di “fabbricare” chimicamente acqua sulla Luna, di generare corrente elettrica o energia sufficiente a mantenere la piattaforma spaziale e i vari mezzi di trasporto. Intorno alla metà degli anni Trenta la Nasa pensa di arrivare su Marte con il razzo SLS, il più grande mai costruito, e con l’astronave Orion. Emozionati e contenti, coloro che hanno affrontato il viaggio spaziale non vedono l’ora di ritornarci, le quarantene cosmiche necessarie per prepararsi al grande volo non fanno paura. Così altri avranno l’esperienza esaltante di vedere la Terra che diventa un puntino luminoso sempre più lontano, i rischi saranno sempre di meno, la competizione tra capacità umane e quelle dei robot troverà una sua efficace soluzione.

Gli astronauti italiani tra cui Cristoforetti, Guidoni, Parmitano, insieme a colleghi di diversi paesi, a cui si sono aggiunti anche cinesi e giapponesi, godranno della possibilità di sentirsi liberi dalla gravità, di provare sensazioni indescrivibili, di sperimentare in prima persona quello che forse potrebbe diventare il destino dei nostri discendenti.

Il volume si conclude con una ultima intervista a Stephen Hawking, molto ottimista sulle capacità umane di proporsi e vincere sfide intellettuali sempre più complesse, di comprendere finalmente le caratteristiche della materia oscura e forse anche quelle dell’energia oscura. “Voglio che la gente abbia il diritto di condividere l’entusiasmo delle scoperte che stiamo facendo; dopo tutto è il pubblico che paga la ricerca”. Nel 2018 Stephen Hawking moriva lasciandoci la sua preziosa visione del futuro, e la speranza che prima o poi l’umanità possa realizzare i suoi sogni.

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