La Terra da ieri al futuro

Il continuo richiamo alla necessità di conoscere al meglio le caratteristiche geologiche del nostro pianeta è legato alla successione di eventi naturali che vi si verificano giornalmente, alle relative interazioni con gli interessi e con i beni dell’umanità, all’oggettiva limitata capacità da parte del mondo scientifico di rispondere in maniera esauriente e completa alle domande di conoscenza e di intervento per la premonizione e la mitigazione degli effetti di detti eventi.Il dibattito sulla dimensione delle problematiche aperte di tipo geologico e sulla effettiva capacità degli studiosi di poter far fronte producendo leggi di valore universale e di approntare strumenti opportuni di salvaguardia ha in ogni modo radici profonde e proviene dal passato, le sue tracce si perdono nei tempi più antichi della storia dell’umanità e seguono percorsi d’idee che solo recentemente si sono rivolti ai bisogni materiali della vita di tutti i giorni. Esso è stato generato a partire da basi filosofiche e teologiche, si è sviluppato in varie forme anche le più accese e ripugnanti, e solo da meno di un secolo ha finalmente lasciato completamente libero il campo al mondo della moderna ricerca scientifica che, di conseguenza, in questo settore ha forse il maggiore cammino ancora da percorrere.

I grandi contributi di conoscenza apportati dalla sistematica capacità di leggere i processi naturali con metodi e strumenti prodotti dal mondo della matematica e della fisica hanno portato all’umanità gran parte delle acquisizioni che permettono di distinguere, nel bene e a volte nel male, il mondo attuale da quello di quattro secoli fa. Le scienze della Terra sono rimaste più defilate, molti sono ancora gli elementi da conoscere, e poche le leggi universali proponibili; il cammino moderno è stato in qualche modo iniziato solo da poco più di due secoli con il contributo delle grandi scuole di pensiero europee e qualche limite imposto dalla storia e dalla volontà dei poteri costituiti.

Le problematiche geologiche nella storia del pensiero umanoLa geologia è la Scienza che tratta dei cambiamenti successivi nel tempo che si sono generati nel regno naturale organico e in quello inorganico. In questo modo sir Charles Lyell verso la metà del XIX secolo definiva in forma poco trionfalistica, ma ancora accettabile, una scienza già discussa al principio del secolo dal determinismo integrale che sfocia nell’esposizione dei sistemi del Mondo di Laplace: “Se potessimo immaginare una coscienza talmente estesa da poter conoscere con esattezza le posizioni e le velocità di tutti gli oggetti dell’Universo in un dato istante, nonché tutte le forze che agiscono su di esse, non ci sarebbero più segreti”. Da queste basi filosofiche si generarono due concezioni opposte per la comprensione e lo studio dei processi naturali che nel tempo si susseguono sui corpi planetari come la Terra: da una parte coloro che affrontano le problematiche della evoluzione nel tempo della vita organica e inorganica del pianeta con metodi e obbiettivi che hanno alla base una concezione storicistica della Scienza (da Hutton 1778 a Ippolito 1965), dall’altra quelli che si occupavano di “leggi eterne” alla ricerca delle regole che governano i cicli e le regolarità della meccanica celeste.

Da essi furono prodotte le prime grandi leggi della fisica moderna, fu vinta ogni enunciazione di superiorità del clero nei confronti della Scienza, combattuta e vinta in quasi tutti i paesi la controriforma, affermata nelle arti musicali così straordinarie e innovative alla fine del XVIII secolo; da alcuni di essi nacque una contrapposizione forte con gli “scienziati storicisti”. I grandi geologi e naturalisti del XIX secolo Hutton, Darwin, e Lyell stesso vennero definiti “raccoglitori di francobolli”, e si ruppe il rapporto con i fisici che durava da migliaia di anni. Il sistema rimase così in crisi sino al 1920, quando si affermò la meccanica quantistica, venne enunciato il principio di indeterminazione e in qualche modo fu messo in dubbio l’ideale di onniscienza di Laplace. L’idea della superiorità e necessità di produrre solo leggi sulla regolarità dei fenomeni celesti e implicitamente di tutti i processi naturali aveva basi storiche e di ricerca radicate nella storia dell’uomo. In ogni caso, malauguratamente, come sempre avviene per i dibattiti di non eccessivo livello, le contrapposizioni non furono sopite dall’affermarsi della meccanica quantistica. Le proposte “storicistiche” di Alfred Wegener (1915) ebbero vita dura per almeno quaranta anni, le incomprensioni tra i fisici e i “collezionisti di francobolli” continuarono con qualche piccola, preziosa, eccezione.

La capacità di sintesi di coloro che si occupano di Scienze della Terra è comunque aumentata progressivamente e proporzionalmente all’acquisizione di dati provenienti dall’esplorazione delle aree marine, alle prospezioni profonde a fini di ricerca di idrocarburi, a ricerche sismologiche a carattere locale e planetario, alle ricerche paleomagnetiche, sino alle campagne esplorative geofisiche e geochimiche a scala regionale. Tale patrimonio di conoscenze ha permesso di valorizzare al massimo quelle più tradizionali della Geologia e di lanciare una sfida alla loro piena comprensione nelle nuove rappresentazioni di sintesi realizzate negli ultimi 50 anni. Le nuove ipotesi sulla dinamica della Terra hanno così trovato un modello di riferimento che, seppur perfezionabile, è normalmente utilizzato per inquadrare la maggior parte dei processi naturali dovuti alla dinamica terrestre. E’ comunque ancora molto lontano il momento di sintesi capace di giustificare in modo unitario l’insieme dei complessi processi e fenomeni naturali dei corpi planetari a crosta solida e poco credibile la capacità e la possibilità di produrre leggi capaci di inquadrarne l’evoluzione in cicli definiti nello spazio e nel tempo.

Eppure nella storia del pensiero dell’uomo vi è sempre stata una ampia parte destinata alla conoscenza dei processi naturali prodotti dalla dinamica della Terra. Tra i più antichi vi sono i pensieri e le ricostruzioni filosofiche risalenti alla Cosmogonia Orientale; da esse viene il concetto della invasione ciclica delle Terre da parte dell’Oceano Universale: l’evoluzione primordiale della Terra viene immaginata a partire da un mondo di acque generalizzato fino alla nascita delle terre emerse e a una grande catastrofe universale dalla quale si sarebbe originato il mondo attuale; nei corrispondenti movimenti religiosi la divinità di Vishnù viene concepita in trasformazione da pesce a tartaruga a cinghiale. In tempi molto più recenti i filosofi orientali ricevono conferma di questi concetti attraverso la lettura attenta delle tracce naturali dei processi geologici leggibili nelle grandi opere d’ingegneria effettuate nel subcontinente indiano a metà del XIV secolo e il ritrovamento di prodigiose e abbondanti quantità di tracce fossili dell’ambiente passato che sono state collegate ai fondamenti delle religioni locali. Alluvioni dei principali corsi d’acqua del continente asiatico (ma anche della remota tradizione Inca), terremoti e periodi purificatori successivi e rigeneratori (come in fin dei conti avvenne in Italia dopo i terremoti del 1783 in Calabria, Placanica 1985), ripetuti nel tempo con ricorrenze almeno centenarie, sono alla base di solide e remote religiosità cosmogoniche. Da esse nasce la protoconcezione catastrofista.

Nel mondo mediterraneo si risponde con la Cosmogonia egiziana riferita dagli autori greci: Plutarco cita religiosità cosmogoniche importate dal mitico Orfeo che riporta i tempi di ricorrenza delle grandi catastrofi in 120.000 anni , alla ancorpiù mitica Cassandra che, più benevolmente, propone, nonostante la brutta fama, 360.000 anni. In ogni caso anche in queste fonti egiziane i terremoti costituiscono la principale fonte mitologica di attenzione per l’uomo.Nelle versioni cosmogoniche greche (Anassimandro) si enuncia un teoria evoluzionistica che propone il passaggio dalla vita iniziale marina a quella terrestre. Nasce in queste scuole di pensiero la protoconcezione evoluzionista.

Le Dottrine Pitagoriche non producono documenti scritti di cui si abbia traccia disponibile. Esse vengono trasmesse da Ovidio in periodo augusteo; viene enunciata la modificazione e l’evoluzione di ogni singola parte organica e inorganica del mondo, e tale condizione è correlata in ogni momento evolutivo all’insieme delle condizioni al contorno. Si osserva come nel tempo le terre ferme siano state convertite in mari e i mari a loro volta trasformati in terre . Sempre nel tempo le città sono seppellite da inondazioni, le paludi si trasformano in terre aride e viceversa, le isole vengono riunite ai continenti o separati da questi, le città sommerse dai terremoti, le pianure sollevate in colline le sorgenti mutano da calde a fredde e viceversa. Viene inoltre citata la possibilità di avere processi di pietrificazione per correnti (forse travertini), di poter disporre di acque curative, di isole che improvvisamente nascono dal mare, di vulcani prima non attivi e ora in attività (si cita l’Etna che nel 122 A.C. ebbe una straordinaria eruzione pliniana!), si mettono le basi per le moderne concezioni paleontologiche per l’attualismo.

Un contributo fondamentale, molto acuto ed ancora attuale, proviene da Aristotele. Il grande filosofo osservava che le catastrofi naturali sono fatto ordinario, esse però apparivano di diversa natura e si generavano in diverse località: “le rivoluzioni del globo in confronto alla durata della nostra vita sono così lente che vengono dimenticate dai popoli spesso in fuga trasmigratoria in seguito ai grandi eventi” Forse la notazione più rilevante fu quella riportata nel Trattato delle meteore che stabiliva la continua evoluzione di ogni singolo elemento geomorfologico costitutivo del pianeta, la trasformazione delle aree marine in continentali, la modificazione dei fiumi, delle montagne. Concezioni evoluzioniste si trovano anche nelle opere degli astronomi arabi precristiani (Gerbaniti). La loro scuola propone cicli evoluzionistici di 36.425 anni con modificazioni dei generi e delle specie. Tra gli studiosi antichi va riportata la notazione di Strabone: perché tanti segni della presenza di mari ove ora vi sono terre emerse? È possibile che i fenomeni naturali istantanei possano essere la ragione delle modificazioni dell’ambiente fisico nel tempo. Plinio nelle sue opere riferisce con grande cura una successione di fatti legati all’evoluzione geologica dell’area mediterranea e pur convenendo che tutte le indicazioni mostrano che il pianeta è tuttora in piena attività evolutiva non collega il presente alle vicende del passato.

Dopo il tramonto della civiltà romana arrivano i contributi degli scienziati arabi con Avicenna (X secolo). Il suo piccolo e prezioso trattato sulla formazione dei minerali nel secondo capitolo parla della formazione delle montagne generate per cause essenziali (i terremoti) e per cause accidentali (erosione delle acque). Nello stesso secolo Omar el Aalem, il sapiente, produce un lavoro, “La ritirata del Mare”, descrizione della variabilità delle linee di costa nel tempo, forse riferita alle osservazioni sui fenomeni relativi alle linee di riva del mar Caspio. Omar fu perseguitato e fuggì da Samarcanda perchè le sue opinioni cosmologiche non erano allineate a quelle espresse nel Corano secondo il quale la Terra venne creata in dieci giorni con accenno al diluvio e alla vicenda di Noè. Tra gli scienziati arabi va citato Mohamed Kazwini che nel XIII secolo scrive “Le meraviglie della natura”, descrivendo piogge meteoritiche, terremoti, variazioni di livello dei mari e ipotizzando la ciclicità degli eventi naturali.

A partire dal XV secolo diventano sempre più rilevanti i contributi e le osservazioni degli scienziati italiani del Rinascimento. Fin dalle opere di Leonardo possono essere trovate notazioni e ipotesi sulla presenza di fossili marini in ambiente continentale. Contemporaneamente nelle università italiane nasce il pensiero scientifico moderno e molta attenzione viene dedicata ai problemi della geologia, con reale spirito universitario nel quale non dovrebbero contare le diverse nazionalità le diverse discipline, le diverse scuole. I contributi al sapere vengono portati da tutti: anche Giordano Bruno all’interno di uno dei suoi interventi più anticonformisti afferma che “tutte le cose che esistono hanno solidità e consistenza soltanto in quanto esse hanno peso, numero, ordine e misura”. L’empirismo scientifico pervade le università di Padova, Bologna, Pavia; studenti accorrono dall’intera Europa, regna un aristotelismo che poco faceva per adattarsi agli interessi teologici; i professori non sono distinti per nazionalità e non a caso un contributo importante sulla genesi delle rocce e dei minerali si deve a Stenone danese, professore a Padova nel 1669. Si genera contestualmente una forte reazione delle forze della Controriforma a seguito della quale vengono perpetrati disgustosi crimini contro l’umanità e curiose enunciazioni come quella che riguarda le forme fossili le quali “non possono essere ricondotte a organismi viventi”. Langue per almeno 100 anni il pensiero scientifico e fioriscono le ipotesi più assurde con particolare riguardo alla situazione italiana dalla quale era nata la rivoluzione scientifica moderna.Occorre attendere la seconda metà del ‘700 per rivedere un risorgere d’attenzione sulle tematiche delle Scienze Geologiche. In particolare si deve a Hutton un contributo fondamentale con la sua opera “Teoria della Terra” nella quale enuncia che “il presente è la chiave del passato” e afferma l’indipendenza della geologia dalle questioni teologiche. Constatandone così l’estraneità dai problemi dell’origine e da altre argomentazioni portate per forzarne le conclusioni e indirizzarne i dibattiti sui rapporti tra evoluzione fisica del pianeta ed evoluzione delle forme di vita.

I messaggi per il 2000

L’esigenza di assicurare una efficiente capacità di intervento per la previsione e la mitigazione degli eventi naturali particolarmente pericolosi non potrà mai ridurre le problematiche affrontate dalla geologia come mera attività di servizio. Vi è bisogno ancora, e particolarmente nelle scienze della Terra, di ricerca fondamentale integrata. Una ricerca che abbia solide basi naturalistiche e forte capacità di utilizzare strumenti formali, una ricerca in cui non vi sia una sciocca contrapposizione tra settori e microsettori, in cui le metodologie, le finalità, gli approcci epistemologici siano comuni, in cui vi sia uno sforzo dei vari piccoli settori che ne compongono la debole struttura a comprendersi e sopportarsi. La mancanza di tali condizioni ha prodotto nell’opinione pubblica una figura di riferimento che interviene in genere non tanto per studiare, prevenire e pianificare quanto per partecipare alla celebrazione in memoria di guai già accaduti.

Da tale situazione si è inoltre generata in Italia una diffusa e, purtroppo, quasi accettata, carenza di cultura geologica. Ho detto quasi accettata per aver invece personalmente constatato quanta attenzione vi potrebbe essere in ogni componente della comunità civile nell’apprendere le chiavi di lettura dell’ambiente che ci circonda, a saperne valutare con la mente e gli occhi consapevoli i vari caratteri, i limiti della loro utilizzazione, i modi per salvaguardarne la conservazione e per facilitarne la comprensione da parte dei giovani. Purtroppo la carenza di cultura geologica – ma direi in maniera convinta di cultura scientifica – ha radici profonde nei processi negativi innescati dai movimenti della controriforma. Quanto dovremo ancora pagare in termine di arretratezza culturale? La generale ignoranza specifica costituisce una delle cause principali della progressiva invasione del mondo naturale da parte dell’uomo e delle sue Opere. La Natura è stata concepita come risorsa infinita e il suo sfruttamento e occupazione impropria hanno generato almeno due effetti negativi: il primo è stato quello di produrre una progressiva e non reversibile riduzione del patrimonio esistente. Gli ambienti originali sono ormai una piccola parte del nostro mondo e, paradossalmente, le loro dimensioni relative sono inversamente proporzionali alle capacità politiche ed economiche delle varie popolazioni umane. Ma meno forti e ricche sono le popolazioni più risultano in pericolo i beni naturali. Il secondo, e forse più grave, problema è quello di non considerare la necessità di studiare a fondo le caratteristiche e le regole evolutive dell’area da utilizzare o da conservare prima di intervenire nella pianificazione di un territorio, nella gestione di un’area a varia destinazione nella impostazione di una politica urbanistica o di salvaguardia ambientale. La capacità dei geologi di leggere l’evoluzione che nel tempo ha generato le situazioni ambientali attuali permette di impostare correttamente le azioni per la trattazione dei problemi dell’ambiente futuro. Il presente è la chiave del passato – dicevano i nostri predecessori – ma lo è indubbiamente anche del futuro. Le chiavi di lettura devono essere nelle mani di soggetti professionalmente preparati e non lasciate all’iniziativa di volenterosi o peggio.

I temi emergenti della Geologia

La dinamica esterna del Pianeta Terra è tuttora un tema la cui indeterminazione è dovuta alla carenza di dati. Appaiono di conseguenza assolutamente necessari e irrinunciabili la continua integrazione e il costante confronto di ricerche geodetiche, gravimetriche, topografiche, paleomagnetiche, sismologiche, mineralogiche, petrografiche, vulcanologiche , geochimiche, stratigrafiche, paleontologiche, in sintesi geologiche. Si è progressivamente assunta la capacità di operare rilevamenti geologici e geofisici nelle aree marine, quasi sconosciute sino a metà del 900. Forse dalla conoscenza di tali aree è arrivato il contributo più sostanzioso al progresso di conoscenza del pianeta e nel completamento dell’esplorazione di esse è focalizzato lo sforzo di una parte della comunità scientifica che deve essere aiutata e sollecitata in maniera particolare. Nelle tematiche dell’esplorazione marina sono contenuti i temi emergenti e le chiavi di comprensione ancora nascoste, si tratta in ogni caso di ricerche per le quali sono necessarie competenze specifiche specializzate, grandi mezzi finanziari e tecnici.

Tra le varie aree da esplorare vi sono quelle mediterranee per le quali molti sono ancora i problemi aperti e ancora non adeguati i mezzi che il nostro paese ha messo a disposizione. Troppo evidente la destinazione delle risorse ai soli temi “applicati” e poca l’attenzione al miglioramento della conoscenze fondamentali del nostro ambiente geologico e geofisico marino delle quali abbiamo il dovere di affinare al massimo le campagne di prospezione, gli studi, i sistemi di monitoraggio. Attraverso il confronto continuo dei dati si arriva a visioni sintetiche necessarie per la definizione dei processi dinamici esterni: dalla formazione delle catene montuose alla evoluzione dei rilievi, dallo smantellamento dei continenti alla nascita degli oceani. Alfredo Wegener stesso in una delle versioni aggiornate del suo “La formazione dei continenti e degli oceani” sostiene: “E solo abbracciando tutti i rami della scienza geologica che possiamo sperare di giungere alla verità, di tracciare cioè un quadro che rappresenti con ordine la totalità dei fatti noti e perciò possa pretendere di avere il maggiore fondamento; e anche in questo caso dobbiamo tenere presente che ogni nuova scoperta, da qualunque scienza essa provenga, può modificare i risultati ottenuti”. Il modello prodotto dagli studi di Wegener e successori sulla Tettonica delle Placche aveva di fatto un formidabile carattere predittivo: il quadro rappresentativo dei movimenti delle varie unità crostali nel tempo era stato mirabilmente ricostruito attraverso dati ed estrapolazioni non dirette.

Al contrario la situazione attuale degli studi opera su basi sperimentali reali e si avvale di strumenti non disponibili e impensabili sino a 50 anni fa. Si pensi solo alla geodesia spaziale che permette la conoscenza di movimenti anche minimi della crosta terrestre, al paleomagnetismo che riesce a fornire dati affidabili dei movimenti anche su rocce recenti, alla tomografia sismica che permette di conoscere le complicazioni e le caratteristiche delle varie unità crostali con mezzi strumentali non eccessivamente costosi. Le continue nuove acquisizioni sperimentali portano a perfezionare ed approfondire progressivamente i particolari del modello proposto. Non si può escludere per il futuro, superando i limiti imposti dal principio di indeterminazione, di arrivare a formulare leggi sulle complesse articolazioni della dinamica dei pianeti. L’acquisizione sistematica di nuovi dati geofisici, prevalentemente derivati dalla sismologia e secondariamente da altre discipline delle Scienze della Terra, hanno permesso di riconoscere, ricostruire e perfezionare i modelli sulla dinamica interna del pianeta . Sono state ricostruite le strutture profonde delle catene montuose, messi in luce i contrasti sorprendenti tra aree continentali e aree oceaniche, identificate le zone in “subduzione”, dove l’avvicinamento delle placche con caratteristiche fisiche diverse viene compensato da processi di sprofondamento e distruzione di una di esse. Sono state progressivamente riconosciuti i contorni delle varie parti del complesso mosaico che forma la crosta terrestre in maniera molto più complessa e articolata di quanto si potesse capire un secolo fa.

L’acquisizione delle conoscenze sulla struttura interna dei pianeta ha permesso di perfezionare e confermare le ipotesi del modello predittivo di Wegener e di formulare la proposta di un modello più completo e più basato su dati sperimentali e su rigorose rappresentazioni numeriche e analogiche. Tale modello ha collegato la dinamica profonda con i processi superficiali dai vulcani ai terremoti alle evoluzioni del clima nei tempi geologici. Si stanno progressivamente saldando le conoscenze geofisiche con quelle naturalistiche e faticosamente si sta tentando di intraprendere percorsi che prevedano un costante e organico confronto; la realizzazione di un sistema di ricerca che preveda come strumento principale tale confronto non è stata ancora raggiunta e rimane nella comunità scientifica internazionale e soprattutto in quella italiana l’obbiettivo prioritario da raggiungere. Per le Scienze della Terra del 2000 vi sarà una ulteriore sfida: partecipare all’esplorazione dei pianeti del Sistema Solare. Sarà questo progetto il più difficile e il più lontano e avrà come obbiettivo principale la conoscenza della struttura esterna dei pianeti e i suoi rapporti con i modelli ancora ipotetici della loro struttura interna. L’obiettivo di ricercare eventuali tracce di forme organiche appare velleitario e attualmente solo formulato per esigenze d’immagine e di attrazione per l’attenzione pubblica; si sente una triste influenza di alcuni mali che ci assillano.

I contributi che potrebbero venire dalla migliore conoscenza della geologia dei diversi pianeti possono permetterci di meglio conoscerne i caratteri costitutivi ed evolutivi e di formulare ipotesi sull’evoluzione del sistema solare, come è accaduto con i dati provenienti dall’esplorazione lunare. Nei programmi Apollo vi furono molti gruppi di ricercatori che operarono mettendo a punto sistemi di ricerca integrata con il tentativo di desettorializzare il lavoro e di generare solidi legami tra discipline diverse, tra teorici e sperimentali sino allora poco abituati al confronto durante lo sviluppo del lavoro.

Le ricerche applicate e le Scienze della Terra

Ricerca e valutazione delle risorse minerarie ed energetiche. E’ un settore nel quale l’Italia è largamente dipendente dalle importazioni. Nel comparto minerario siamo esposti annualmente per una spesa di almeno 15.000 miliardi. La fattura mineraria è più onerosa di quella alimentare e di quella chimica: essa costituisce il 65% di quella relativa all’importazione energetica . L’Italia ha solo speranze di trovare e valorizzare una minima parte del necessario; la speranza è quella di produrre competenze tecniche e progetti di ricerca in accordo con l’industria. Un problema a parte è quello del materiale minerario cosiddetto povero: il materiale per l’edilizia, per le infrastrutture, per le grandi opere. In questo campo in Italia le risorse sono esistite ma la loro coltivazione a volte dissennata ha dimostrato che le limitazioni sono ambientali e, vista la fragilità del sistema naturale, deve essere assolutamente trovato il modo di minimizzare il relativo impatto, di utilizzare al massimo ogni materiale riciclato di prediligere qualsiasi sviluppo attento alla economia dei materiali utilizzati.

Un’altra risorsa che va trattata con attenzione è quella idrica. Noi abbiamo ancora il privilegio di avere intere grandi città alimentate da ottima acqua di grandi sorgenti carsiche, ma in contrasto abbiamo sistemi di acquedotti fatiscenti e perdita della risorsa anche del 50% tra le sorgenti e le utenze. Abbiamo un generale depauperamento delle falde acquifere che negli ultimi 10 anni è diventato un fatto drammatico, abbiamo città prive delle risorse minime per buona parte dell’anno e soprattutto non abbiamo piani strategici per la salvaguardia generalizzata del patrimonio idrico.

Un capitolo a parte lo ha il settore dei rischi geologici per il quale ormai si è consolidata una comunità scientifica in grado di operare in maniera opportuna. Si è di recente costituita in Italia una struttura scientifica nella quale confluiscono le istituzioni che operano nell’area del rischio vulcanico e di quello sismico. Si tratta dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia nel quale confluiscono l’Osservatorio Vesuviano, l’Istituto Internazionale di Vulcanologia, l’istituto di Geochimica dei Fluidi e l’Istituto per il Rischio Sismico e l’Istituto Nazionale di Geofisica. Nella nuova Istituzione confluiranno i Gruppi Nazionali di Ricerca sui Vulcani e sui Terremoti e in essa saranno create sezioni nelle varie sedi universitarie nelle quali si produce ricerca sui rischi. La struttura definitiva dovrebbe essere simile a quella dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e il cammino da compiere è ancora lungo e difficile. Il tentativo è che in esso fioriscano le ricerche sulle scienze della Terra nello spirito aperto delle grandi scuole di pensiero, con il rigore e il senso critico necessario, con la necessaria apertura verso le tematiche di base che non devono essere sottomesse in ogni caso a quelle applicative.

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